27 gennaio 2009
Dal manifesto 13 gennaio 2009
di Uri Avnery
GAZA
Distrutta ma non sconfitta, così Hamas riuscirà a vincere
Guerra delle menzogne, calcoli sbagliati e la «follia morale» di Ehud
Barak
Quasi settant'anni fa, nel corso della seconda guerra mondiale, nella città di
Leningrado fu commesso un crimine efferato. Per più di 70 giorni, una banda di
estremisti chiamata «Armata rossa» tenne in ostaggio milioni di abitanti di
quella città e, così facendo, provocò la rappresaglia della Wehrmacht tedesca
dall'interno. I tedeschi non ebbero altra alternativa, se non bombardare la
popolazione e imporre un blocco totale causando la morte di centinaia di
migliaia di persone. Un po' di tempo prima, un crimine simile era stato commesso
in Inghilterra. La banda di Churchill si era nascosta tra la popolazione
londinese, sfruttando milioni di cittadini come scudi umani. I tedeschi furono
costretti a inviare la Luftwaffe e, sebbene con riluttanza, a ridurre la città
in rovine. Lo chiamarono il Blitz.
Questa è la descrizione che apparirebbe oggi nei libri di storia - se i tedeschi
avessero vinto la guerra. Assurdo? Non più delle quotidiane descrizioni nei
nostri media, che si ripetono fino alla nausea: i terroristi di Hamas usano gli
abitanti di Gaza come «ostaggi» e sfruttano le donne e i bambini come «scudi
umani». Non ci lasciano altra alternativa se non i bombardamenti massicci nei
quali, con nostro profondo dolore, migliaia di donne, bambini e uomini disarmati
vengono uccisi o feriti.
In questa guerra, come in qualunque guerra moderna, la propaganda gioca un ruolo
fondamentale. La disparità tra le forze, tra l'esercito israeliano - con i suoi
caccia, elicotteri da combattimento, aerei teleguidati, navi da guerra,
artiglieria e tank - e le poche migliaia di combattenti di Hamas dotati di armi
leggere, è di uno su mille, forse uno su un milione. Nell'arena politica il gap
tra loro è ancora più ampio. Ma nella guerra di propaganda, il gap è quasi
infinito.
Quasi tutti i media occidentali inizialmente ripetevano la versione ufficiale
della propaganda israeliana. Essi ignoravano quasi del tutto le ragioni dei
palestinesi, per non parlare delle dimostrazioni quotidiane del campo della pace
israeliano. La logica del governo israeliano («Lo stato deve difendere i suoi
cittadini contro i razzi Qassam») è stata accettata come se quella fosse tutta
la verità. L'altro punto di vista, per cui i Qassam sono una rappresaglia per
l'assedio che affama il milione e mezzo di abitanti della Striscia di Gaza, non
è stato riportato affatto. Solo quando le scene orribili provenienti da Gaza
hanno cominciato ad apparire sui teleschermi occidentali, l'opinione pubblica
mondiale ha gradualmente iniziato a cambiare.
È vero, i canali televisivi occidentali e israeliani hanno mostrato solo una
piccolissima frazione dei terribili eventi che appaiono 24 ore su 24 sul canale
arabo al Jazeera, ma una sola immagine di un bimbo morto nelle braccia del padre
terrorizzato è più potente di mille frasi elegantemente costruite dal portavoce
dell'esercito israeliano. E alla fine, è decisiva.
La guerra - ogni guerra - è il regno delle menzogne. Che si chiami propaganda o
guerra psicologica, tutti accettano l'idea che sia giusto mentire per un paese.
Chiunque dica la verità rischia di essere bollato come traditore. Il problema è
che la propaganda è convincente per lo stesso propagandista. E dopo che ci si è
convinti che una bugia è verità, e la falsificazione realtà, non si riesce più a
prendere decisioni razionali.
Un esempio di questo fenomeno riguarda quella che finora è stata la atrocità più
scioccante di questa guerra: il bombardamento della scuola dell'Onu Fakhura, nel
campo profughi di Jabaliya. Immediatamente dopo che esso era stato conosciuto in
tutto il mondo, l'esercito ha «rivelato» che i combattenti di Hamas avevano
sparato con i mortai da un punto vicino l'ingresso della scuola. Poco tempo
dopo, il militare che aveva mentito ha dovuto ammettere che la foto aveva più di
un anno. In breve: una falsificazione. In seguito l'ufficiale bugiardo ha
affermato che avevano «sparato ai nostri soldati da dentro la scuola». Dopo
appena un giorno, l'esercito ha dovuto ammettere dinanzi al personale Onu che
anche quella era una menzogna. Nessuno aveva sparato da dentro la scuola; nella
scuola non c'erano combattenti di Hamas: era piena di profughi terrorizzati. Ma
l'ammissione ormai non faceva quasi più differenza. A quel punto, il pubblico
israeliano era totalmente convinto che avessero «sparato da dentro la scuola», e
gli annunciatori tv lo hanno affermato come un semplice fatto.
Lo stesso è accaduto con le altre atrocità. Nell'atto della morte, ogni bambino
si trasformava in un terrorista di Hamas. Ogni moschea bombardata diventava
istantaneamente una base di Hamas, ogni palazzina un deposito di armi, ogni
scuola una postazione terroristica, ogni edificio dell'amministrazione pubblica
un «simbolo del potere di Hamas». Così l'esercito israeliano manteneva la sua
purezza di «esercito più morale del mondo». La verità è che le atrocità sono un
risultato diretto del piano di guerra. Questo riflette la personalità di Ehud
Barak - un uomo il cui modo di pensare e le cui azioni sono una chiara
esemplificazione di quella che viene chiamata «follia morale», un disturbo
sociopatico.
Il vero scopo (a parte quello di farsi eleggere alle prossime elezioni) è porre
fine al governo di Hamas nella Striscia di Gaza. Nell'immaginazione di chi ha
pianificato la guerra, Hamas è un invasore che ha ottenuto il controllo di un
paese straniero. Naturalmente la realtà è completamente diversa. Il movimento di
Hamas ha ottenuto la maggioranza dei voti nelle elezioni democratiche che si
sono svolte in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza. Ha
vinto perché i palestinesi erano giunti alla conclusione che l'atteggiamento
pacifico di Fatah non avesse ottenuto nulla da Israele - né un congelamento
degli insediamenti, né il rilascio dei prigionieri, né un qualunque passo
significativo verso la fine dell'occupazione e la creazione dello stato
palestinese. Hamas è profondamente radicato nella popolazione - non solo come
movimento di resistenza che combatte l'occupante, come l'Irgun e il Gruppo Stern
in passato - ma anche come organismo politico e religioso che fornisce servizi
sociali, scuola e sanità. Dal punto di vista della popolazione, i combattenti di
Hamas non sono un organismo straniero, ma figli di ogni famiglia della Striscia
e delle altre regioni palestinesi. Essi non si «nascondono dietro la
popolazione»: la popolazione li vede come i suoi unici difensori.
Perciò, l'intera operazione si basa su presupposti errati. Trasformare la vita
in un inferno sulla terra non fa insorgere la popolazione contro Hamas ma, al
contrario, essa si stringe dietro Hamas e rafforza la propria determinazione a
non arrendersi. La popolazione di Leningrado non si sollevò contro Stalin, più
di quanto i londinesi non si sollevarono contro Churchill.
Chi dà l'ordine di una simile guerra, con tali metodi, in un'area densamente
popolata, sa che causerà il massacro di civili. A quanto pare, ciò non lo ha
toccato. O forse credeva che loro avrebbero «cambiato modo» e la guerra avrebbe
«marchiato a fuoco la loro coscienza», per cui in futuro non oseranno resistere
a Israele.
Una delle principali priorità per chi ha pianificato la guerra era l'esigenza di
ridurre al minimo le vittime tra i soldati, sapendo che lo stato d'animo di una
larga parte dell'opinione pubblica, favorevole ad essa, sarebbe cambiato se
fossero giunte notizie di questo genere. È quanto è avvenuto nella prima e nella
seconda guerra del Libano. Questa considerazione ha giocato un ruolo
particolarmente importante perché l'intera guerra è parte della campagna
elettorale. Ehud Barak, che nei primi giorni di guerra è salito nei sondaggi,
sapeva che il suo gradimento sarebbe crollato se gli schermi televisivi si
fossero riempiti di immagini di soldati morti. Perciò, si è fatto ricorso a una
nuova dottrina: evitare perdite tra i nostri soldati mediante la distruzione
totale di tutto ciò che incontrano sulla loro strada. Per salvare un soldato
israeliano si era disposti a uccidere non solo 80 palestinesi, ma anche 800.
Evitare perdite dalla nostra parte è il comandamento principale, che sta
causando un numero record di vittime civili dall'altra. Questo significa la
scelta consapevole di un tipo di guerra particolarmente crudele - e questo è il
suo tallone di Achille.
Una persona senza immaginazione, come Barak (il suo slogan elettorale: «Non un
bravo ragazzo, ma un leader») non riesce a immaginare come le persone per bene,
in tutto il mondo, possano reagire ad azioni come l'uccisione di intere
famiglie, la distruzione di case sulla testa dei loro abitanti, le file di
bambini e bambine in sudari bianchi pronti per la sepoltura, le notizie di
persone lasciate a morire dissanguate per giorni perché non si consentiva alle
ambulanze di raggiungerle, l'uccisione di dottori e medici impegnati a salvare
vite umane, l'uccisione di autisti dell'Onu che trasportavano cibo. Le immagini
degli ospedali, con i morti, le persone in fin di vita, i feriti stesi tutti
insieme sul pavimento per mancanza di spazio hanno scioccato il mondo.
I pianificatori pensavano di poter impedire al mondo di vedere queste immagini
vietando con la forza la presenza dei media. I giornalisti israeliani - fatto
riprovevole - si sono accontentati dei rapporti e delle foto forniti dal
portavoce dell'esercito, come se fossero notizie autentiche, mentre loro stessi
se ne restavano a miglia di distanza dai fatti. Anche ai giornalisti stranieri
non è stato permesso di entrare, finché non hanno protestato e sono stati
portati a fare rapidi tour in gruppi selezionati e controllati. Ma in una guerra
moderna, uno sguardo così sterile e preconfezionato non può escludere
completamente tutti gli altri - le videocamere sono dentro la Striscia, in mezzo
all'inferno, e non possono essere controllate. Aljazeera trasmette le immagini a
tutte le ore, e arriva in tutte le case.
La battaglia per il teleschermo è una delle battaglie decisive della guerra.
Centinaia di milioni di arabi dalla Mauritania all'Iraq, più di un miliardo di
musulmani dalla Nigeria all'Indonesia vedono le immagini e sono orripilati.
Questo ha un impatto forte sulla guerra. Molti spettatori vedono i governanti
dell'Egitto, della Giordania, dell'Autorità palestinese come collaboratori di
Israele nell'attuazione di queste atrocità ai danni dei loro fratelli
palestinesi. I servizi di sicurezza dei regimi arabi stanno registrando un
fermento pericoloso tra le popolazioni. Hosny Mubarak, il leader arabo più
esposto per aver chiuso il valico di Rafah in faccia ai profughi terrorizzati,
ha cominciato a premere sui decisori di Washington, che fino ad allora avevano
bloccato tutti gli inviti a cessare il fuoco. Questi hanno cominciato a capire
che i vitali interessi americani nel mondo arabo erano minacciati e
improvvisamente hanno cambiato atteggiamento - nella costernazione dei
compiacenti diplomatici israeliani.
Le persone affette da follia morale non riescono a capire le motivazioni delle
persone normali, e devono indovinare le loro reazioni. «Quante divisioni ha il
papa?» se la rideva Stalin. «Quante divisioni hanno le persone con una
coscienza?» potrebbe chiedersi oggi Ehud Barak. Ma, come stiamo vedendo, ne
hanno qualcuna. Non tante. Non molto veloci a reagire. Non molto forti e
organizzate. Ma a un certo momento, quando le atrocità dilagano e masse di
persone si uniscono per protestare, questo può decidere di una guerra.
L'incapacità di cogliere la natura di Hamas ha causato l'incapacità di capire i
prevedibili risultati. Non solo Israele non è in grado di vincere la guerra:
Hamas non può perderla. Anche se l'esercito israeliano dovesse riuscire a
uccidere ogni combattente di Hamas fino all'ultimo uomo, anche allora Hamas
vincerebbe. I combattenti di Hamas sarebbero visti come i modelli della nazione
araba, gli eroi del popolo palestinese, i modelli da emulare per ogni giovane
del mondo arabo. La Cisgiordania cadrebbe nelle mani di Hamas come un frutto
maturo, Fatah affogherebbe in un mare di disprezzo, i regimi arabi
rischierebbero di crollare.
Se la guerra dovesse finire con Hamas ancora in piedi, sanguinante ma non
sconfitto, a fronte della possente macchina militare israeliana, ciò apparirebbe
come una vittoria fantastica, una vittoria della mente sulla materia.
Nella coscienza del mondo, resterà impressa a fuoco l'immagine di Israele come
un mostro lordo di sangue, pronto in qualunque momento a commettere crimini di
guerra e non intenzionato a rispettare alcun freno morale. Questo avrà gravi
conseguenze a lungo termine per il nostro futuro, per la nostra posizione nel
mondo, per la nostra chance di raggiungere la pace e la tranquillità.
In fondo, questa guerra è anche un crimine contro noi stessi, un crimine contro
lo stato di Israele.
Traduzione Marina Impallomeni
27 gennaio 2009
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA