27 gennaio 2009
http://it.peacereporter.net/articolo/13624/Israele,+c'è%3B+chi+dice+no
11/01/2009
Contro la guerra a Gaza, scendono in campo anche i soldati israeliani di Courage to Refuse
di Naoki Tomasini
"Non possiamo restare in disparte mentre centinaia di civili vengono macellati dall'Idf (l'esercito israeliano). In questo momento la cosa più pericolosa è la falsa speranza che questo tipo di violenza possa portare sicurezza a Israele. Invitiamo i dunque soldati a rifiutarsi di participare alla campagna di Gaza". Queste parole segnano il ritorno dei refusenik, i soldati israeliani di Courage to Refuse, che si oppongono alla politica di oppressione militare del loro governo ai danni della popolazione palestinese.
Fondata nel 2002. l'organizzazione era
rimasta inattiva per almeno tre anni, ma i recenti eventi nella Striscia hanno
spinto i suoi animatori a riprendere le iniziative pubbliche, manifestando
questa settimana insieme ai pacifisti israeliani. Lo scorso 8 gennaio gli
attivisti di Courage to Refuse si sono radunati davanti al ministero della
Difesa, insieme a quelli di Gush Shalom, Peace Now, Taayush e altri gruppi dei
cosiddetti pacifisti radicali israeliani. Ex soldati e pacifisti oggi
manifestano assieme, per chiedere la fine della politica fatta con le armi e per
dare un segnale alla società israeliana, che pare oggi compatta a favore del
massacro di Gaza. "Dobbiamo contenere la nostra rabbia" dicono gli obiettori
israeliani, che spiegano come, per rivolgersi ai militari chiedendo loro di non
obbedire agli ordini, sia necessario usare un vocabolario diverso da quello del
campo pacifista in senso stretto. "Evitiamo di definire 'assassino' il ministro
della Difesa e 'organizzazione terrorista' l'Idf (anche se in questo momento
sembrano definizioni corrette)". Gli slogan degli ex soldati, invece, puntano
altrove: "Vendetta non è sicurezza", "No all'uccisione di civili a Gaza e Sderot",
"La distruzione di Gaza produce terrore" era scritto sui loro striscioni. Oggi
però queste differenze non contano, l'importante, spiegano, è "contrastare
l'atmosfera guerrafondaia che prevale nei media e nel sistema politico
israeliani".
"Quest'ultima è stata una delle peggiori settimane nella storia del conflitto
israelo-palestinese" dice a peaceReporter Arik Diamant, uno dei fondatori del
moviento dei refusenik. "Centiniaia di civili uccisi, così tante vittime tra i
bambini ... questo è troppo anche per una terra sanguinosa come questa. Non ci
aspettavamo un simile sviluppo della crisi, e ne siamo rimasti sconvolti. Così,
dopo tre anni di inattività abbiamo deciso di riprendere le attività per dire
'smettete!'. Ci siamo resi conto che nel discorso pubblico sugli eventi di Gaza
mancava una voce. Ci sono state diverse proteste contro la guerra, ma la nostra
è particolare perchè viene dall'interno dell'esercito".
Con l'inizio delle operazioni militari, molti soldati della riserva sono stati
richiamati in servizio, tra loro anche alcuni attivisti di Courage to Refuse,
che hanno subito rifiutato la chiamata. Normalmente un simile rifiuto comporta
l'arrtesto, un processso e la carcerazione, ma in questo caso pare che gli
ordini di arresto non siano ancora partiti. "Al momento - spiega ancora Diamant
- sappiano di sette soldati che una settimana fa hanno rifiutato la chiamata, e
da allora attendono di essere processati. Solo che non è successo nulla. Credo
che lo scopo dell'Idf sia lasciare correre, per evitare che i media possano dare
risalto alla storia. Forse li processeranno a guerra finita, ma non credo".
Come coordinate le vostre azioni e il tono della vostra protesta con gli altri movimenti pacifisti israeliani?
"Abbiamo già fatto due manifestazioni con
loro e abbiamo anche organizzato degli incontri pubblici assieme. Credo che non
ci sia differenza tra noi e loro. Tutto ciò che ci distingue dai cosiddetti
pacifisti radicali è il fatto che noi siamo stati soldati e pensavamo che fosse
una cosa buona. Usiamo un linguaggio pù soft perché conosciamo bene le dinamiche
delle forze aramate e la situazione in cui si trovano i soldati prima di
rifiutarsi di obbedire".
La
maggioranza della popolazione israeliana non accetta di dialogare non i
pacifisti, è più semplice per voi?
"Questa è l'unica ragione per cui esistiamo e abbiamo deciso di riprendere le
attività. Non perché non crediamo nei metodi dei pacifisti, ma perché ci
rendiamo contro che sono inefficaci se ci si rivolge al grande pubblico. Il
pubblico israeliano ha bisogno di ascoltare qualcuno che non sia totalmente
contrario alla guerra, qualcuno che sia stato un soldato e sappia cosa significa
fare il proprio dovere in difesa del proprio paese... anche se quelle stesse
persone pensano che l'attuale offensiva sia un'azione criminale. Il nostro ruolo
è strategico e consiste nel prendere il discorso dei pacifisti e tradurlo in
modo che il grande pubblico lo possa consumare".
Come
giudichi la copertura dei media israeliani sulla guerra e sulle proteste contro
la guerra?
"Molto male. L'atteggiamenti dei media rispetto alle manifestazioni contro la
guerra è molto ostile, le proteste vengono presentate come esternazioni
marginali organizzate da traditori. In generale si può certamente dire che i
media presentano la linea dell'esercito e hanno un pregiudizio nei confronti dei
refusenik e degli attivisti contro la guerra. Questa situazione, però, sta
lentamente cambiando. Ad esempio, durante la prima settimana a protestare erano
pacifisti, comunisti e anarchici, dunque le notizie su di loro sono state
accantonate. Ma una settimana dopo alle proteste hanno partecipato anche ex
soldati, allora anche la stampa ha iniziato a dare più spazio al movimento. É
difficile, ma poco alla volta le ragioni di chi si oppone a questa guerra stanno
guadagnando spazio e attenzione".
27 gennaio 2009
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA