27 gennaio 2009
Dal manifesto del 30 dicembre 2008
di Jeff Halper*
STRAGE A GAZA
Quello che gli attacchi israeliani nascondono
Cerchiamo di essere cristallini. I
pesanti attacchi a Gaza compiuti in questi giorni da Israele hanno uno scopo
chiaramente irraggiungibile, in contrasto con le azioni messe in atto: la
gestione del conflitto. Metter fine agli attacchi missilistici contro Israele,
provenienti da una Gaza assediata e affamata, senza esaurire la rabbia che
proprio per quegli attacchi si scatena. E ancora, metter fine agli attacchi
missilistici contro Israele, con un'occupazione sempre più oppressiva, che va
avanti da 41 anni, senza il minimo segnale che un futuro stato sovrano della
Palestina potrà mai sorgere.
Infatti l'occupazione - tramite la quale Israele controlla Gaza stringendola in
un assedio brutale, che viola i diritti umani fondamentali e le normative
internazionali - non è neanche menzionata nella campagna presidenziale .
Parlando alla comunità internazionale, la ministra degli esteri israeliana Tzipi
Livni insiste che nessun paese tollererebbe un attacco armato contro i propri
cittadini. Un'affermazione apparentemente condivisibile, se non fosse per le
sanzioni israeliane a Gaza, appoggiate dagli Usa e dall'Europa - sanzioni che
precedono il lancio di missili su Israele - e se non fosse, inoltre, per
l'occupazione israeliana.
Se si concentra l'attenzione soltanto sugli attacchi missilistici, si nasconde
la realtà della scena politica che li ha generati: «Il governo di Hamas a Gaza
deve essere rovesciato», ha ripetutamente affermato Livni. «I mezzi per farlo
devono essere militari, economici e diplomatici».
Ma la responsabilità per la sofferenza a Gaza e in Israele è da attribuire
direttamente ai governi israeliani che si sono succeduti: del Labour, del Likud
e di Kadima. Se ci fosse stato un reale processo politico (è da ricordare che la
chiusura di Gaza cominciò nel 1989), israeliani e palestinesi avrebbero potuto
vivere insieme in pace e in prosperità per vent'anni. Dopotutto, già nel 1988 l'Olp
aveva accettato la soluzione dei due stati, secondo la quale lo stato della
Palestina sarebbe sorto dal solo 22 per cento del territorio storico
palestinese, mentre il restante 78 per cento sarebbe andato ad Israele.
Un'offerta decisamente generosa.
Israele, tuttavia, si sforza di nascondere la sua preferenza per il controllo,
piuttosto che per la pace. Presentare i propri attacchi come una risposta ai
missili da Gaza, sfruttare la rabbia del momento per nascondere le intenzioni
più profonde e le politiche effettive, tutto ciò va letto in questa luce. Anche
la violazione del cessate il fuoco da parte di Israele passa in secondo piano.
Il fatto che gli attacchi missilistici potevano essere evitati attraverso un
serio processo politico significa che la popolazione del sud di Israele è tenuta
in ostaggio dal suo proprio governo. La sua sofferenza, così come la sofferenza
delle popolazioni di Gaza e del resto dei territori occupati, deve essere
ascritta senza indugi al governo di Israele.
Israele non può aspettarsi la sicurezza dei suoi cittadini e la normalizzazione
politica finché prosegue a tenere sotto occupazione le terre palestinesi e
finché persevera nel tentativo di imporre il suo governo permanente sui
palestinesi attraverso la forza militare.
Ci appelliamo al governo israeliano affinché cessi immediatamente le sue
aggressioni e avvii un reale negoziato politico con l'unione delle forze
palestinesi.
Chiediamo alla comunità internazionale di porre immediatamente termine alle
sanzioni a Gaza nel rispetto delle leggi internazionali, di iniziare un
effettivo processo politico che metta fine all'occupazione israeliana e porti a
una pace giusta, che rifletta il volere delle popolazioni israeliane e
palestinesi.
(trad. di Nicola Vincenzoni)
*Storico pacifista israeliano, direttore del Comitato israeliano contro le
demolizioni delle case (Icadh), che ha sede a Gerusalemme e sedi distaccate in
Gran bretagna e negli Usa
27 gennaio 2009
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA