13 luglio 2009
Farse e tragedie del Bel Paese
Il governo Berlusconi ha scelto l’Aquila come sede del G8. Una scelta azzardata ma dall’alto contenuto simbolico. L’Aquila diventa il paradigma di tutte le emergenze e di come esse possano essere brillantemente e velocemente risolte. Metafora eloquente: così come la piccola Aquila distrutta viene prontamente soccorsa e ricostruita dal governo italiano, altrettanto lo è dai grandi della terra riuniti in concistoro il mondo, sconquassato da guerre e catastrofi ambientali e travolto ora da una devastante crisi economica.
L’Aquila epicentro del disastro diventa la sede del prestigioso G8; Berlusconi non tradisce le sue origini di uomo di spettacolo ama le sorprese, i colpi di scena improvvisi (anche se ultimamente ne ha avuti un po’ troppi e inaspettati anche per lui…). Mentre gli sfollati crepano dal caldo di giorno e muoiono di freddo la notte dentro le tende – 3 mesi in tenda! – fervono i preparativi per l’allestimento del grande summit. Preparativi che consistono fondamentalmente in una sfarzosa accoglienza (altro che tende e zuppe fredde!) e in un’enorme blindatura, in una mostruosa militarizzazione (prove tecniche per ben altri scenari…): 15.000 uomini, 7 aerei, 12 elicotteri, 51 veicoli, impianti radar, uno scudo aereo (addirittura!), aerei senza pilota ecc. ecc. Che mostra di sé fa un potere che ha tanta paura!?
Da lontano il tutto appare come una gigantesca farsa, da vicino, per chi lo vive sulla pelle, è una turpe tragedia senza fine. Eccone il breve riassunto:
I° atto. Si costruisce in zona sismica dove non si dovrebbe costruire, si costruisce non solo senza misure antisismiche ma al risparmio di cemento, calcestruzzo, ferro.
II° atto. Non si evacua la popolazione in tempo pur avendo chiari e manifesti tutti i segnali che precedono un’imminente catastrofe.
III° atto. L’arrivo dei soccorsi è da una parte una formidabile macchina propagandistica che vuole mostrare l’esemplare efficienza del governo, dall’altra un’operazione di militarizzazione del territorio per prevenire la sacrosanta organizzazione e la lotta. Quanto al soccorso, lo si chieda a chi vive nelle tende oggi.
IV° atto. Cambio di scena. L’Aquila deve risorgere dalle ceneri e ascendere al cielo con fragorosi e giubilanti fuochi pirotecnici, diventare da luogo del martirio a prestigiosa sede del G8: tutta la zona per un raggio di 3 chilometri diventa off limits.
Il V° atto ci piacerebbe, per una volta, scriverlo noi, (non saremmo, lo assicuriamo, meno crepitanti e travolgenti…), la natura ci sta provando come può a rompere le uova nel paniere, il terremoto non molla la presa, la popolazione dell’Aquila continua a vivere un incubo di cui non riesce a vedere la fine. Il governo Berlusconi vuole ribaltare la catastrofe a suo vantaggio, con la solita sfacciataggine a cui ci ha abituato vorrebbe, con questo G8, aggiungere un altro punto a suo favore.
Noi riusciremo a impedirglielo non certo oltrepassando le tante zone rosse in cui ormai sono condannati a imprigionarsi questi sempre più impotenti potenti, ma organizzando pazientemente e alacremente a livello locale nazionale internazionale, la grande forza di cui disponiamo, milioni e milioni di lavoratori e di senza riserve autoctoni e immigrati, affasciati da una stessa sorte ma insieme orientati da un progetto comune.
Nei giornali e nelle tv si parla dei manicaretti che gusteranno i grandi della terra, delle difese militari che li accompagneranno, quasi nulla di che cosa vengano a fare, quali progetti abbiano. Ha un piano il capitalismo per uscire dalle catastrofi che continuamente riproduce? Non può averlo, perché qualsiasi piano di specie, che garantisca un futuro all’umanità, agli altri esseri viventi, alla natura deve mettere al bando il profitto, la proprietà privata dei mezzi di produzione e del suolo, lo sfruttamento. Dovrebbe cioè negare sé stesso, suicidarsi!
Non lo farà. Esso continuerà a gozzovigliare sulle catastrofi finché glielo lasceremo fare. Il Capitale fa da tempo il suo sporco mestiere, il nostro (pulito), dobbiamo imparare – o piuttosto reimparare – a farlo. I movimenti locali di resistenza (dall’Anti Tav al No Dal Molin alle decine di altri comitati sparsi per la penisola), le mille lotte in difesa del posto di lavoro, le lotte degli immigrati contro il pacchetto sicurezza e il razzismo, devono intrecciarsi, collegarsi, sentirsi parte di un unico grande movimento contro il governo, contro il capitalismo imperialista.
Mai come oggi qualsivoglia sia pur minuscola lotta locale ha le stigmate della globalizzazione, è cioè immediatamente internazionale, mette in discussione alle radici il sistema sociale che combatte. È la realtà che ci impone di fondere ogni singolo rivolo di lotta, organizzarlo in un piano comune e scagliarlo contro le tante facce: governo, multinazionali, FMI, Banca Mondiale, Onu, NATO, G8, ecc. di un unico nemico, il Capitale.
13 luglio 2009
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA