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Dal supplemento del Che Fare  n.° 69 maggio 2008. Speciale elezioni

"La paura e la speranza"

Cosa riserva ai lavoratori la prospettiva delineata da Tremonti&C. per i "tempi di ferro" che si annunciano?

Sappiamo che il nostro giornale difficilmente capiterà tra le mai dei lavoratori che hanno votato i partiti di governo. Sarebbe, però, un tragico errore trattare tali lavoratori come i veri alfieri della destra, irreversibilmente perduti alla lotta e alla prospettiva di classe. A spingerli verso i partiti della destra è comunque l'attesa di veder tutelati i propri interessi di lavoratori. Si tratta di una micidiale illusione, d'accordo. Ma è esattamente su questo che vanno incalzati, discutendo le conseguenze immediate e storiche della prospettiva offerta, pur tra contrasti e incoerenze no da poco, dalla destra. Tale prospettiva è stata esplicitata nel libercolo "La paura e la speranza" del super ministro dell'economia Tremonti.

Tremonti avverte che si stanno avvicinando "tempi di ferro", caratterizzati da una feroce competizione sul mercato mondiale. Egli afferma che, in tale competizione, l'Europa rischia di affondare, stretta dal potere della turbo-finanza e dall'ascendente potenza capitalistica della Cina. Anche se non lo scrive esplicitamente, Tremonti fa, infine, intendere che le sorti di questa sfida saranno decise sul terreno militare, come accadde all'inizio del XX secolo quando l'egemonia sul mercato mondiale della Gran Bretagna fu sfidata dalla potenza ascendente della Germania. In vista e in preparazione di tale regolamento di conti planetario, per Tremonti l'Europa deve compiere una profonda ristrutturazione attorno ai seguenti perni:

1) lo smantellamento del welfare state e della regolamentazione sulle imprese a tutela dei lavoratori e dell'ambiente che le lotte proletarie in Europa hanno conquistato nel XIX e nel XX secolo;

2) il federalismo fiscale;

3) il protezionismo;

4) la restaurazione dell'ordine e della gerarchia sociale capitalistica;

5) il colbertismo;

6) il compattamento interclassista attraverso la costruzione del "nemico esterno" (la Cina, l'immigrato ...) e l'abbarbicarsi ai valori giudaico-cristiani, alle tradizioni locali delle varie regioni europee.

   Concorrenza sfrenata tra lavoratori

Il primo obiettivo viene giustificato con la motivazione che esso è vitale per il rilancio della competitività delle imprese europee. Verissimo. Falsissimo che i lavoratori non perderanno così le tutele sanitarie, previdenziali, ambientali che oggi continuano, in parte, a valere. Tremonti afferma che esse verrebbero garantite dal lancio della filantropia, del volotariato, dei fondi pensioni. Certametne ... come accade negli Usa e in Gran Bretagna grazie alle "riforme" di Reagan-Thatcher!

Non pochi lavoratori delle "regioni ricche" si illudono che il federalismo fiscale permetta di evitare un drastico salto all'indietro nella quantità e nella qualità dei servizi sociali e dia loro un maggior potere di controllo sulla destinazione delle spese pubbliche, sulla gestione del "loro"ospedale, sul "loro" lavoro. Il federalismo fiscale, anche nella versione più moderata di quella bossiana su cui converge lo stesso partito democratico, avrebbe, in realtà, effetti ben diversi, come abbiamo denunciato più volte sulle pagine del nostro giornale (vedi archivio Che fare). La rivoluzione fiscale di Tremonti amplificherebbe le differenze nelle condizioni di esistenza tra i lavoratori delle regioni del Nord-Italia e le regioni del Sud-Italia, accentuerebbe, in conseguenza di ciò, la concorrenza tra loro e tra tutti i lavoratori, ed olierebbe così il meccanismo attraverso cui il capitale sta stritolando i lavoratori. Più rapidamente di quanto non si pensi, il federalismo fiscale porterebbe, inoltre, al taglio del welfare state anche per i lavoratori delle "zone ricche". Il federalismo, ioltre, concimerebbe il terreno, come vedremo, per accorpare i lavoratori di tutte le regioni e dell'Europa alla seconda fase, quella militare, della prospettiva proposta da Tremonti. E tutto questo senza che scompaia il prelievo fiscale sulle tasche dei lavoratori, visto che,  "smontato" il welfare, rimangono altre funzioni statali da finanziare (prima di tutto quelle repressive-militari) e che le risorse per tali funzioni graveranno più di oggi sulla classe proletaria mediante lo "spostamento dell'asse del prelievo fiscale dalle persone alle cose", cioè dalle tasse dirette a quelle indirette.

Sulle conseguenze per i lavoratori del protezionismo siamo già intervenuti nel 2003 nel n.62 del nostro giornale, quando Bossi e Tremonti cominciarono a proporre le clausole di protezione ambientale e sociale sulle merci in arrivo dall'Oriente come panacea dei mali dei lavoratori dell'Italia settentrionale. Ci limitiamo a ricordare la nostra tesi: il protezionismo padano, italiano ed europeo serve a picconare le imprese dei paesi dell'Estremo Oriente  e del Sud del mondo a vantaggio delle imprese europee, a mettere le mani di queste ultime sulla manodopera di quelle regioni senza il diaframma parzialmente autonomo della borghesia cinese, a stoppare sul nascere il percorso di resistenza sindacale avviato da alcuni anni dai lavoratori di quelle aree contro lo sfruttamento dei propri capitalisti e delle multinazionali occindentali.

Il picconamento delle imprese asiatiche è nell'interesse dei capitalisti europei ma non dei lavoratori europei. Che effetto avrebbe sulle loro condizioni e di lavoro e di vita la completa conquista da parte del capitale europeo di un gigantesco servatoio di manodopera super-sfruttata in Asia? Non insegnano niente gli effetti della mondializzazione del mercato del lavoro degli ultimi venticinque anni? Davvero strano, poi, il modo di ragionare di Tremonti: le imprese asiatiche dovrebbero "regolamentare", quelle europeee "deregolamentare". Davvero, ciò conviene ai lavoratori italiani? Ai lavoratori europei conviene, in realtà, che si conservino in Europa le tutele collettive conquistate e che esse siano estese in Cina, nell'Est e nel Sud del mondo. E ciò si può fare contro gli accorpamenti inter-classisti entro le comunità locali e euro-regionali perorati da Tremonti, contro i muri che egli intende alzare tra i lavoratori del continente europeo, e tra questi ultimi e quelli di altri continenti. A partire da quelli contro i lavoratori immigrati.

  Gerarchia sociale e compattamento sciovinistico

Il quarto perno è quello del potenziamento della gerarchia sociale. Elogio sperticato, quindi, dei "valori" dell'autorità, della gerarchia, dell'ordine sociale e accusa rancorosa contro "l'acido corrosivo del '68, reo di aver incrinato l'autorità del padrone, del maschio, del colonialista sull'operaio, sulla donna e sul colonizzato, e di favorire, con la sua eredità, l'assalto alla "gentile Europa" da parte dei nemici esterni, gli "speculatori finanziari" e il "dragone cinese". Qui, occorre voltare pagina, taglia corto Tremonti. "All'origine della crisi europea ci sono state (anche) la "cultura del '68" e di riflesso la "democrazia del '68", con la moltiplicazione dei diritti rispetto ai doveri: la democrazia dal basso, la democrazia permanente, la democrazia dei sindacati universali e dei comitati territoriali ne sono l'effetto. È così che sono state azzerate le leve dell'autorità,  ed è così che sono state destrutturate e depotenziate la società e le sue istituzioni. (...) L'acido del '68 non ha eroso solo il "capitale culturale", ma anche quello istituzionale, un tipo di capitale che è sempre stato importante, ma che è diventato strategico nell'età della competizione globale" (pp85-86) Ecco il reale senso del comunitarismo di cui ciancia Tremonti: i lavoratori zitti al loro posto, torchiati in fabbrica e in ufficio; al massimo possono occuparsi delle "piccole cose" del loro quartiere o del loro paese; le decisioni che contano spettano ai manager dell'economia e della politica...

Per quanto riguarda il cosiddetto colbertismo, per Tremonti è giunto il momento del semaforo verde a nazionalizzazioni ed emissioni di euro-bond per la promozione di infrastrutture ed per il sostegno delle imprese industriali strategiche secondo le linee-guida del piano Delors. La nebulosa in cui Tremonti avvolge questi interventi, non permette di stabilire se essi vadano nel senso di una ristrutturazione del capitale europeo finalizzato al recupero della sua competitività globale verso l'imperialismo degli Stati Uniti e il capitalismo ascendente della Cina o nel senso della protezione semi-clientelare di interessi localistici. Nell'uno e nell'altro caso però, il colbertismo di Tremonti promette di garantire posti di lavoro e di compensare i lavoratori dagli eventuali guasti derivanti dal picconamento del welfare e dalle protezioni normative stataliste. Anche questa volta l'amo è insidioso  e ha già trovato più di un sostenitore tra i dirigenti-naufraghi della Sinistra Arcobaleno. L'effetto reale di tale politica sarebbe, però, simile a quello prodotto dal keynesismo diffuso in Occidente (nei paesi nazi-fascisti e in quelli democratici) dopo il crack del 1929, e cioè il contenimento dell'antagonismo di classe in chiave inter-classista e l'indirizzo di esso nella prospettiva della guerra esterna per la rispartizione del mercato mondiale. Per intanto, Tremonti&C. fanno agire in tal senso la propaganda sull'origine esterna all'Europa (Cina, speculatori finanziari ...) dei problemi che cominciano a pressare i lavoratori europei e la politica razzista contro il "nemico esterno" - immigrato.

   Il male che ci assedia è interno all'Europa.

Tremonti dà ad intendere ai lavoratori che il ritorno al pieno dominio euro-atlantico sugli altri continenti caratteristico del XX secolo possa conservare, pur se al ribasso e magari solo nelle "comunità locali più ricche", il compromesso sociale che ha trovato in quel dominio uno di quei pilastri strutturali. Per prospettare tale miraggio e per favorire l'illusione ottica l'impasto di Tremonti assegna un ruolo non secondario, da un lato, al rilancio dei valori giudaico-cristiani e, dall'altro,  all'apologia del federalismo e delle piccole patrie. Rispetto al XX secolo sono, però, venute meno le condizioni che hanno permesso al pieno dominio dell'Europa sul mondo di tradursi in un' "umanizzazione" della condizione proletaria in Occidente. Tra queste il possesso del monopolio industriale da parte dei lavoratori europei: la mondializzazione della produzione industriale e del mercato del lavoro industriale è un elemento irreversibile del  capitalismo contemporaneo. Dalla concorrenza che essa scatena tra i lavoratori asiatici e quelli europei, ci si può difendere solo mediante l'organizzazione di una lotta comune inter-continentale contro il capitale globale e le sue articolazioni locali. A differenza di quanto accaduto nel XIX e nel XX , l'eventuale futuro rilancio della "signoria dell'Europa sul mondo" sarà accompagnato dallo scivolamento in un'esistenza barbarica e nella decomposizione della condizione umana anche per il lavoro salariato europeo. Altro che dell'individuo e vita fraterna comunitaria!

Noi comunisti non ci opponiamo alla prospettiva di Tremonti in nome pacifismo e del panciafichismo. Nei tempi di ferro che si avvicinano, anche per difendere la condizione proletaria ci vogliono mezzi di ferro. Mezzi che siano però quelli realmente corrispondenti agli interessi e ai fini storici della classe lavoratrice: la guerra di classe per il comunismo, l'internazionalismo proletario, la preparazione - all'oggi - dei presupposti dell'una e dell'altro. Il male che attenta all'ospedale e al lavoro nelle città  tal dei tali, al bene comune del territorio tal dei tali assaltato dalla discarica, dall'inceneritore, dalla base militare euro-atlantica e da altre mostruosità, non è esterno all'Europa, come dice Tremonti, è interno ad essa. Ciò che comprime l'Europa attraverso la turbo-finanza e la Cina capitalista è un sistema sociale, il capitalismo, che ha in Europa uno dei suo propulsori. Per costruire un futuro nuovo per i proletari anche solo in un singolo territorio, i lavoratori padani, italiani ed europei sono chiamati ad organizzarsi contro i rappresentanti locali del sistema sociale che attenta ai loro interessi, contro i borghesi autoctoni, quelli "sani" e quelli "speculatori", e a cercare la forza di resistenza nei loro fratelli di classe incapsulati in altre prigioni comunitarie interclassiste, in altre regioni, in altri paese, in altri continenti.

Dal declino dell'Europa non si può uscire insieme, padroni - piccoli e grandi - e lavoratori. Per liberarsi dai miasmi emanati dal declino dell'Europa quale la conosciamo oggi, l'Europa borghese va picconata, va affondata, insieme al sistema capitalista planetario di cui essa è un pilastro. Al loro posto, sulle loro ceneri, un mondo nuovo, il comunismo, l'unico sistema sociale in cui "il libero sviluppo di ciascuno  è la condizione per il libero sviluppo di tutti" (il manifesto del partito comunista, 1848), i cui è spazzata via l'oppressione statalista e in cui il governo sulle persone è sostituito dall'amministrazione delle cose da parte della collettività auto-organizzata.  E tutto questo "semplicemente" perché è raso al suolo, via rivoluzione e dittatura di classe, lo sfruttamento del capitale sul lavoro. In Europa e nel resto del mondo.

Dal supplemento del Che Fare  n.° 69 maggio 2008. Speciale elezioni

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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