Una cosa è certa, 
abbiamo un nemico comune 
contro cui batterci insieme: 

il capitalismo.


Noi siamo comunisti.

Militanti di un’organizzazione comunista costituita in massima parte da italiani, ma non limitata nella sua attività dai confini del "patrio" stato: al contrario, proiettata verso un lavoro ed un’organizzazione internazionale poiché il comunismo, piaccia o non piaccia, o è internazionalista ed internazionale o non è.

Come tali siamo presenti oggi nella mobilitazione contro i G-8 con annessi e connessi. Come tali siamo stati costantemente presenti nelle mobilitazioni che, da Seattle in poi, si sono succedute, non solo a Praga e a Davos, ma in tutte quelle manifestazioni di lotta che si raccordano all’"anti-globalismo", a cominciare da quelle della Marcia mondiale delle donne, da Bruxelles a New York.

Perché ci stiamo dentro, perché ci rivolgiamo a voi tutti da comunisti pur sapendo che la gran parte di voi non si riconosce in questa parola, o addirittura, come in certe occasioni ci è accaduto di verificare sul campo, nutre ostilità verso di essa? Semplicemente per fare della "propaganda" nostra, in qualche modo dall’esterno del movimento?

È ovvio: da comunisti, facciamo propaganda per il comunismo. Ma noi rivendichiamo di essere qui, con la nostra organizzazione e le nostre "idee" distinte, come parte di questo movimento, e non all’esterno di esso, perché esso ci riguarda direttamente in quanto comunisti così come il comunismo riguarda direttamente il movimento, indipendentemente da ogni idea od intenzione personale o di gruppo, proprio in quanto questo movimento ha riproposto all’ordine del giorno la lotta al capitalismo, che è stato ed è l’antagonista storico del comunismo.

La multiforme e variegatissima protesta "anti-globalizzazione" non parte da nessuna "idea" in particolare ed anzi, al suo interno, le "idee" sono molte e le più disparate, se vogliamo. Essa parte dalla constatazione di un fatto materiale: vi è un certo ordine di cose che regola la vita sociale del mondo, che sempre più sta stringendo il cappio attorno al collo delle masse delle mille popolazioni mondiali e dell’ambiente in cui esse vivono. Quest’ordine produce, per l’uomo, un crescente disordine, una crescente alienazione, una crescente schiavitù.

Cos’è questo oggetto (non) misterioso contro cui ci rivolgiamo? Anche senza essere comunisti, la parola con cui lo designiamo è una sola: capitalismo.

Questa definizione non esaurisce di certo il problema, perché in tanti (a cominciare dal papa) possono parlare dei mali, o di certi mali, riferibili al capitalismo, meglio: "ad un certo tipo" di capitalismo, il capitalismo ultra-liberista, per poi proporne la correzione e lasciar così in piedi la Cosa "riformata". Ma, intanto, è bene che siamo in tanti, anche diversissimi tra noi, a riconoscere che vi sono degli effetti di un cancro che scavano nelle nostre carni e derivano da un sistema economico globale, globalmente strutturato nei suoi mezzi di dominio e compressione politico-militare.

Il magnifico mondo del G-8

La miseria materiale

"1,2 miliardi di poveri (i quali dispongono per la propria sopravvivenza solo di un dollaro al giorno); circa 2,8 miliardi di persone che debbono vivere con meno di due dollari al giorno; 850 milioni di analfabeti, 800 milioni di denutriti (26 dei quali negli Usa), 100 milioni di bambini sfruttati…, il bilancio del mondo in quest’inizio dell’anno 2000 è terrificante. Malgrado il progresso delle tecniche e la crescita economica, una larga parte dell’umanità soffre sempre la miseria…", (*) nell’era della massima abbondanza e della massima produttività del lavoro umano.

Nel mondo sono 11 milioni i bambini sotto i cinque anni morti durante il 1999. Si tratta, fondamentalmente, di morti da miseria, poiché "la maggior parte di questi decessi poteva essere evitata con un’adeguata prevenzione. Il 20% di essi, infatti, è morto per insufficienza di cure perinatali; il 18% di malattie respiratorie; il 17% di malattie intestinali; il 15% di malattie evitabili con l’impiego di vaccini; il 7% di malaria" (**)

* Alternatives économiques, gennaio 2000, n. 177, pp. 25-28
** dal
Rapporto Unicef 2001 sulla condizione dell’infanzia nel mondo

La miseria psichica

"Secondo i dati del ’93 del prof. N. Shinfiku, dell’Oms per l’area del Pacifico occidentale, nel 2005 avremo (nel mondo) 34,1 milioni di casi di demenza in persone superiori ai 60 anni, 535 milioni di malati mentali (di cui 413 nelle società sviluppate)."

Nel periodo tra le due guerre la percentuale di depressi sulla popolazione era del 2-3%, ora "un individuo ogni dieci nel corso della vita viene toccato dal male oscuro". In Italia, al 1996, le persono afflitte da depressione che facevano frequente ricorso ai farmaci erano stimate in 5 milioni e mezzo. Negli Usa, invece, il ministero della Sanità fornisce una stima assai più esplosiva: "566 americani su mille fanno uso abituale di psicofarmaci", che oramai sono usati regolarmente anche da un discreto numero di bambini in età pre-scolare (il loro numero è raddoppiato dal 1991 al 2000).

Nelle aree dell’Europa "liberate dal socialismo" si sta decisamente meglio: in Bosnia, ad esempio, dopo la fine della "dittatura comunista" con annessa guerra "inter-etnica", 9 bambini su 10 pensano al suicidio…

I dati sopra riportati sono tratti da: l’Unità, la Repubblica, l’Indipendente e il Giornale.

Con molta chiarezza il Manifesto dell’Azione Globale dei Popoli per Seattle dava al nemico da battere il nome che gli spetta e ne indicava le caratteristiche proprie in quanto sistema. Non abbiamo che da copiare e ripeterne l’esordio:

"Viviamo in un’epoca in cui il capitale, con l’aiuto di alcune agenzie internazionali come il Wto, il Fmi, la Banca Mondiale ed altre ancora, sta rimodellando le politiche nazionali in modo da rafforzare il proprio controllo globale sulla vita politica, economica e sociale di tutto il mondo. Il capitale è sempre stato globale. Il suo slancio illimitato verso l’espansione e il profitto non conosce confini. Dalla tratta degli schiavi dei primi secoli dell’imperialismo coloniale sui popoli, le terre e le culture del mondo, l’accumulazione capitalistica si è sempre nutrita del sangue e delle lacrime dei popoli… Ai nostri giorni il capitale sta sviluppando una nuova strategia per affermare il proprio potere e neutralizzare la resistenza della gente: la globalizzazione economica, che consiste nello smantellamento delle barriere nazionali al commercio e nella libera circolazione dei flussi finanziari. Le conseguenze della globalizzazione si diffondono in tutte le strutture della società e delle comunità del mondo, integrando i popoli in un unico e gigantesco sistema, finalizzato all’ottenimento del profitto e al controllo degli esseri umani e della natura".

Solo una "piccola" correzione: la globalizzazione economica, che agisce a tutti i livelli della vita sociale e con tutti gli strumenti a propria disposizione (per primi quelli militari) per affermare le ragioni del profitto stretto in mano da un pugno di proprietari privati sopra e contro l’insieme della società mondiale, non è una "nuova strategia", ma la conseguenza ultima ed esasperata di una tendenza propria del capitalismo, globale fin dai suoi esordi, come si legge nelle splendide, attualissime pagine di Marx sulla nascita dell’accumulazione capitalista nel I Libro del Capitale, e com’è detto limpidamente nelle prime righe di questo stesso Manifesto. Il capitale originario ha preso le mosse "integrando" le economie precedenti nel proprio sistema, distruggendo le vecchie forme di produzione autarchiche per l’autoconsumo, espropriando -dapprima nei singoli recinti nazionali- i "propri" contadini e artigiani liberi, sottraendo ad essi, con l’"aiuto di alcune agenzie", i loro mezzi indipendenti di produzione attraverso l’uso di leggi e di una forza armata ad hoc. Il capitale della nostra epoca non fa che esasperare all’ultimo grado questo processo a scala mondiale. Nessun’isola indipendente è oggi più possibile, se non ai margini e sotto il controllo spietato del capitale ai propri fini di profitto, entro questo quadro che abbraccia ormai tutto il pianeta.

È ancora il Manifesto per Seattle ad elencare con precisione l’insieme delle devastazioni connesse alla globalizzazione capitalista (che noi ricordiamo qui, in breve, nella serie di finestrelle su "il magnifico mondo dei G-8"):

"Tale processo di accumulazione ed esclusione su scala mondiale rappresenta un attacco globale ai diritti umani fondamentali con conseguenze molto visibili: miseria, fame, aumento dei senza tetto, disoccupazione, deterioramento delle condizioni sanitarie, espropriazione della terra, analfabetismo, pesanti diseguaglianze fra i sessi, crescita esplosiva del settore informale e dell’economia sommersa (in particolare produzione e commercio di droga), distruzione della vita di comunità, riduzione dei servizi sociali e dei diritti dei lavoratori, crescente violenza a tutti i livelli della società, distruzione del patrimonio ambientale, incremento dell’intolleranza razziale, etnica e religiosa, emigrazione di massa (per ragioni economiche, politiche ed ambientali), rafforzamento del controllo militare e della repressione, etc.".

L’insieme della società mondiale si polarizza, insomma, tra un pugno di padroni detentori di profitto da una parte, e la stragrande massa della società sfruttata ed abbrutita dall’altra, che soffre di questo globale dominio e schiacciamento. Storicamente questa massa è posta nelle condizioni di confrontarsi con esso per la propria comunitaria emancipazione, ma è tenuta divisa e messa in contrapposizione al proprio interno nei suoi "singoli" settori con tutti i mezzi (razza contro razza, nazione contro nazione, sesso contro sesso, fede contro fede… a servizio dell’unica razza, nazione, "sesso" e fede che contino, quelli del capitale transnazionale globale). Un polo capitalista da una parte; un polo di proletari privi di ogni risorsa al di fuori della propria merce-lavoro in "libera" vendita sul dittatoriale mercato globale, dall’altra.

È qui che incomincia la discussione tra noi, che ovviamente dà per scontata la necessità di batterci contro il capitalismo globalizzato -altrimenti perché saremmo qui?-, e si concentra sulla prospettiva della nostra lotta. Questa discussione non può che partire dal passaggio dall’opposizione ai "singoli" effetti devastanti del sistema unitario di dominazione alla lotta collettiva unitaria, come può e deve essere la lotta dispiegata contro il capitalismo in quanto tale. Una lotta per l’emancipazione di tutti e di ciascuno, di tutti come comunità mondiale, di ciascuno come singoli popoli, singole culture, singolo sesso, singolo individuo, partecipi di questa comunità reale che deve affermarsi contro il capitale e le sue leggi asservite al profitto.