Una pacca sul sedere, purché veloce e isolata, non lede alcunché nella donna che la riceve... Così recita la sentenza che ha assolto lo sventurato dirigente perseguitato dalla permalosa lavoratrice... Un caso isolato? Nientaffatto: è solo l’ultimo di una variegata lista.
Non è lontano il processo per stupro in cui si è provata la consensualità della donna con il fatto che al momento dell’accaduto indossava i jeans. Più recenti il caso della lavoratrice che, raccolte le prove delle molestie del capo, lo ha visto assolto perché ritenuto innamorato o la sentenza per cui il marito indigente che picchia la moglie non è perseguibile perché svantaggiato socialmente...
Come mai tutto ciò? Semplicemente perché le leggi, nella loro ambiguità, sono state interpretate sciaguratamente da giudici altrettanto sciagurati? No, queste sentenze sono la spia di qualcosa di profondo che si agita nella società contro la donna. Per indurla a "tornare a casa"? Neanche per sogno. Esse possono e debbono fare di tutto, anche il soldato. Lo richiede il mercato, economico e politico, del profitto. Il quale, però, ha altrettanto bisogno di far avvenire ciò a ben precise condizioni. Quali?
Nei posti di lavoro le donne devono essere super-preparate, efficienti e, nello stesso tempo, sottopagate e rigorosamente subalterne agli uomini, oppure iper-precarie per lavori dequalificati, snervanti e faticosi. E che il "lavoro fuori casa" non faccia loro montare la testa! Devono continuare a occuparsi della famiglia. E se, ahinoi!, non puliscono bene, ecco un’altra imparziale sentenza: il marito ha diritto al divorzio. E poi, che le donne non scordino di essere attraenti e alla moda, per scimmiottare -le une contro le altre- i modelli di riferimento imposti a loro e al "mondo" maschile. Non lo sono al naturale? Che si affidino a creme e a centri estetici...
Per accettare di fare tutto questo, spendendo energie e qualità degne di una persona "bionica", e, nonostante ciò, essere trattate (e sentirsi) come esseri inferiori, bisogna che ai danni delle donne sia "orchestrato" un sortilegio: le molestie sul posto di lavoro sono uno degli strumenti utilizzati a tal fine, con esse si ricorda alle donne (e si fa loro introiettare) che il loro attributo più apprezzato rimane quello di sempre. E quindi, che non possono aspirare all’uguaglianza sociale con gli uomini. Le donne ne restano schiacciate, e con esse sono colpiti gli stessi lavoratori, consapevoli o meno che ne siano.
Perché scandalizzarsi di tutto ciò? È l’applicazione al femminile del "diritto-dovere" cui la società capitalistica chiama i suoi membri, nei modi corrispondenti al ruolo di ciascuno: prostituire la propria vita alla vitalità del profitto. Se per i lavoratori ciò significa immolare sul mercato il proprio tempo di vita, per le donne a ciò si aggiunge un’ulteriore richiesta: perché, chiede loro il capitale, volete preservare e riservare a pochi intimi il vostro corpo? Se esso, per sostenere la competitività, può essere maciullato da un lavoro senza sicurezza, perché non può essere anche palpato dal superiore, se questi ne ha voglia? Non avete forse accettato, come donne e come lavoratori, di legarvi mani e piedi alla salute dell’azienda?
Sì, è vero, finora è stato così. E poiché ciò sta spingendo in basso la condizione della donna e degli sfruttati tutti, è tempo di cambiare strada. Un aiuto non verrà dalla magistratura, la quale non può che raccogliere e rafforzare le spinte selvagge che si agitano nella società per effetto degli istinti bestiali del capitale. Il rimedio non può essere un rattoppo.
Della sua odissea durata circa un anno, la giovane moldava racconta.
"Per cento dollari potevano fare di me ciò che volevano, arrivavano ubriachi a qualsiasi ora, pagavano e facevano di tutto, volevo chiedere aiuto ad uno dei tanti soldati che mi hanno portata a letto, ma loro pagavano, volevano solo una cosa e non ascoltavano". Anna tira in ballo i militari della Kfor ("francesi, inglesi, italiani, e tedeschi" aggiungono al centro Regina Pacis), le forze Nato di stanza in Macedonia, che per dieci mesi avrebbero approfittato della sua condizione di "schiava" del sesso…
Don Cesare Lodeserto, non sembra avere dubbi. "La ragazza è stata chiara -dice-. A Truka, in Macedonia, ci sarebbero almeno una ottantina di ragazze, segregate e controllate da organizzazioni malavitose che le sfruttano, mettendole a disposizione dei militari della forza multinazionale di pace".
Dal racconto che Anna ha fatto alle nostre forze dell’ordine, sembra di capire che Truka è una sorta di crocevia del sesso a disposizione anche dei militari impegnati nei Balcani. "Mi risulta -afferma il sacerdote- che Truka è un paese che vive della presenza della forza multinazionale di pace. Tutto ruota intorno ai contingenti dei militari: il paese vive unicamente per lo sfruttamento dei soldati. Sono loro che portano il denaro e sono loro, quindi, che vanno soddisfatti sotto tutti i punti di vista"…
Dall’Avvenire, del 2.2.2001