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La condizione della donna, le lotte delle donne e la lotta per il comunismo negli articoli del che fare
Da alcuni anni la nostra organizzazione ha avviato un lavoro sistematico sulla questione femminile, vista come parte integrante e decisiva dello scontro epocale tra capitalismo e comunismo. Questo lavoro ha avuto e ha una duplice dimensione, interna ed esterna, è insieme e in modo indivisibile un lavoro teorico, volto a riconquistare tutto il patrimonio che il marxismo rivoluzionario ha prodotto anche in questo campo, a partire dagli splendidi contributi di Marx e di Engels, e un lavoro politico, volto a portare nel proletariato e tra le masse femminili l'analisi e la denuncia di parte comunista dei molteplici aspetti dell'oppressione borghese della donna, e ad indicare e assolvere i relativi compiti di battaglia.
E' uno sforzo che ha coinvolto non soltanto le nostre compagne, chiamate come è ovvio a farsene carico in prima persona, ma l'intera organizzazione, in quanto la "questione della donna" non sta a sé, né può esser risolta dalla sola, essenziale, auto-organizzazione e lotta delle donne; essa richiede uno sforzo congiunto e solidale delle compagne e dei compagni, del proletariato di entrambi i sessi, perché la grande potenzialità di ribellione che lo schiacciamento, lo sfruttamento e la mercificazione della donna operati dal capitale produce si esprima a pieno, e perché la lotta per la liberazione della donna si integri nella più generale battaglia degli sfruttati di tutto il mondo per il comunismo.
Abbiamo un grande ritardo da colmare, un ritardo che è un aspetto del pauroso arretramento della classe e del partito seguito alla sconfitta degli anni '20. Non ci illudiamo certo di averlo già colmato, né di poterlo colmare con le sole nostre forze e in assenza di una autentica ripresa rivoluzionaria che, per quanto attesa da lungo tempo, non è ancora avvenuta, ma siamo fieri di esserci messi all'opera, soddisfatti di toccare con mano già i primi risultati del nostro lavoro e determinati a proseguirlo, per quella gran parte di esso che resta ancora da fare, al meglio delle nostre possibilità.
Ne richiamiamo qui ai nostri lettori e alle nostre lettrici alcuni passaggi attraverso delle stringate (e perciò un po' limitanti) sintesi degli articoli pubblicati dal nostro giornale a partire dal 1995. Inutile dire che questo pro-memoria, come l'intero "speciale" dedicato alla questione femminile, vale come invito rivolto a loro a discutere le nostre tesi, e a rafforzare e arricchire il nostro lavoro.
Dalla parte della donna
(che fare, n. 36, ottobre 1995)
Testo, brevemente commentato, del volantone diffuso alla manifestazione nazionale delle donne tenutasi a Roma nel giugno 1995 contro i progetti governativi in materia di aborto. Vi si denunciano gli attacchi concentrici e sempre più brutali nei confronti delle donne, e in primo luogo delle donne proletarie, del nord e del sud del mondo, come facenti parte dell'attacco più generale sferrato negli ultimi vent'anni dai capitalisti alla classe operaia internazionale. Quest'attacco, così come i tentativi di restringere o finanche sopprimere i diritti all'aborto e al divorzio, possono essere respinti solo dalla più decisa ripresa della lotta anti-capitalista del proletariato e di tutti gli sfruttati e dalla mobilitazione diretta delle masse femminili. Nulla di buono, invece, possono aspettarsi le donne dalle deleghe parlamentari o dai "blocchi" interclassisti.
Il "caso Sabani"
(che fare, n. 40, settembre 1996)
I presunti scandali che ogni tanto emergono intorno al mondo dello spettacolo, riguardanti ad esempio il giro di prostituzione diretta o "indiretta" che coinvolge centinaia di aspiranti attrici, modelle, veline, etc., non sono fatti eccezionali, sono fatti conformi alla "regola di fondo della società presente che, di per sé, è tutta un'immensa casa di tolleranza". Il capitale ha snaturato e bestializzato tutte le facoltà umane sotto il segno del possesso e del complementare spossessamento, riducendo ognuna di esse, dal sesso all'intelligenza, a merci da vendere o comprare (come Marx dimostra nel magnifico capitolo sul denaro dei Manoscritti economico-filosofici). La cosiddetta "libera" compravendita di tutti gli attributi umani "consumabili", compresa la creatività artistica, non ha nulla di libero: è semplice coazione a vendersi.
Solo il proletariato è in grado di spezzare l'insieme del sistema di prostituzione vigente, risolvendo così anche la specifica questione della mercificazione del sesso. Può farlo non come individuo perché il singolo proletario in quanto individuo non è altro che un consumatore di questo mercato (alla scala ridotta del suo misero salario), bensì soltanto come classe, la sola classe posta nella condizione di poter materialmente spezzare il meccanismo globale di alienazione della società borghese. Battaglia politica, quindi, contro le posizioni dei presunti progressisti secondo i quali il corpo e la sua "gestione" debbono essere lasciati alla "scelta" e all'"etica" dei singoli; posizioni che di fatto avallano la generalizzata prostituzione propria della società borghese. Per i comunisti, al contrario, anche il corpo è un dato sociale, e i naturali bisogni del corpo e del sesso potranno ricominciare a essere soddisfatti e appagati in modo umano solo attraverso un generale e collettivo rivolgimento sociale. Che le ragazze vi partecipino, rifiutando e combattendo le squallide "idealità" e le violenze che questa società riserva loro!
Donne e impegno politico (che fare, n. 41, dicembre 1996)
Questo articolo cerca di individuare le cause della limitata attivizzazione delle donne nelle lotte sociali e la loro scarsa partecipazione alla attività politica, un fatto che pesa negativamente sulla condizione delle donne e su tutta la battaglia degli sfruttati e degli oppressi per la loro emancipazione, portando acqua solo al mulino della stabilizzazione capitalistica. La causa di fondo di tutto ciò è storico-sociale e non naturale, e risiede nel ruolo affidato da millenni alla donna in tutte le società divise in classi, quello di schiava della casa, addetta alla cura dei figli e alla soddisfazione dei desiderata sessuali dell'uomo. Un ruolo che non è stato certo negato nella società capitalistica, ma solo complicato dal lavoro extra-domestico che molte donne svolgono. Assorbita com'è da questa doppia schiavitù, alla donna resta ben poco tempo e spazio per dedicarsi alla vita politica. Su questa passivizzazione delle donne la borghesia ci marcia, mentre il proletariato ha, al fondo, tutto da guadagnare e niente da perdere dalla attivizzazione sociale e politica delle donne che, in quanto oppresse, sfruttate che si ribellano, non possono che andare a rafforzare il fronte della lotta anti-capitalistica.
Tuttavia il movimento operaio e comunista marca un ritardo specifico su questa questione. Questo ritardo, in cui non poco ha pesato e pesa l'eredità stalinista, può e deve essere superato favorendo e sostenendo la mobilitazione e l'organizzazione di massa delle donne, e svolgendo tra gli operai di sesso maschile un lavoro politico "contro le resistenze e i pregiudizi che si annidano in essi". Anche nella vita di partito, di organizzazione, dev'essere vinto l'indifferentismo verso le specifiche difficoltà che le compagne incontrano nell'esprimere a pieno tutte le proprie potenzialità di lotta. Una maggiore e più qualificata partecipazione delle donne alla vita di partito è indispensabile per elevare l'intera coscienza comunista del suo corpo militante, a cominciare dai suoi militanti uomini. Una partecipazione che dipende dalla assunzione collettiva ed effettiva di questo obiettivo, e non dalle risposte formalistiche proprie dei partiti borghesi, tipo "quote" o quant'altro, regolarmente svuotate di significato nei fatti.
India: la rivolta popolare di Bangalore contro il concorso di Miss mondo
(che fare, n. 41, dicembre 1996)
Se i giornali borghesi si sono ingegnati a sottolineare i caratteri "fondamentalisti e tradizionalisti" della rivolta popolare di Bangalore contro il concorso di Miss mondo, noi comunisti, invece, la salutiamo come un segno della rinascita del protagonismo delle masse femminili. Un protagonismo che in questo caso si è scagliato contro quel "mercato internazionale della carne e del sesso" che sono i concorsi di bellezza, ma che ha avuto anche una chiara valenza anti-imperialista. Le donne indiane, infatti, hanno definito quel concorso "uno strumento dell'invasione culturale dell'Occidente, un'offesa alla condizione della donna, un oltraggio alla povertà di milioni di persone". Motivi anti-imperialisti, motivi di lotta alla mercificazione dell'essere umano-donna, motivi classisti, dunque, sebbene si innesti su di essi un tentativo tradizionalista e reazionario di cavalcarli per deviarli e spegnerli. L'estensione e la radicalizzazione del protagonismo delle donne indiane che noi sommamente ci auguriamo e che già oggi lancia un potente segnale alle donne bianche, sarà in grado di fare i conti anche con le tradizioni maschiliste e fondamentaliste.
Albania: lo sciopero delle operaie dell'Abaco Shoes
(che fare, n. 41, dicembre 1996)
Articolo di denuncia dell'opera di rapina e di supersfruttamento delle aziende italiane in Albania, dove la presunta missione "umanitaria" Pellicano altro non è stata che un'operazione militare finalizzata ad aprire le porte di Tirana agli squali dell'imprenditoria italiana.
Rapina e superfruttamento a cui si accompagna anche il tentativo di umiliare i corpi e la dignità delle donne albanesi. La lotta delle operaie della Abaco Shoes si è levata proprio contro questo infame intreccio. Noi l'abbiamo salutata con entusiasmo come un messaggio lanciato a tutte le donne albanesi e italiane: fondere la ribellione contro l'oppressione femminile con la battaglia di classe contro l'opera di rapina e di sfruttamento del "civile" Occidente.
Donna e Islam
(che fare, n. 41, dicembre 1996)
La propaganda imperialista presenta la condizione delle donne islamiche come il risultato di barbare usanze dettate dalla religione e dai costumi islamici, e ha l'impudenza di affermare che solo l'Occidente può liberarle. Al contrario, la prima fonte dell'oppressione delle donne islamiche, come degli sfruttati islamici, è proprio l'imperialismo occidentale, che ha protetto e funzionalizzato a sé le sopravvivenze del patriarcalismo tribale o semi-feudale (vedi Afghanistan, Arabia Saudita, Kuwait); un'oppressione che le borghesie nazionali dei paesi islamici sono incapaci e impossibilitate a tagliare alla radice, perché anch'esse ne vivono.
Per quel che attiene alla religione islamica, è un fatto storico che l'islamismo delle origini contribuì al miglioramento della condizione e della considerazione sociale della donna. Quanto invece al tempo presente, distinguiamo diversi Islam, che presentano caratteri differenti anche in ordine alla condizione della donna. C'è un Islam del patriarcalismo tribale, un Islam riformatore blandamente nazionalista, un Islam "rivoluzionario" e "anti-imperialista". Essi hanno relazioni molto differenti con l'imperialismo e attitudini differenziate nei confronti della donna, ma nessuno è un compagno di strada del movimento proletario e può portare ad una vera emancipazione della donna. Il riscatto delle donne islamiche, infatti, è legato al totale sbaraccamento dei vecchi rapporti sociali, alla rivoluzione sociale anti-imperialista e anti-capitalista, che non è nei programmi né nelle possibilità di nessuna forma dell'islamismo. Nessun avanzamento delle donne islamiche è possibile al di fuori di questo processo rivoluzionario, e dunque al di fuori del moto anti-imperialista degli sfruttati islamici. Lo dimostra la storia, lo ha dimostrato la rivoluzione russa e il ciclo rivoluzionario di inizio secolo.
A corredo dell'articolo viene pubblicato il testo dell'intervento della compagna Nadja, delegata turca al 1 ° Congresso dei Popoli dell'Oriente, tenutosi a Baku nel settembre del 1920.
Questione sessuale e vita di partito
(Che fare, n. 42, marzo 1997)
Alcune risposte ai nostri lettori sui rapporti tra vita individuale e vita collettiva, tra uomo e donna. Per i comunisti non esiste una sfera privata proprietà del militante-individuo separata da una sfera sociale su cui avrebbe invece competenza il partito. "Il militante che intende a pieno il senso dell'appartenenza alla causa tende in modo cosciente a un'altra società, alla futura comunità umana", e dunque prende l'impegno di "riconoscersi non nel cittadino, nell'individuo borghese, ma nel membro della futura collettività umana comunista". Per questo il militante comunista è tenuto a rifiutarsi di avere un rapporto abbrutito con l'altro sesso qual è quello che si stabilisce tra cliente-padrone e prostituta-schiava, e per altro verso non può certo praticare il farfallonismo amoroso, sfuggendo a quella autenticità e completezza di rapporti che i comunisti perseguono, esaurendo le proprie energie vitali in una futile rincorsa del piacere fisico immediato. Quello che gli è richiesto, che la nostra organizzazione gli richiede, è uno sforzo di coerenza con gli obiettivi generali della lotta per il comunismo, è un impegno senza riserve nella lotta alla morale e alla società borghese, per instaurare "tra i sessi dei rapporti autenticamente umani, di scambievole fiducia, di solidarietà, di amore, a cui sia estranea la pratica mercantile del comprare e del vendere, dell'andare e del mettersi sul mercato". Uno sforzo di coerenza alla propria "morale di lotta" che è possibile adempiere, si capisce, solo nella vita collettiva di organizzazione.
I passi indietro nella condizione delle donne lavoratrici
(che fare, n. 43, maggio 1997)
Denuncia degli arretramenti delle condizioni di vita e di lavoro delle donne, e delle donne proletarie in specie. La borghesia ha sempre utilizzato l'ingresso delle donne nel mercato del lavoro non solo per sfruttare una manod'opera meno costosa di quella maschile, ma anche per metterla in concorrenza con quest'ultima. Oggi questa sua necessità si fa ancora più stringente in quanto è accompagnata dai tagli alla spesa sociale. L'industria tessile è un settore nel quale dall'Italia al Bangladesh, con i dovuti distinguo, vige un intensissimo, selvaggio sfruttamento del lavoro femminile. Il proletariato maschile si deve fare carico in prima persona di aiutare la scesa in lotta e l'organizzazione di questi settori di classe più deboli e ricattabili; il non farlo significherebbe rinunciare a difendere coerentemente la propria stessa condizione.
Pedofilia: una legge nella giungla
(che fare, n. 43, maggio 1997)
La pedofilia, il turismo sessuale, la prostituzione minorile sono dei fenomeni sociali a scala mondiale, e con evidenti connotazioni di classe, di sesso, di razza: le vittime sono infatti concentrate generalmente nel Terzo Mondo, nelle classi più povere (anche delle metropoli occidentali) e tra le bambine. E un mercato in continua espansione: dal momento che promette profitti, anche la merce-bambino va sempre più commercializzata. Nulla importa ai capitalisti la valenza distruttrice di specie delle loro merci, l'importante è che diano utili. Ecco perché le leggi borghesi "contro" la pedofilia sono un'ipocrita buffonata. Si tratta di leggi che accollano al singolo pedofilo la colpa della pratica criminale della pedofilia, per salvare e nascondere i veri responsabili e organizzatori di questo lurido mercato: gli stati capitalistici e il sistema sociale di cui essi sono tutori. Solo la lotta internazionale degli sfruttati contro tutti i meccanismi che sottostanno al sadismo omicida del capitalismo potrà cancellare dalla faccia della terra mostruosità quali la "pedofilia".
[Sempre su questo tema il Che fare, nel n. 41, ha pubblicato un ampio e approfondito articolo di analisi del movimento di lotta contro la pedofilia sviluppatosi in Belgio nell'autunno-inverno 1996, intitolato La perversione pedofila, un anello della perversa catena del capitalismo, e una breve nota di cronaca nel n. 53]
Per una risposta di classe all'attacco al diritto all'aborto
(che fare, n. 44, settembre 1997)
I disegni di legge per limitare il diritto all'aborto si fanno nel mondo sempre più numerosi. Essi sono portati avanti sia dalle organizzazioni fondamentaliste cristiane che da partiti di ispirazione laica. In Italia le forze "progressiste" e di sinistra non fanno una vera opposizione a questo attacco né tanto meno chiamano ad una vera mobilitazione. Tutt'al più si appellano a delle formule vuote sulla "autodeterminazione delle donne", contribuendo a non fare chiarezza sulla natura dello scontro in atto. Che vede la borghesia aggredire nello stesso tempo le donne e l'intera classe lavoratrice, per tentare di ridimensionare tutti quei limitati "diritti" che erano stati conquistati nei decenni passati (asili nido, consultori, assistenza sanitaria semi-gratuita, etc.). Poiché tutte le spese sociali devono essere tagliate, la donna, la donna proletaria in particolare, deve tornare sempre più ad assumersi i carichi selvaggi della doppia oppressione: come lavoratrice sempre più precaria, flessibile e sottopagata, e come donna sulla quale si scaricano sempre più le responsabilità della famiglia, dei figli, degli anziani.
La crociata anti-abortista in atto in Occidente si coniuga bene con quella familiarista, che invoca la necessità di fare più figli per difendere ed espandere (anche a livello micro-nazionale e locale, vedi la Lega) una razza bianca sempre meno prolifica, laddove è in atto una ben differente crociata per imporre al Terzo Mondo la limitazione delle nascite. I comunisti chiamano le donne e il proletariato tutto a mobilitarsi in difesa del diritto all'aborto non come diritto individuale della singola donna proprietaria assoluta del proprio corpo, ma come diritto legato alla lotta collettiva delle donne (e del movimento operaio!) contro i vincoli della schiavitù domestica che anche il capitalismo più "avanzato" impone alla donna. Un "triste diritto", per dirla con Trotzkij, che deperirà soltanto in una società senza oppressione di classe e di sesso, nella società comunista che restituirà alla maternità il suo valore sociale.
La marcia delle donne afroamericane
(che fare, n. 45, febbraio 1998)
Le donne afro-americane erano state escluse dalla One Million Men March del 1995. Eccole ora anch'esse in marcia, per effetto anche di quella prima iniziativa di mobilitazione delle masse nere, per riconquistare la loro dignità e identità di sesso e di razza. È proprio questa, la loro mobilitazione diretta, la base irrinunciabile su cui possono costruire con i maschi neri quell'unità di lotta che è necessaria per affrontare e battere il nemico comune: questo sistema sociale e produttivo che fonda la sua stabilità sociale e politica sullo sfruttamento e sull'oppressione loro e di tutta la loro razza.
Un aspetto importante di questa marcia è la denuncia dello stato nord-americano come stato spacciatore, che con la Cia e l'Fbi ha inondato i ghetti neri di droghe di ogni sorta per minare le capacità di lotta e di organizzazione delle masse nere.
Queste mobilitazioni separate delle nere e dei neri sono per essi, al momento, una strada obbligata e continueranno a esserlo fintantoché il movimento proletario bianco non sarà in grado di esprimere la propria autonomia di classe e il proprio sostegno alla lotta anti-imperialista delle masse di colore; saranno anche, dialetticamente, un potenziale strumento per mettere in discussione gli assetti imperialisti che tengono separate fra loro le diverse sezioni del proletariato mondiale, bianche e di colore. La direzione di Farrakhan che all'oggi egemonizza queste mobilitazioni non può certo farne esprimere tutto il potenziale liberatorio, anzi!, ma ad esse va egualmente il nostro incondizionato sostegno proprio affinché possano auto-superarsi; mentre al proletariato bianco, va l'invito pressante a riappropriarsi della propria indipendenza di classe e fare tutto ciò che gli compete per consentire la propria riunificazione con gli sfruttati e le sfruttate neri.
La prostituzione e la sinistra
(che fare, n. 47, settembre 1998)
Le campagne familiariste non sono in contraddizione con le parallele campagne (borghesi entrambe) sulla prostituzione, anzi sono due facce della stessa medaglia. Per la borghesia non è neppure concepibile una società che faccia a meno della prostituzione, poiché proprio la mercificazione e la generale prostituzione sociale caratterizzano i suoi rapporti sociali, a partire da quelli di produzione. Essa nondimeno, per tutelare al meglio il proprio ordine sociale, cerca di mettere sotto controllo il fenomeno-prostituzione, "moralizzandolo" e "regolamentandolo", ed infine criminalizzando la parte più debole di esso: le prostitute immigrate.
Noi comunisti denunziamo quello che sta sotto questi tentativi di "regolamentazione" e respingiamo le posizioni di una certa sinistra che, coprendosi dietro la foglia di fico del "libero arbitrio", sostiene la libertà e la "moralità" del vendersi. Noi siamo contrari alla prostituzione in un modo radicalmente opposto a quello dei moralizzatori borghesi, che sono poi coloro che questo mercimonio organizzano alla scala planetaria! Per noi la prostituzione potrà essere eliminata solo dalla lotta del proletariato sovvertitrice delle regole generali di compravendita di questo sistema sociale. Il primo passo in questa direzione fu compiuto dalla rivoluzione d'Ottobre, che iniziò a porre i presupposti sociali e "ideali" per un nuovo costume di rapporti tra i sessi.
La crisi della famiglia
(che fare, n. 47, settembre 1998)
Le borghesie europee e la Chiesa cattolica tuonano contro il pericolo della dissoluzione della famiglia, che vorrebbero risanare attraverso politiche familiariste, l'attacco al diritto all'aborto, etc. Noi non neghiamo affatto che sia in atto tale dissoluzione e il più profondo peggioramento dei rapporti tra genitori e figli, tra uomini e donne, tra giovani e anziani, ma spieghiamo questa crisi della vecchia famiglia con la crisi di questo sistema sociale, con l'esaurirsi di ogni sua funzione storica progressiva, con l'acuirsi dei livelli di alienazione e di asocialità dei rapporti, con le sempre più difficili condizioni di vita e di lavoro di milioni di uomini e di donne.
La borghesia si sforza, invano, di recuperare questa sua cellula sociale in crisi affinché riprenda a svolgere in pieno le funzioni conservatrici e di oppressione-segregazione della donna che ha sempre garantito alla società classista e patriarcale. Invece, la risposta dei proletari e degli sfruttati a questa dissoluzione non può essere data che a partire da una feroce critica di tutti i presupposti che sono alla base del "recupero" dei valori morali della famiglia tradizionale. Essi, al pari delle donne, non hanno alcun interesse a salvare questo tipo di famiglia, come non hanno alcun interesse a salvare questo tipo di società basata sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Appoggiamo le richieste delle comunità islamiche!
(che fare, n. 48, febbraio 1998)
Questo articolo denunzia la risposta data dal governo italiano alle rivendicazioni avanzate dalle comunità islamiche presenti in Italia, relative al rispetto delle loro consuetudini religiose. Una risposta negativa analoga a quella di altri paesi europei, quali la Francia o la Germania, e dettata dal timore che tali comunità possano strutturarsi separatamente come una sorta di "anti-stato".
Noi vediamo queste rivendicazioni (l'uso facoltativo del chador, il rispetto del Ramadan e delle altre consuetudini alimentari, la separazione dei sessi nelle attività sportive, etc.), qui in Occidente, come misure difensive che assumono una valenza anti-occidentale e anti-imperialista in quanto esprimono la volonta di queste "comunità", per la gran parte composte di lavoratori e di sfruttati immigrati, di non essere omologate alla cultura e ai "valori" dei propri oppressori, di preservarsi dal morbo invasivo dell'ideologia occidentale. Ne comprendiamo dunque le ragioni e ne sosteniamo, anche, il senso di lotta, proprio allo scopo di favorire uno svolgimento in avanti di questa resistenza degli immigrati e delle immigrate islamiche, che non li separi a tempo indefinito dal proletariato autoctono, ma sappia trovare gli elementi comuni e accomunanti con essi, e si renda capace di esprimere fino in fondo i bisogni emancipativi delle donne islamiche.
Questo atteggiamento non significa che l'Islam possa essere realmente l'arma di liberazione dall'oppressione imperialista degli sfruttati islamici e delle donne islamiche, ma è ancor più evidente che l'imperialismo ed i suoi cantori (anche di sinistra) che attaccano l'Islam per i suoi "costumi arretrati", conducono questi attacchi solo allo scopo di inferiorizzare e vieppiù schiavizzare tanto i proletari quanto le donne dei paesi islamici, scavando un fossato tra loro e la classe operaia bianca. Spetta invece al proletariato bianco fare la propria parte nell'ergersi a difesa dei fratelli di classe e delle sorelle di classe islamici, affinché essi possano realmente sentirsi a casa propria dentro la "comunità degli sfruttati" e possano domani, nel fuoco della lotta comune, riconoscere che l'alternativa vera non è tra Occidente e Islam, ma tra capitalismo (occidentale ed islamico) e comunismo.
Contro l'odierna miseria sessuale, per conquistare una gioiosa vita sessuale
(che fare, n. 48, febbraio 1999)
La lotta contro l'infezione pornografica è parte integrante dell'azione dei comunisti, per i quali l'attuale miseria sessuale è un'altra faccia della generale miseria dell'umanità dentro il sistema capitalista, di cui soffre, al massimo grado dell'aberrazione, il proletariato. Non è, evidentemente, una lotta contro il sesso, bensì una lotta contro la miseria sessuale di questa società e la sua logica mercificante, per una sessualità liberata e dispiegata secondo le regole di una riscattata naturalità umana. Lotta, dunque, contro una società che offre il sesso come coazione mercantile al consumo, che riduce donne e uomini a oggetti e il desiderio umano a consumo drogato. Per i comunisti la mercificazione del proprio corpo è rinuncia alla propria umanità, tanto dell'offerente quanto dell'acquirente, è alienazione di sé. Contro questo imbarbarimento noi non invochiamo certo lo Stato, poiché è proprio lo stato capitalistico ad organizzarlo e proteggerlo, ma chiamiamo in campo i proletari coscienti di ambo i sessi perché si facciano carico di questa battaglia contro la barbarie capitalista e per la riconquista della propria naturale e gioiosa umanità.
Siamo forse, con ciò, dei "bigotti", come accusa taluno a sinistra, sostenendo, contro di noi, che la sfera privata va lasciata al "libero arbitrio" dei singoli? Nient'affatto. Il Partito del comunismo, l'organizzazione comunista, ha il dovere di non astenersi da nessun terreno di scontro, in uno scontro tra classi e sistemi sociali che è unitario e indivisibile, e di difendere in tutti i campi la propria visione di una vita che sia secondo natura (umana, sociale). Ad esempio, noi non stigmatizziamo l'omosessualità e al contrario ammettiamo il pieno e paritario diritto dell'omosessuale a militare come militante comunista, ma, appunto, in quanto militante come gli altri, non in quanto portatore di una sua specifica "diversità". Neanche su questo terreno esistono "libere scelte individuali". Per noi comunisti tutte le "devianze" sessuali sono prodotti indotti di questo sistema sociale, e sono destinate a scomparire nella società comunista non per decreto o costrizione, ma perché l'umanità si sarà riappropriata della sua naturalità. Per tagliare questo traguardo saranno necessarie, anche dopo la presa del potere, forme di lotta specifiche. Noi, e solo noi, lottiamo per una sessualità libera e dispiegata, che tale potrà essere solo quando si sarà potuta liberare dai condizionamenti economici, psicologici e affettivi che adesso la inibiscono e la stravolgono. La riconquista di una gioiosa vita sessuale è dunque concepibile solo attraverso un'azione collettiva, rivoluzionaria, di partito, contro tutte le miserie cui ci vota il capitalismo.
La leva volontaria per le donne incrudirà la loro oppressione!
(che fare, n. 51, novembre 1999)
In questo articolo demistifichiamo la propaganda del nostro governo, tesa a presentare l'ingresso delle donne nell'esercito come una "vittoria delle pari opportunità". Noi denunziamo, al contrario, che ciò che la borghesia italiana persegue è il maggior convolgimento delle masse femminili nella sua opera di rapina e aggressione contro i popoli terzi, attraverso la chiamata generale a fare proprie le necessità militari della "patria". È a questo scopo che il governo italiano ne promuove l'"attivismo" e il "protagonismo" anche nell'esercito. Un nuovo ruolo che si "apre" alle donne, che è complementare a quello che si vuole far assumere loro nelle politiche "familiariste"
Nell'articolo mettiamo anche in luce l'ipocrisia delle organizzazioni pacifiste che criticano la nuova legge appellandosi ad una "genetica estraneità delle donne alla violenza", che noi invece neghiamo, invitando al contrario le donne a fare uso di tutta la propria energia e determinazione a favore della lotta contro il nemico di classe, il capitalismo, l'imperialismo. Non deridiamo affatto la sincera aspirazione alla pace delle masse femminili; solo indichiamo loro che se vogliono conquistare una pace vera, una pace che non sia sinonimo di schiavitù per i lavoratori e per loro stesse, si devono organizzare contro i veri responsabili delle guerre imperialiste: i "nostri" governi, i "nostri" capitalisti. Né ci esimiamo dal rivolgerci anche a quelle donne che indosseranno la divisa, vuoi per necessità economiche vuoi perché illuse di poter affermare in questo modo la loro volontà di riscatto, invitandole a prendere coscienza della loro condizione di oppressione, che l'esercito borghese professionalizzato e un po' "femminilizzato" è destinato ancor più a rinsaldare.
Otto marzo
(che fare, n. 52, aprile 2000)
L'articolo riporta il dibattito tenutosi l'8 marzo 2000 nella sezione dell'OCI di Torino con alcune donne e compagne non appartenenti alla nostra Organizzazione, ma nostre simpatizzanti e lettrici.
Gli elementi emersi dalla discussione hanno riguardato prevalentemente la realtà dell'oppressione della donna nei paesi occidentali a fronte della parità formale dei diritti e di una propaganda che vorrebbe risolta qui la questione femminile, dato completamente falso. Il lavoro domestico e la cura dei figli, che vengono ancora visti e vissuti come compiti naturali della donna, la condannano tuttora alla posizione di schiava domestica e l'escludono dalla vita sociale. Subordinazione, emarginazione, mercificazione della donna e del suo corpo sono funzionali al sistema economico sociale capitalistico, al pari dello sfruttamento di classe.
Invece, la propaganda borghese in Occidente indica nella donna del Sud del mondo la sola "vera oppressa", al fine di frapporre una pesante barriera fra le donne del Sud e del Nord del mondo. Nel denunciare in primis la responsabilità dell'imperialismo occidentale per la condizione di supersfruttamento delle donne e delle masse del Sud, il nostro intervento dà forza agli elementi che uniscono queste due "sezioni" del mondo femminile al fine di sviluppare una comune battaglia per lo stesso obiettivo: l'abbattimento del capitalismo.
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
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