Ieri e oggi |
La Terza Internazionale si dichiarò "energicamente contraria" a qualsiasi tipo di "organizzazione separata di donne" dentro il partito, nei sindacati o nelle altre associazioni operaie e nello stesso tempo riconobbe "la necessità che il partito comunista impieghi metodi particolari di lavoro tra le donne", vincolando le proprie sezioni nazionali a formare "organi speciali" incaricati di svolgere questo lavoro. Questa può apparire una contraddizione in termini a chi non riesca a vedere il nesso che lega l’oppressione della donna al sistema generale dell’oppressione di classe capitalistica di cui essa costituisce un aspetto o, sull’altro versante, a chi neghi l’esistenza di una "specifica" oppressione della donna. Non appare tale, invece, ai marxisti che, con Engels, considerano l’assoggettamento della donna all’uomo avvenuto all’atto del superamento della collettività clanica come la prima forma dello sfruttamento e dell’oppressione di classe, cioè di una ben definita "parte" della società su di un’altra; e che considerano tuttora pienamente in corso tale sfruttamento, proprio di una data divisione di ruoli entro la famiglia (e la società), benché ora esso, a differenza dei tempi delle "origini", si presenti intrecciato con lo sfruttamento e l’oppressione di classe esercitati dal capitale e dallo stato del capitale.
Per noi marxisti il capitalismo è un sistema unitario, ma non per questo appiattiamo tutti gli aspetti particolari (gli effetti fenomenici) della generale oppressione capitalistica dell’umanità in una unità indifferenziata che non li affronti nel concreto attraverso i concreti soggetti che ne sono vittima. La società borghese si articola come un insieme combinato e diseguale di molteplici forme di oppressione, tanto che "nella famiglia la donna è il proletario e l’uomo il borghese", e nelle metropoli imperialiste il proletario bianco può essere il borghese di fronte al proletario terzomondiale (qualcosa di simile vale anche per la proletaria bianca rispetto a quella di colore). Lavorare a riunificare il fronte di classe, l’intero universo degli sfruttati e degli oppressi, così capitalisticamente articolato e stratificato, significa dare battaglia a questa articolazione, smuovendo i vari soggetti lungo una linea unitaria, che non è però indifferenziata secondo un falso "unitarismo" che rinvia di fatto al "domani", alla instaurazione del socialismo, la soluzione automatica degli antagonismi e delle contraddizioni ereditate dal capitalismo.
Applicato alla donna, questo significa che il partito (l’organizzazione) comunista sollecita, invita le donne a "fare da sé", che non significa a fare da sole, ad essere protagoniste della propria emancipazione, poiché, come tutti gli altri oppressi e sfruttati, esse debbono liberarsi (non essere liberate), e a far sì che questa loro massiccia scesa in campo smuova finalmente anche gli oppressori-oppressi di sesso maschile facendogli realizzare, nel vivo di un’esperienza di lotta, che un proletariato maschile che opprime un proletariato femminile non può essere libero, così come un popolo che ne opprime altri non può essere libero. La lotta del proletariato contro la proprietà privata e lo stato capitalistici è monca se non è unita a quella contro "la famiglia", contro la divisione coattiva e diseguale dei ruoli tra i sessi (questo è Engels, e il marxismo, letto come si deve).
La necessità di "metodi particolari di lavoro tra le donne" poggia su queste basi. Le donne soffrono di una "particolare passività" e, come massa, di una particolare "arretratezza politica", che si spiegano con il fatto che esse sono state allontanate da millenni dalla vita sociale e politica e addestrate a subire nel chiuso della prigione domestica. Bisogna che i comunisti si applichino con una speciale attenzione, e con speciali metodi e strumenti di lavoro per chiamare le donne (incluse quelle già organizzate nella fila comuniste) a lottare contro un tale "atavico" andazzo reazionario, a spezzarlo materialmente e ideologicamente ponendosi in prima fila nella lotta al capitalismo. È solo questa lotta che può consentire al proletariato tutto (e allo stesso partito) di liberarsi dai suoi pregiudizi sessisti, e di mettere in pieno a frutto l’educazione teorica ricevuta in questo campo. È solo questa lotta che può preparare "a rapporti più sani e armoniosi tra i sessi ed al risanamento morale e fisico dell’umanità lavoratrice" (è ancora la risoluzione del 3° Congresso dell’Internazionale). Tema fondamentale, questo, della rivoluzione che serve a rivoluzionare e risanare lo stesso proletariato dalle infezioni contratte nella società borghese, che già è in Marx ne L’ideologia tedesca (1846).
Lenin si è mostrato a più riprese preoccupato per il ritardo dell’Internazionale ad accogliere e mettere in atto questa impegnativa lezione perché lasciare da parte l’altra metà del mondo, anche solo per trascuratezza o –conservativamente- per non complicarsi troppo la vita, e non vi è dubbio che in termini immediatisti di una "complicazione" si tratta, significa aprire o riaprire le porte, negli stessi paesi a regime politico sovietico, a tutte le forme di oppressione insinuantesi dall’interno del "sistema" (burocratismo, statalismo… l’altra faccia della questione). Viceversa, risvegliare le operaie, le lavoratrici, le massaie e "legarle alla nostra causa per mezzo di una chiara comprensione e di una solida base organizzativa è essenziale per i partiti comunisti e per il loro trionfo. [...] le nostre sezioni nazionali non hanno ancora una visione chiara del problema. Se ne stanno inerti, mentre incombe loro il compito di creare [favorire la nascita di, n.] un movimento di massa sotto la direzione dei comunisti. Non comprendono che lo sviluppo e l’organizzazione di un tale movimento è una parte importante di tutta l’attività di partito, è, in realtà, una buona metà dell’intero lavoro di partito", e non lo comprendono, in buona sostanza, per la "sottovalutazione della donna e del suo lavoro" (così nella conversazione con C. Zetkin). Questo perché la rivoluzione comunista non può essere certo un "affare" riservato al proletariato maschile; oggi, poi, meno che mai.
Di qui, esclusa, come si è detto, qualsiasi forma di organizzazione separata delle donne dentro il movimento comunista e proletario, la necessità di "organismi appropriati per condurre il lavoro tra le donne", e sulla "questione della donna" nel proletariato e nella società tutta intera; organismi quali le sezioni o commissioni femminili, in cui le compagne sono chiamate ad impegnarsi in prima fila (senza, però, che questo lavoro esaurisca in alcun modo la loro attività di partito), e tra i cui componenti debbono "anche figurare, nella misura del possibile, dei compagni comunisti uomini"; organismi volti a integrare, "completare", il lavoro del partito "con l’attività e l’iniziativa creatrici della donna".
Incardinati su questa linea, qui appena enunciata e su cui torneremo in modo adeguato in altra sede, anche noi siamo impegnati da anni a costituire e sviluppare una commissione femminile all’altezza dei tempi e dei compiti. E siamo ben contenti di poter dire che, sia pur tra le scontate difficoltà, essa ha già svolto un buon lavoro.