Due parole sulla scuola


Il "mondo della scuola" è in fermento.

A questo fermento concorrono due fenomeni: il primo è la perdita, da parte di questo numeroso settore, avvenuta negli anni, di alcuni status diversificanti: lo stipendio si è assottigliato, è cresciuta la mole di lavoro, è aumentato il divario con altri strati sociali ad esso equiparabili (ministeriali, parastato, etc.). L'altro fenomeno è l'immissione nel settore, avvenuta negli ultimi anni, di uno strato giovane e collaudato da esperienze di lotte collettive: i precari.

Il concorso di questi due fenomeni ha fatto sì che, per la prima volta in assoluto, gli scioperi per il contratto sono stati indetti da tutte e quattro le sigle sindacali (autonomi compresi) ed hanno visto una straordinaria (per questa categoria) partecipazione. Ha fatto sì che le nuove leve affluite nel settore, apportandovi una robusta (e positiva) abitudine all'organizzazione collettiva, si siano incaricate di recepire i disagi ed il malumore per una piattaforma (prima) e per un’ipotesi contrattuale (poi) che non soddisfa le aspettative della massa del settore. Orbene, il malumore è del tutto giustificato. Sia rapportando all'erosione salariale subita in questi anni, sia ai bisogni in caso di famiglia monoreddito, sia alla contropartita pagata (il blocco degli scatti di anzianità) l'incremento economico è tale da creare disagio. Ancora maggiormente penalizzante è la parte normativa che induce (con la previsione del fondo di produttività e l'istituzione della nuova figura dei "formatori") divisione e concorrenzialità sui luoghi di lavoro. Un disagio, quindi, diffuso, sebbene anche questa previsione contrattuale troverà gambe sociali sulle quali marciare (probabilmente più numerose di quelle che non appaiono in questo momento di dissenso collettivo).

E sono sicuramente non veritiere le cifre sindacali che accreditano un 70% di adesioni al contratto (ricevute in fantomatiche assemblee): ci consta che il referendum organizzato dalla sola CGIL scuola sulla piazza di Roma ha avuto risultati ben diversi (80% di "si", 46% di "no", 42% di risposte diversificate, essendo svariati i quesiti).

Il punto è, però, questo: con quale "spirito" è vissuto questo disagio dalla stragrande maggioranza della categoria? Non sarà, forse, quello di riappropriarsi del "maltolto": ovvero reddito e status? E la stessa richiesta delle 400 mila lire avanzata nelle piattaforme alternative non sarà stata vissuta, dalla massa del settore, come il giusto riconoscimento di una qualche diversità? E le 180 mila lorde ottenute non saranno sembrate troppo poche tenuto l'occhio sul funzionario ministeriale laureato che ha spuntato di più, e perdendo di vista la possibilità necessità di una critica intersettoriale del complesso delle acquisizioni contrattuali? Questi interrogativi (che si basano sulla considerazione di una categoria che sta subendo modificazioni ma che conserva, dentro la sua massa, caratteristiche antioperaie) ci inducono alcune provvisorie conclusioni.

Non si tratta di andare a fare appelli, nelle assemblee di movimento, in nome di fittizie, allo stato, unità con settori di classe; si tratta di schierarsi decisamente affinché l'intera esperienza non sia incanalata verso lidi di separatezza e di incomunicabilità future.

Si tratta di schierarsi, cioè, contro ogni ipotesi di formalizzazione di neo-strutture sindacali, le quali, data la fase attraversata dal proletariato, slitterebbero verso la difesa di "settore" e, quindi, dato il "settore", verso la separatezza. Si tratta, piuttosto, di utilizzare l'intera esperienza per apportare massicciamente dentro il "settore" l'abitudine alla vita, alla lotta, alla difesa collettiva, presupposti per ogni "comprensione" (tutta da giocarsi negli svolti futuri) della appartenenza ad un fronte più ampio, presupposti, aggiungiamo per concludere, di ogni selezione interna in vista di questo fronte, una selezione fondata non sul merito "individuale" (come vuole il contratto) ma sull'accettazione della priorità del dato collettivo. Ed è - come molti stanno verificando nel movimento - un'esperienza davvero traumatica per chi è, materialmente, cresciuto all'individualismo.