Nuove ondate di lotta in Jugoslavia

Nel n. 4 e nel n. 7 del "Che Fare" abbiamo posto in risalto l'importanza che ha la Jugoslavia nei rapporti interimperialistici e per la stessa rivoluzione proletaria europea e mondiale. Crocevia tra Est Ovest, paese denso di contraddizioni etnico-nazionali e sociali, ha garantito finora la stabilità internazionale nei Balcani e quella interna, grazie ad un quadro di unità e compromesso tra le varie repubbliche e tra le classi. Tra le une e le altre i colpi di maglio delle crescenti difficoltà economiche stanno aprendo crepe vistose. Dopo le rivolte del Kossovo, la repubblica più povera, e l'emergere, dall'altro lato, delle rivendicazioni autonomistiche di quelle più ricche (Croazia, Slovenia) che vorrebbero liberarsi dell'oppressione a contrario delle zone depresse del paese, va facendosi strada in modo via via più netto una separazione e polarizzazione delle classi, con la classica forma dello sciopero e della lotta, mentre si va parallelamente, squarciando il velo delle illusioni socialiste. Brevemente i fatti ultimi.

Una serie di leggi del febbraio hanno legato gli aumenti salariali all'incremento della produttività. Per effetto di esse gli operai hanno visto i loro salari decrescere dal 17 al 50 per cento, con l'annullamento degli aumenti del dicembre '86.

Una moltitudine di scioperi, forse centinaia, che ha coinvolto migliaia di operai, si sono propagati nella prima metà di marzo in Croazia e rischiano di estendersi alla Slovenia, Montenegro e Macedonia non appena i provvedimenti vi arriveranno. La risposta delle autorità è stata, sembra, interlocutoria. Mentre hanno sospeso il provvedimento per alcune categorie in lotta, hanno fatto presidiare Zagabria, capitale della Croazia, da ingenti forze di polizia per impedire che la protesta si riversasse nelle piazze, e minacciato di ricorrere all'esercito per difendere il sistema "socialista" (... dalla protesta operaia!).

Nello stesso periodo la Presidenza della Lega dei comunisti jugoslavi ha con un breve comunicato smantellato uno dei principi "socialisti": la proprietà delle aziende, anche quelle grandi, non deve essere per forza dello stato, ma può essere di privati investitori, anche stranieri.

Da parte loro i potenziali privati investitori si sono dichiarati ben contenti di mettere i loro capitali al "servizio" della disastrata economia jugoslava (inflazione al 130%, un milione di disoccupati su una popolazione di 22 milioni, esportazioni in calo, 21 miliardi di dollari di debito estero), ma a condizione di poter essi stessi organizzare la produzione, assumere la manodopera senza sottostare alle complicate leggi jugoslave, dirigere direttamente tutto il ciclo produttivo, compresi i salari e i licenziamenti degli operai di "bassa produttività".

Tutti ingredienti che possono rendere ancora più esplosiva la miscela di contraddizioni di classe, spingendo la classe operaia verso un'autonomia di lotta e di organizzazione, sulle cui spalle pesano, di sicuro, e peseranno ancora le complicazioni nazionalistiche e gli appoggi interessati dei paesi imperialisti vicini e lontani (ivi inclusa l'Italia, v. "che fare" n. 7) ma che potrà farsi strada solo attraverso l'esperienza di lotta e che può, e deve, trovare nel proletariato occidentale quel sostegno e contributo di cui ha bisogno.