Le nostre chiarissime prese di posizione sul "caso Libia" hanno, inevitabilmente, prodotto scontento ed opposizione su due opposti fronti in campo "rivoluzionario". Da un lato abbiamo deluso chi riteneva e ritiene che per opporsi alle mire imperialistiche sul Mediterraneo occorra passare per il riconoscimento dei meriti rivoluzionari di Gheddafi come punta di diamante delle forze anti-imperialiste o, quanto meno, elemento con cui stringere un patto di alleanza da parte del proletariato metropolitano in ragione del "comune" interesse anti-imperialista (o, più modestamente, anti-USA e persino tinteggiato di velleità di un "ruolo autonomo" per il "nostro paese"). Dall'altro lato fierissimi fautori del comunismo "puro" ci obiettano che avremmo tradito il marxismo osando parlare di anti-imperialismo e persino (udite udite!) di "Giù le mani dalla Libia! ", mentre per essi è arcinoto che tutti i paesi del mondo sono oggi egualmente imperialisti, compresi magari i non-paesi come il Kurdistan, il Saharni etc. etc. Di questi ultimi soggetti merita, invero, assai poco parlare se non per ribadire che il loro ruolo è quello di diffamatori del marxismo rivoluzionario e di disfatti non di questo o quel regime borghese, foss'anche dominato o controllato dall'imperialismo, ma della lotta sociale stessa che si esprime nella consegna anti-imperialista che concretamente collega l'ardente risveglio delle masse doppiamente oppresse alla prospettiva di una decisiva ripresa rivoluzionaria del proletariato metropolitano. Degli altri sarà più duro, ma anche più proficuo, sbarazzarsi in quanto essi comunque (e non è un complimento) agiscono entro e su un movimento di enorme potenzialità rivoluzionaria.
Da costoro ci siamo distinti non per uno slogan (quello di "Giù le mani dalla Libia!") apparentemente in comune, ma per i contenuti che esso per noi sottintende, qui nella metropoli e là nei paesi oggetto dell'infame escalation imperialista. Ad essi abbiamo tentato di mostrare che si può e si deve benissimo essere a fianco della causa libica o nicaraguegna senza per questo minimamente arieggiare al "fronte" solidale con le borghesie di questi paesi, vittime sì dell'attacco imperialista, ma complici della sconfitta, diretta od indiretta, militare e sociale, o tutte le due cose assieme, dinanzi ad esso.
Ora, il caso del preteso conflitto Libia-Ciad offre ulteriori elementi di riflessione (e di azione) rivoluzionaria.
Di che si tratta in realtà? E quale dev'essere la corretta posizione dei comunisti al riguardo?
Che a muovere il conflitto siano le "pretese territoriali libiche" fa parte di una mitologia, accortamente orchestrata dall'imperialismo, che "stranamente" accomuna tanto i "purissimi" estremisti infantili ("Ecco la dimostrazione che Gheddafi è imperialista come Reagan! ") quanto i corifei borghesi come l'ex-"comunista" Montand che anni addietro sollecitava la "force de frappe" francese a fare il proprio dovere per sbarazzarsi finalmente di Gheddafi, colpevole di intralciare la marcia della... libertà francese esportata in Africa Nera sulla punta delle moderne baionette.
Una rivista borghese "illuminata", e certamente non sospetta di marxismo o di OCI-ismo, "Le Monde Diplomatique", nel numero di febbraio di quest'anno, ci viene concretamente in appoggio a dimostrazione che il conflitto in corso che coinvolge anche la Libia non nasce dalle "pretese espansionistiche" di un Gheddafi, ma da qualcosa di ben diverso, che non si ha qui paura di chiamare col proprio nome.
Una prima considerazione: "Come altrove in Africa, le frontiere ereditate dalla colonizzazione tagliarono in due popolazioni legate dalla cultura e dalla storia". La storia della Libia e del Ciad sono intrecciate da secoli ed è solo il colonialismo o l'imperialismo "non" coloniale poi che hanno lavorato a dividerle per scopi che non sarà difficile intuire. L'articolista, A. Gresh, ricorda a tale proposito come dal 1899 al 1902 la capitale dell'ordine libico della Sanussia fu stabilita nel Ciad stesso e come "quando. nel 1966, il capo dei Tubù, padre di G. Oueddei, dovette andare in esilio scelse del tutto naturalmente la Libia, già accusata, ben prima della presa del potere a parte di Gheddafi, ingerenza negli affari dei propri vicini" (intendendo per propri vicini, in realtà, non i ciadiani, ma i padroni francesi). È solo dal '72, ricorda sempre il Gresh, che il regime di Gheddafi ha cominciato ad interessarsi più intensamente al Ciad e "solo in funzione della lotta contro Israele e il suo gioco di penetrazione nell'Africa Nera", in proprio e per conto dei soliti, non ignoti, terzi d'oltreoceano. La penetrazione libica in Ciad (già concretizzatasi nel '73 con l'occupazione della striscia d'Aouzou, considerata per altro legittima dallo stesso Pompidou) è la logica conseguenza dell'uso stesso che del Ciad hanno via via più pressantemente fatto gli imperialismi, utilizzando le basi egiziane e sudanesi: "La volontà degli occidentali di destabilizzare il regime libico non è il prodotto dei "fantasmi" di un dirigente megalomane. Nel maggio dell'84, il commando che attaccò la caserma di Tripoli disponeva di complicità in seno all'esercito e dell'appoggio della CIA. Quest'ultima, grazie all'aiuto dei paesi limitrofi, metteva in atto, alla fine ell'85, un piano per minare il potere di Gheddafi", come testimoniato dell'"International Herald Tribune" del 4 novembre '85 e come da ultimo documentato - per gli avvenimenti più recenti -da quello stesso "Espresso" che non si vergogna di esibire le prove della provocazione imperialista a freddo contro la Libia, e della catena di menzogne di cui la si è condita, dopo aver suonato la grancassa, a tempo opportuno, della "minaccia libica" alla nostra stessa sicurezza nazionale!
Sta di fatto, ammette "Le Monde Diplomatique", che "a suo modo, Gheddafi resta un'espressione del rifiuto dell'ordine occidentale da parte dei popoli di antica colonizzazione. " Per questo che si cerca ai abbatterlo?". Domanda da una lira di premo tant'è facile. "A suo modo", certo: su questo conveniamo ed abbiamo scritto. Fosse "a modo nostro" i tentativi imperialisti avrebbero una ben diversa connotazione. Solo degli "estremisti" da strapazzo riescono a farsi ipnotizzare dal coperchio senza vedere che bolle nella pentola che si vuole distruggere. "Le Monde Diplornatique" e lo stesso Reagan meritano, al confronto, una laurea ad honorem in marxismo...
La serie interminabile di conflitti che scuote il Ciad "dal suo interno" da una ventina d'anni almeno, prosegue il Gresh, "riflette profonde divisioni culturali e politiche di cui si servono le potenze esterne per tentare di imporre i loro obiettivi". Parlare del Ciad come di un'entità unitaria contro cui si applicherebbero le mire di Gheddafi è una pura mistificazione, così come è una mistificazione vedere la causa principale (o addirittura esclusiva) del fomento di queste divisioni laddove essa non è, e cioè nel regime di Gheddafi (i cui interessanti-imperialisti piccolo-borghesi spingono semmai verso una reale unità e sovranità ciadiana entro un blocco solidale di stati "non" ed "anti" imperialisti). Tant'è: un promettente accordo in tale direzione, siglato nel '79 tra le varie fazioni ciadiane, fu apertamente sabotato da Habré e dagli Stati Uniti (oltre che dalla Francia e da Israele). L'unità del Ciad che va bene agli imperialisti è quella realizzata per proprio conto dal fantocci Habré; per essi si offre così "l'occasione di realizzare l'unità (tra virgolette, n.n.) del Ciad e, contribuendo ad essa, di rafforzare l'autorità politica della Francia sul continente. Tanto più che in quest'affare è assicurato il sostegno degli SA (Washington ha accordato el dicembre '86 un aiuto di 15 milioni di dollari al presidente Habré) e, in fin dei conti, il vero obiettivo è la demolizione del regime del colonnello Gheddafi, con le vaste conseguenze che ne risulterebbero in Africa, come in tutto il Mediterraneo" (P.M. de la Gorce nello stesso numero della rivista). Il che, quantomeno, delinea bene i contorni effettivi del "conflitto Libia-Ciad".
Ciò detto, ci guardiamo bene dallo schierarci toto corde sotto l'ala protettrice di Gheddafi. Non, però, perché questi sarebbe un "espansionista" o addirittura un "imperialista" di pari grado rispetto ai Reagan ed ai Chirac, ma perché -come abbiamo precedentemente scritto- troppo poco, troppo insufficientemente, troppo contraddittoriamente "anti-imperialista" anche e persino da un punto di vista non marxista (e salvo restando che una reale soluzione definitiva del problema anti-imperialista non può per noi concepirsi al di fuori della prospettiva rivoluzionaria socialista).
Anche su questo punto "Le Monde Diplomatique" è tutt'altro che infame limitandosi a riconoscere che certamente "gli interventi della Libia non sono guidati da spirito filantropico". Che cosa vuol dire ciò, marxisticamente interpretato? Che il regime libico non saprebbe mai uscire dall'ottica ristretta, e micidiale alla lunga, di rapporti di alleanza tra stati "fratelli" e tra borghesie "rivoluzionarie" "sorelle", senza potere e volere (a cominciare dal proprio paese) appoggiarsi sulle spinte rivoluzionarie delle masse oppresse per una guerra che, indipendentemente dai provvisori confini di stato, si proietterebbe sulla scena internazionale come guerra sociale degli oppressi. Questa constatazione di fondo vale per noi come criterio discriminante, al di là dell'ovvia (ma non per tutti ... ) constatazione che per nessuno, neppure per un solido partito marxista, sarebbe agevole saltar sopra, in Ciad, ai fattori di divisione tribale etc. che affondano le loro radici in secoli di storia, "naturale" e indotta dal di fuori del paese.
Un Gheddafi non può concepire antimperialismo che come appoggio a bande e sottobande nazionalistiche ciadiane, scoprendosi poi, all'occorrenza, mal ripagato dell'"aiuto fraterno" ad esse concesso. E una linea perdente. Il che non ci esime, però, dal prendere nettissima posizione incondizionata contro l'intervento in Ciad non della Libia (se non in quanto anello derivato e ultimo di una serie di conflitti tra forze borghesi di dispari natura e per dispari scopi), ma dell’imperialismo metropolitano, tra cui non dimentichiamo l'alma italietta dagli spadoliniani furori "antiterroristici". Tagliare le unghie al "nostro" imperialismo: questo il nostro compito primo, e precondizione di tutto il resto, ovvero dello sforzo, cui tendiamo, di allacciare un contatto militante fraterno con le masse oppresse dell'area. In quest'ottica salutiamo col massimo interesse ed entusiasmo ogni spostamento dei comunisti metropolitani dalla comoda ed ipocrita posizione di "equidistanza" tra imperialismo occidentale e Gheddafi per assumersi l'insegna di battaglia marxista di sempre: il nemico principale è in casa nostra. In sede di analisi, non possiamo esimerci dal considerare positivo ogni colpo inferto a questo nemico quand'anche esso venga da forze non nostre, non a noi gradite (e che non ci gradiscono), perché ogni colpo inferto alle centrali imperialistiche è tendenzialmente un fattore facilitante la ripresa della lotta sociale e politica della nostra classe, proprio anche perché esso apre la porta alle contraddizioni nel fronte composito e traballante degli "anti-imperialismi" di maniera borghese nei loro rapporti con le masse sfruttate.
"Si fa sempre il gioco di qualcuno", ha scritto Bordiga. Nelle condizioni attuali è evidente che, se mai riusciremo ad ottenere un qualche risultato nella lotta contro l'imperialismo di casa nostra, indirettamente favoriremo l'"altra parte", Gheddafi e colleghi. Ciò non ci preoccupa. Per due ragioni: in primis, ogni rafforzamento del nostro fronte proletario, anche "solo" (!!) nelle metropoli, rappresenta il contributo principe all'indebolimento dell'intiero fronte borghese; in secondo luogo, i favori che indirettamente faremmo ai soci di cui sopra, nella misura in cui "purificano l'aria" dai precedenti rapporti di dominazione imperialista, creeranno anche le condizioni per i passi successivi, per una rivoluzione sociale tanto necessaria quanto incontenibile entro il quadro del nazionalrivoluzionarismo alla Gheddafi.
Pertanto, persino nel caso - che qui abbiamo mostrato insussistente di un'azione gheddafiana di pura e semplice conquista territoriale a spese del Ciad (azione apertamente reazionaria rispetto alle esigenze delle masse sfruttate ciadiane), noi non esiteremmo comunque un istante a riaffermare: "Giù le mani imperialiste dal Ciad! Via l'imperialismo occidentale dall'Africa! ". Nulla contrasta con ciò la nostra "indicazione" che siano le masse stesse del Ciad ad imboccare la via del proprio riscatto, ove occorresse contro una manomissione libica e che le masse stesse della Libia riescano ad imporre, in luogo di squallide trattative tra stati e/o frazioni borghesi "rivoluzionarie", l'unificazione della lotta sociale all'interno dei rispettivi paesi per meglio attrezzarsi alla lotta internazionale ed internazionalista di classe contro l'imperialismo, contro il capitale, per il socialismo mondiale!