Che la grande massa dei lavoratori immigrati viva in una condizione di apartheid e sia costretta a subire un durissimo super-sfruttamento, non c'è bisogno di provarlo - crediamo - nella cerchia dei nostri lettori. Ma è un po' più controverso e complicato capire se la loro condizione evolve in direzione di un miglioramento, di un più ampio riconoscimento dei loro "diritti" o no.
La propaganda ufficiale, in complesso - peraltro - abbastanza contenuta fin quasi al punto da essere evanescente, che si è accompagnata all'entrata in vigore della legge 943, tende ad accreditare una risposta positiva. Sia il governo che i sindacati e il PCI hanno fatto cadere l'accento sul principio, per la prima volta affermato a chiare lettere, dalla "parità di trattamento" e sulla sanatoria promessa a chi auto-"denuncia" la propria permanenza in Italia ed il proprio rapporto di lavoro. Le decine di migliaia di iscrizioni già avvenute e le altre che si aggiungeranno, per quanto sinora inferiori alle attese governative, dimostrano che una parte minoritaria ma non insignificante degli immigrati si attende vantaggi materiali e normativi dalle nuove disposizioni.
Stava divenendo impellente, per la borghesia italiana, cominciare a colmare - almeno sul piano formale - quel "gap" che in materia la separa dai suoi maggiori concorrenti europei. Un imperialismo che punta le sue fortune sulla sua maschera di "imperialismo dal volto umano" doveva lasciarsi alle spalle una situazione di completa illegalità dei lavoratori immigrati. Una patina di lucido democratico ci voleva, all'interno per favorire la pace sociale, all'esterno per supportare le manovre di penetrazione "neo-coloniale" nella regione e fuori.
Non più che una patina, s'intende. In quanto la blindatura dell'Europa in difesa dal pericolo sociale e politico costituito dalla lotta antimperialista e dalle masse proletarie immigrate dei "paesi extracomunitari", richiede a tutte le borghesie europee misure che vanno in direzione opposta, provvedimenti repressivi e restrittivi, dal contenuto via via apertamente razzista e sciovinista (vedi il "Code de la nationalité" del governo Chirac). Da qui: maggiori controlli e stringenti ricatti non solo verso chi cerca di entrare, ma verso chi c'è già. "E l'attivazione di vecchi e nuovi strumenti (in Italia siamo alla vigilia dell'approvazione definitiva della legge Scalfaro, peggiorativa di quelle fasciste).
Si va avanti, perciò, e contemporaneamente, indietro. Per ora la borghesia e il governo stanno cercando di "azzerare" la situazione al momento dato. Permettere, cioè, a buona parte degli stranieri di regolarizzare la loro situazione, per procedere, in seguito, ad una chiusura pressoché totale delle frontiere, e contemporaneamente stanno sviluppando una politica di divisione su differenti piani, tra loro connessi. Come tentano di dividere il fronte proletario interno agitando agli occhi degli occupati lo spauracchio dei disoccupati, come vanno eccitando per il momento con una certa "misura" - i disoccupati contro gli immigrati, così stanno cercando e cercheranno di approfittare della divisione che si profila tra i lavoratori immigrati, per usare gli uni contro gli altri, i "regolari" o regolarizzabili contro gli "illegali".
Ci sono già associazioni nazionali e comunità, gruppi e "rappresentanti" disponibili a cooperare con lo stato, anche in posizione del tutto subordinata. Per questi settori, che costituiscono - comunque - una minoranza nella minoranza, le istituzioni statali vanno approntando strutture e progetti ad hoc, politici e "tecnici". Si pensi agli organismi consultivi creati anche su scala nazionale dalla nuova legge 943 o al cd. progetto "formazione-rientro" formulato in area PSI (prevede la formazione in Italia ed il rientro programmato nei paesi d'origine per quadri intermedi e "maestranze qualificate" -v. "Avanti Europa", 1986, n. 3).
Questi meccanismi e manovre di divisione vanno denunciati e contrastati, ma soprattutto va contrastato il ricatto maggiore che i lavoratori stranieri subiscono: quello del lavoro. In realtà il motivo principale delle poche auto-"denunce" avutesi finora è da ricercarsi nell'impossibilità di dichiarare il proprio lavoro, essendo nella maggioranza dei casi in nero: con la denunzia scatterebbe il licenziamento! E, senza lavori, si rimane irregolari!
Il processo che va sostenuto e spinto a consolidarsi è il processo di organizzazione dei lavoratori immigrati, di cui cominciano a rendersi evidenti i primi passi. Le prime assemblee di massa degli immigrati, la prima "contrattazione collettiva" ai mercati generali di Firenze, le proteste contro il rifiuto di asilo politico ad Amir Albogino, l’attivizzarsi ancora disordinato di comitati sono tutti sintomi dell'inarrestabile maturare di una spinta a superare la disgregazione presente e a dare forma alla grande forza potenziale dei proletari immigrati.
I proletari italiani e spesso anche i "rivoluzionari" rimangono se non ostili, di certo indifferenti ai tremendi sforzi ed agli oggettivi rischi che i nostri compagni di classe immigrati debbono affrontare per organizzarsi. Questo muro di indifferenza va abbattuto. Se i proletari italiani faranno sentire loro il proprio appoggio, allora l'organizzazione e l'unità dei proletari immigrati potrà fare più veloci passi avanti e a guadagnarci saranno tutti i lavoratori, compresi gli italiani, sui quali non peserà più come una minaccia la presenza di un mercato e un lavoro "nero".
Non sostegno a chiacchiere, ma sostegno militante. Non generica solidarietà, ma piena assunzione di quegli obiettivi programmatici che corrispondono agli interessi immediati e di lungo periodi degli immigrati.
Contro la prospettiva di una permanente precarietà e discriminazione abbinate ad un più rigido controllo poliziesco, lottiamo per rompere l’apartheid e per la parità effettiva tra lavoratori immigrati e lavoratori italiani, una parità su tutti i piani ed in tutti i campi, che nessuna legge borghese potrà regalare, ma si potrà e dovrà strappare solo con la lotta.
Contro la chiusura delle frontiere, prepariamoci a resistere organizzati alle espulsioni, per imporre la libertà di entrata dei lavoratori "stranieri" ed estendere l'area di applicazione del diritto di asilo politico. Contro la legge Scalfaro che vorrebbe chiudere sotto chiave le libertà dei proletari e dei compagni immigrati, per la loro piena agibilità di movimento e di organizzazione.
Contro ogni forma di razzismo, mascherata o aperta che sia, perché indebolisce e spacca l'unità del movimento proletario. Per l'unità più stretta tra i proletari di tutti i colori, le razze e le nazionalità.
Fornire il nostro sostegno ai lavoratori immigrati non serve soltanto a togliere oggi dalle mani della borghesia una pericolosa arma di ricatto e di divisione, se riferita alla crisi ed ai cosiddetti "sacrifici necessari", ma ad attrezzarci e prepararci per i tempi in cui i toni "soft ed accattivanti" avranno ceduto il passo - e pour cause! - ad una esplicita propaganda nazionalsciovinista.