Piano di "risanamento" dei porti, delle ferrovie, della siderurgia, dell'auto e così via, tutto questo all'insegna di una maggior produttività e concorrenzialità del made in Italy. Ogni situazione viene fatta passare dal padronato e dai mass-media come specifica, a se stante, staccata da tutte le altre; la logica, se accettata, è pagante per la borghesia: la ristrutturazione passa senza che gli operai oppongano alcuna valida resistenza. Ogni settore operaio in queste condizioni, viene a trovarsi in una situazione di isolamento, a scontrarsi con un insieme di forze, problemi economici e politici che lo sovrastano e lo prostrano.
La realtà capitalista è questa: nessun sconto i borghesi fanno a quegli operai che pensano di mantenere competitiva la propria fabbrica contemporaneamente alla difesa dell'occupazione e della forza contrattuale. Nella crisi generale del capitalismo questo inganno comincia a manifestarsi con tutta la sua evidenza. Nessun settore è garantito e in questo caso il postino suona sempre più di due volte per far avere la lettera di licenziamento.
A Torino, in questi giorni, Pizzinato si è vantato del fatto che l'operaio Alfa è cosciente e lo ha dimostrato sempre quando i piani padronali sono seri. A forza di questi piani di ristrutturazione "validi", i padroni dell'auto hanno buttato fuori in questi ultimi 10 anni parecchie decine di migliaia di operai e, non solo, per chi resta in fabbrica i reparti diventano dei veri e propri inferni che, al paragone, quello di Dante sfigura notevolmente.
Che beneficio può portare, per gli operai, l'investimento del gruppo Fiat nell'Alfa Lancia di 5.000 miliardi entro il 1990 e l'innalzamento della saturazione dei tempi negli stabilimenti di Arese e Pomigliano? Il piano, dal punto di vista capitalistico, è serio; anzi, diremmo, più che ottimale. Ma per gli operai, quali sono i vantaggi? L'evidente risposta non l'andiamo a cercare nei libri forniti dall'azienda o dall’Istat, ma negli uffici di collocamento, nei reparti Fiat di Torino, dove gli operai lavorano anche 600 minuti al giorno, dove la gente muore perché, troppo stanca, non ha i riflessi pronti per far fronte alle insidie presenti in ogni lavorazione (nel settore della Meccanica, tra 1"85 e l"86, gli infortuni sul lavoro sono aumentati dell'80%).
Quando Benvenuto dice che il sindacato non deve avere due facce, una alla Fiat di Torino e una al gruppo Alfa Lancia, si relaziona di fatto alla drammatica situazione che si vive nei reparti Fiat non per combatterla, ma per mostrarla come modello da seguire.
Di fronte alla politica di discriminazione, ai reparti confino, ai ritmi insopportabili e al licenziamento che il gruppo Fiat porta avanti nei confronti della classe operaia, Benvenuto, da buon agente della borghesia tra gli operai, propone di non tergiversare, anzi, di vedere come "positivi gli indirizzi del piano presentato dalla Fiat per il gruppo Alfa Lancia". L'argomentazione di Benvenuto a difesa di questa posizione è sempre la stessa: "per non essere spinti in un angolo bisogna accettare le proposte della Fiat" e non si illuda qualche settore sindacale: "strade diverse non ce ne sono" e questo lo dicono non solo i padroni, aggiunge il nostro bonzo, ma "ma tutti e tre i sindacati a livello centrale".
Chi è d'accordo con questa politica sono, non a caso, i sindacati gialli della Fiat, il SIDA e il FALI, che subito si sono "fidanzati" alla UILM per fare una proposta comune di rielezione dei C. di F., ma non gli operai che in più occasioni hanno dimostrato di non gradire i continui cedimenti. L'opposizione operaia alla politica delle centrali sindacali è stata, infatti, massiccia più volte e questo non può essere sottovalutato dai settori sindacali più riformisti, soprattutto alla periferia dove si è più a contatto con la base.
Il piano della Fiat, se discusso a livello centrale può essere visto dai riformisti con un occhio più attento alle questioni "strategiche" riguardanti l'economia nazionale, magari con l'illusoria visione di un possibile recupero dell'occupazione nel futuro, ma, via via che ci si avvicina alla fabbrica, anche il sindacato subisce delle spinte che vanno in senso contrario. Quello che nelle stanze romane viene discusso e contrattato sulla base dei "grandi numeri", nei reparti, nel contatto con le assemblee operaie trova una diversa ed ulteriore mediazione. Non a caso, mentre la FIM nazionale giudicava la base del piano proposta dalla Fiat più che positiva, la FIM milanese di Tiboni faceva distribuire ai cancelli di Arese un volantino contenente valutazioni diverse. La stessa FIOM, mentre in sede nazionale si preoccupa di ricucire lo strappo che si era prodotto all'indomani dell'11 marzo (giorno di rottura della trattativa con la Fiat) con la FIM e la UILM, siglando un documento comune che supera le divergenze su una base tutta interna al piano Fiat, in sede periferica rivendica una contrattazione decentrata che tiene conto delle specificità esistenti e con tempi di attuazione più lunghi.
Mentre Del Turco afferma che "il 1987 è un anno d'oro (n.n. non specifica però per chi) e che non bisogna lasciarsi sfuggire l'occasione per rilanciare l'auto", ad Arese e Pomigliano i lavoratori hanno un diverso atteggiamento. È lo hanno dimostrato nel la misura in cui sono stati chiamati ad esprimersi. Le assemblee fatte il giorno prima di andare di nuovo alla trattativa, dimostrano che non tutto fila liscio tra la base operaia e lo stesso PCI, preoccupato che una parte della base non recepisca le indicazioni della FIOM nazionale, si premura di far sapere, tramite il "Il Portobello" - il proprio giornale di fabbrica - che "inconcepibile e assurdo appare l'atteggiamento della FIM che a Roma dichiara di accettare tutte le richieste della Fiat, mentre a Milano respinge tutto".
Di fronte alla Fiat che minaccia di volere tutto e subito, è da opportunisti, come fa la FIOM, proporre la rinuncia ai gruppi di produzione in qualche reparto e nei restanti chiedere che l'adeguamento avvenga nel tempo; oppure sostenere che si è disposti ad accettare oggi una saturazione di 360 minuti giornalieri (la Fiat sostiene che oggi si lavorano solo 309 minuti al giorno) e poi, via via, ci si può adeguare al modello organizzativo che si applica alla Lancia e alla Fiat.
Come si vede, gli stessi gruppi di produzione tanto sbandierati nel passato come conquista di un contropotere in fabbrica, sono oggi svenduti sempre nel nome dell'aumento della concorrenzialità aziendale. Nelle assemblee "consultive" che si sono svolte in fabbrica c'è da rilevare anche che esiste tra la base un'estrema confusione e che, in mancanza di un'organizzazione del malcontento operaio, i vertici sindacali non possono che diventare "l'altoparlante di Corso Marconi" (vedi denuncia fatta dalla stessa Fim milanese) e non l'espressione della volontà operaia.
In questa situazione di ovvia debolezza alcuni settori operai, di fronte all'attacco della Fiat così duro, fanno questo discorso: il padrone chiede 100, noi dobbiamo limitare i danni a 90; quello che, così, si ottiene è poco, ma importante, perché è strappato ad Agnelli. Un tale discorso, frutto dell'attuale stato di confusione e incertezza che esiste tra gli operai, è sbagliato e non può che portare ad un ulteriore arretramento sul piano della difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro. Vediamo schematicamente il perché:
1) Se non si riesce a constatare l'azione padronale quando le condizioni economiche sono congiunturalmente favorevoli e come operai si ò in numero maggiore in fabbrica, è più difficile farlo quando si ò in meno e in balia della politica avversaria.
2) Accettando il piano Fiat si accetta il mantenimento degli attuali operai in C.I. a zero ore per almeno 4 anni e che ad essi se ne aggiungano altri 1.600.
3) piattaforma che non accetti la posizione aggressiva ed ultimativa della Fiat.
4) La forza espressa dagli operai in questi ultimi anni all'Alfa dimostra che c'è la possibilità di ribaltare l'impostazione sindacale che vede il salario come una variabile legata alla produttività aziendale e la questione occupazionale gestita con comitati paritetici con i padroni (dal documento FIM-FIOM-UILM: "ogni soluzione salariale è strettamente connessa, anche nei tempi a quella che verrà data ai problemi della produttività..." "il controllo dell'andamento del piano industriale e della questione occupazionale... sarà fatto attraverso un comitato misto"). Di fronte all'attacco Fiat cosa dobbiamo fare per difenderci?
Per prima cosa non bisogna accettare che avvenga lo smantellamento dei gruppi di produzione perché ciò creerebbe una selvaggia mobilità tra la forza lavoro, manovra utile all'azienda per imporre ritmi infernali sulle catene, senza che i lavoratori possano impostare una difesa collettiva. Noi non pensiamo assolutamente che i gruppi di produzione siano "una piccola isola di contropotere" (vedi Il Manifesto del 21 marzo) in fabbrica e, non a caso, servirono nel passato all'azienda per superare congiunturalmente le vecchie rigidità ed alzare la produttività del 30%; oggi, però, nemmeno questa organizzazione del lavoro è adeguata. Agnelli vuole smantellare questa struttura, per rendere ulteriormente flessibile la forza lavoro e porre l'operaio come individuo isolato di fronte al dispotismo del "nuovo" comando in fabbrica.
Il no all'uso flessibile della forza lavoro non è legato al discorso se esso è più o meno utile all'innalzamento della produttività, ma al fatto che i lavoratori possano meglio difendersi e verificare collettivamente come la nuova organizzazione di fabbrica peggiori le loro condizioni di lavoro.
Contemporaneamente bisogna impostare la lotta sul terreno dell'unificazione del contratto aziendale, ma con una piattaforma che estenda le migliorie presenti nelle singole fabbriche a tutto il settore Fiat e, contemporaneamente, ponga sul piatto della contrattazione la richiesta di una riduzione sostanziosa dell'orario di lavoro, in modo da difendersi dai licenziamenti e dall'aumento dei ritmi e carichi di lavoro.
Tutto ciò può essere meglio portato avanti nella misura in cui la trattativa e l'applicazione dei futuri contratti sia gestita con la diretta partecipazione delle strutture di base e non, come dicono i sindacati nel loro documento, dall'esecutivo dei C. di F. e da opportuni comitati che, come sappiamo, sono la diretta rappresentazione degli interessi di tutti i partiti parlamentari e non di quelli dei lavoratori.
Perché questo avvenga bisogna discutere ed organizzarci, cercando di superare le barriere che gli stessi sindacati ci impongono in fabbrica.