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Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017

Qualche flash sulle condizioni di lavoro nella catena agricoltura-industria alimentare-ristorazione

Riportiamo dal settimanale Usa The Nation del 27 dicembre 2016 i risultati di un’inchiestasulle condizioni di lavoro dei proletari del settore agricolo-alimentare-ristorazione.

“Una delle grandi contraddizioni dell’economia statunitense è che i lavoratori che ci alimentano sono i lavoratori che lottano più duramente per nutrire se stessi. Le aziende che producono e vendono gli alimenti statunitensi sono anche i monopolisti i cui i bassi salari pauperizzano una forza lavoro di 21 milioni di individui a livello nazionale. [...] Il loro salario orario è in media di 10 $ (16000 $ all’anno, meno della metà del guadagno medio annuale di un lavoratore di tutti i settori). [...] I loro livelli di paga sono scanditi da un ordine gerarchico di razza e genere, con gli uomini bianchi in cima. A parità di mansione un lavoratore nero prende il 60% di un lavoratore bianco. A parità di mansione una lavoratrice bianca prende il 50% della paga di un lavoratore bianco e le lavoratrici nere, latine, e native guadagnano rispettivamente il 45%, il 42% e il 36%. [...] La maggior parte degli amministratori delegati della produzione alimentare e agroindustriale sono uomini bianchi. Le donne e le persone di colore riempiono invece i ranghi dei lavoratori in prima linea che cucinano, servono e producono il cibo. Le opportunità di promozione sono scarse nei livelli salariali più bassi, in parte a causa dello sfruttamento del lavoro temporaneo e part time (nel 2014, per esempio, la metà

della forza lavoro della preparazione del cibo e della ristorazione ha lavorato a tempo parziale).

Bassi tassi di sindacalizzazione esacerbano la disuguaglianza salariale e la discriminazione, e limitano la capacità dei lavoratori di negoziare un equo pagamento. Cambiamenti economici strutturali collegati al commercio transnazionale, alla migrazione di manodopera e all’automazione

hanno di fatto reso più precari a livello mondiale i lavori della filiera alimentare. Le interviste condotte dalla rete sindacale fondata nel 2009 in California Food Chain Workers Alliance (300 mila iscritti) descrivono il peso di queste tendenze sulla vita dei lavoratori, raccontano come ogni giorno lavorativo li esponga a fumi tossici, brutale trattamento dei padroni e oppressione di genere. Una lavoratrice degli impianti di pollame ha raccontato di lavorare a un tale frenetico ritmo che, sotto l’abbaiare del suo supervisore, non riusciva nemmeno a levare gli occhi dalla sua linea di montaggio:«I supervisori mettono sotto pressione la gente per lavorare più velocemente, e sono sempre lì con noi per controllare e vedere che non ci si fermi». La violenza e l’oppressione di genere sono all’ordine del giorno nei luoghi di intenso e gerarchizzato sfruttamento a basso salario.

Nei settori come la ristorazione, le molestie sessuali sono normali come parte della cultura del posto di lavoro, un problema che recentemente ha provocato una serie di reclami federali contro McDonald. Per i lavoratori immigrati rurali, la struttura e la natura stagionale del lavoro talvolta sono molto vicine al lavoro forzato. Un raccoglitore di pomodori ha ricordato: «Il modo con cui ti trattano, è come se fossi un animale.

[...] Abbiamo vissuto in rimorchi oppure con 20- 30 persone in un caravan. Ci hanno puniti per un

qualsiasi errore nella lavorazione, ci hanno trattato come se fossimo schiavi». Molti lavoratori

intervistati erano stati feriti al lavoro o avevano conosciuto un compagno di lavoro che lo era stato,

ma a molti mancava l’assicurazione medica.

Lavoratori immigrati del settore avicolo hanno riferito di essere stati tagliati dai macchinari e che, richiesta la medicazione, erano stati rispediti al lavoro. La stanchezza cronica erode anche la salute dei lavoratori. Un operaio in produzione ha osservato: «Lavorare in questo settore, con gli orari e l’esaurimento, indebolisce il tuo corpo e ci si ammala più frequentemente. Questo ti colpisce molto perché non ci sono abbastanza soldi per coprire le spese mediche.»”

Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017

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