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Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017

Ue e Turchia: un accordo sulla pelle degli immigrati

A marzo del 2016 è stato stipulato un accordo tra l’Unione europea e la Turchia che ricalca quello del novembre 2015. Si prevede che gli immigrati giunti in Grecia (siriani inclusi) possono essere respinti in Turchia. Il governo di Ankara si impegna a “riaccogliere i profughi”, a consentire il loro accesso sul mercato del lavoro locale e, soprattutto, a intensificare gli sforzi della polizia e della guardia costiera in materia “di sicurezza”.

Il tutto sotto l’occhio vigile delle flotte della Nato in pattugliamento nel mar Egeo.

L’Unione Europea ha avviato, in cambio, l’erogazione di tre miliardi di euro “per aiutare” la Turchia nella gestione “dell’accoglienza ai profughi” e ha promesso di stanziarne altri tre entro la fine del 2018. Il governo di Ankara ha inoltre chiesto che non sia più necessario il “visto” per i cittadini turchi che vogliono a vario titolo entrare in Europa e che siano accelerate e facilitate le pratiche per l’accettazione della Turchia nella Ue.

Con questo accordo l’Unione europea delega ad Ankara una quota dello sporco lavoro di “contenimento e filtraggio” di centinaia di migliaia di proletari (oggi in Turchia vi sono circa tre milioni di “rifugiati”), mentre il governo turco riceve aiuti economici e qualche apertura rispetto all’adesione alla Ue.

L’accordo ha rischiato di saltare dopo il fallimento di colpo di stato in Turchia di questa estate. Le potenze europee hanno attaccato l’azione post-golpe del governo di Ankara. Nei giorni immediatamente successivi al fallito colpo di stato, a Colonia, una corte di giustizia tedesca è giunta addirittura a vietare che un discorso di Erdogan fosse trasmesso in diretta dinnanzi a una piazza dove erano radunati tanti immigrati sostenitori del primo ministro turco. Di fronte a questo comportamento dei paesi europei, il governo di Ankara ha ripetutamente minacciato di “aprire le frontiere”.

A conti fatti, però, il patto sta sostanzialmente reggendo e, in linea con le politiche di “accoglienza selettiva e condizionata” del grande capitale europeo, alcune regioni della Turchia sono diventate gironi infernali per gli immigrati e serbatoio di manodopera a prezzi stracciati per imprese locali ed europee.

Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017

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