Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017
Una bella iniziativa a Torpignattara (Roma) contro la crociata
anti-islamica istituzionale ed extra-istituzionale
Roma. A settembre 2016, dopo la chiusura coatta di vari locali adibiti a luogo di culto, una delle più attive organizzazioni capitoline degli immigrati ha promosso una serie di “preghiere del venerdì in piazza”. Si è partiti dalle strade di alcune periferie romane, per poi giungere il 21 ottobre 2016 ad un grande raduno “di preghiera” nei pressi del Colosseo a cui hanno partecipato circa duemila immigrati di fede islamica e di varie nazionalità. L’obiettivo dell’associazione promotrice (da sempre in prima fila in tutte le battaglie degli immigrati) era di organizzare una prima risposta collettiva a quello che giustamente veniva e viene vissuto come un “sopruso razzista” contro tanti lavoratori asiatici, africani ed arabi.
L’epicentro di questa “strana e particolare” (e non priva di contraddizioni) iniziativa è stato Torpignattara, un quartiere popolare e semi-periferico della capitale ad alta presenza di immigrati, dove i rapporti tra gli immigrati e la popolazione autoctona spesso non sono “semplici” e dove, nell’autunno del 2014, un lavoratore pakistano, Muhammed Shahzad Khan, fu ucciso a calci e pugni da un giovanissimo ragazzo italiano della zona. (1)
Proprio in questo quartiere, di fronte alle proteste degli immigrati, nell’ottobre 2016 l’amministrazione municipale guidata da Raggi ha deciso di concedere l’utilizzo di una malconcia palestra pubblica per celebrare le funzioni religiose del venerdì. Le reazioni non si sono fatte attendere. La destra (da Fratelli d’Italia a Casapound) inizia a soffiare sul fuoco: parla di “palestra scippata agli italiani dall’arroganza degli immigrati”, indice un’assemblea di quartiere e mette in campo il suo classico armamentario finalizzato ad attizzare l’ostilità “popolare” verso lo “straniero”.
Il tutto mentre una buona fetta dell’associazionismo di sinistra del quartiere preme sugli immigrati affinché questi ultimi rinuncino senza “troppo rumore” all’ipotetico utilizzo della “famosa” palestra per non “esasperare” (!!!) gli animi della popolazione residente autoctona.
Queste pressione diventano più insistenti quando tra gli immigrati inizia a farsi strada l’idea di dar vita ad un corteo per rispondere alle “provocazioni della destra”. In pratica, quello che queste associazioni di sinistra suggeriscono agli immigrati è di chinare la testa e di tornare con la coda in mezzo alle gambe “ciascuno a casa sua”, confidando nel buon cuore delle istituzioni che di certo, prima o poi, troveranno qualche altra soluzione. Il combinato dell’iniziativa dell’amministrazione comunale, della reazione della destra e dei “suggerimenti” dell’associazionismo di sinistra rischiavano di mettere gli immigrati in un pericoloso angolo.
Angolo da cui si è riusciti a venir fuori grazie alle esperienze maturate negli anni precedenti (soprattutto durante la mobilitazione “contro le politiche razziste e di guerra dei governi europei” successive ai fatti di Parigi del novembre 2015) e all’intervento portato avanti da un nucleo di attivisti immigrati e italiani (tra cui alcuni nostri militanti) “incontratosi” proprio nel corso di queste passate iniziative (2). Nelle assemblee e nelle riunioni succedutesi nel periodo in questione, questo nucleo di lavoratori e di militanti ha schematicamente sostenuto: 1) che non reagire apertamente davanti alla scesa in piazza della destra, avrebbe portato acqua al mulino della destra, aumentandone “le simpatie” soprattutto tra i giovani proletari italiani; 2) che, per combattere l’infezione razzista tra la gioventù proletaria autoctona è indispensabile adoperarsi per costruire una reale forza “di piazza” antagonistica al padronato e al governo in grado di attrarre a suo favore la più che giustificata rabbia di chi vive in periferia; 3) che “piegare in silenzio la testa” avrebbe avuto ripercussioni negative non solo sulla specifica “questione delle moschee” ma anche e soprattutto sul complessivo e difficile percorso di organizzazione degli immigrati; 4) che la furbesca proposta del municipio era da rifiutare ma da una posizione di forza e non a capo chino (3); 5) che per questi motivi andava organizzato un corteo che avesse l’obiettivo di “parlare in modo militante” ai residenti, dicendo che i problemi delle periferie urbane si possono affrontare non schiacciando gli immigrati ma iniziando a costruire con loro dei comuni legami di discussione, lotta e organizzazione contro la politica (interna e internazionale) del governo italiano e dell’Ue.
Venerdì 2 dicembre 2016 si è così giunti ad un piccolo ma compatto e determinato corteo, che ha attraversato le vie del quartiere in un continuo susseguirsi di comizi ed interventi sui temi indicati sopra. La manifestazione (250 persone circa) ha contribuito a dare coraggio agli immigrati e a rafforzare in essi la convinzione di non doversi mai presentare “con il cappello in mano” per difendere i propri diritti. Il suo limite non è stato nei contenuti espressi o nel numero dei partecipanti (si trattava, è bene ricordarlo, di un corteo di quartiere organizzato in condizioni molto sfavorevoli), ma nel fatto che ad essa abbiano partecipato pochissimi (pochissimi!) lavoratori italiani.
Indice, questo, di quanto la diffidenza e l’ostilità verso gli immigrati sia penetrata a fondo tra il proletariato autoctono e di quanto sia indispensabile battersi a fondo per estirpare questo micidiale (e suicida) veleno.
Note
(1)Vedere l’articolo “Il governo Renzi, le istituzioni statali, i mezzi di informazione, le forze politiche di destra vogliono dirottare il malessere e la rabbia dei quartieri popolari contro gli immigrati” pubblicato sul che fare n. 81.
(2)Vedere l’articolo “Dopo gli attentati di Parigi: a Roma, quartiere Torpignattara, un’iniziativa contro le politiche razziste e di guerra dei governi europei” sul che fare n. 83.
(3) A tal proposito va detto che le associazioni degli immigrati avevano sin da subito detto di non voler usufruire della palestra per un insieme di motivi logistici e politici allo stesso tempo.
Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA