Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017
Il fine delle riforme istituzionali in Italia
in un documento del 2013 della banca d’affari JpMorgan
Il 28 maggio 2013, la banca d’affaristatunitense JpMorgan (1) pubblica un documento sui percorsi di “aggiustamento strutturale” in corso nei paesi dell’area euro.
Dopo aver elogiato a pag. 11 i provvedimenti a favore dell’economia di mercato varati dal governo Monti nel 2012, tra cui l’allungamento dell’età lavorativa di circa sei anni, il documento annota che “c’è ancora molto da fare” e che un clima favorevole agli investimenti richiede interventi non solo sul piano economico ma anche sul piano politico e amministrativo. A pag. 12 e a pag.13 è scritto: “All’inizio della crisi [del 2008] era diffusa l’idea che i problemi fossero di natura economica.
Tuttavia, man mano che la crisi è andata avanti, è diventato chiaro che essi derivano anche dai sistemi politici tipici dei paesi dell’Europa meridionale. [...] Essi sono stati
instaurati sulla scia della caduta di dittature e sono rimasti segnati da quella esperienza. Le costituzioni [di questi paesi della periferia europea] subiscono la forte influenza dell’orientamento socialista per effetto della forza politica conquistata dai partiti di sinistra dopo la caduta del fascismo. I sistemi politici dei paesi dell’Europa meridionale presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli; governi centrali deboli nei confronti dei poteri regionali; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori:
tecniche di costruzione del consenso fondate sul foraggiamento del clientelismo; e il diritto a protestare se sono introdotti cambiamenti non graditi nella situazione politica
esistente. Le conseguenze negative di questa eredità politica sono state messe in luce dalla crisi. I paesi dell’Europa meridionale hanno raggiunto solo parziali successi nell’attuare le riforme fiscali ed economiche richieste per i vincoli (costituzionali in Portogallo, dei poteri regionali in Spagna e della crescita dei partiti populisti in Italia e Grecia) che hanno frenato l’azione dei governi. [...] Il test-chiave nell’anno che sta per arrivare [il 2014] è l’Italia, dove il nuovo governo [quello di Renzi] ha l’opportunità di dare battaglia per introdurre significative riforme del sistema politico”.
La pubblicazione del documento nel maggio 2013 è stata preceduta e seguita da incontri tra Jamie Dimon, amministratore delegato della JpMorgan, Tony Blair, l’ex-primo ministro lib-lab britannico campione delle menzogne ordite per giustificare la guerra all’Iraq del 2003 diventato nel frattempo consulente della JpMorgan per l’inezia di qualche milione di dollari all’anno, e Matteo Renzi. Considerati i toni delle
interviste rilasciate da Tony Blair al Times e alla Repubblica dopo i colloqui nell’aprile 2014, al centro degli incontri vi fu il contenuto del memorandum che abbiamo riportato.
La vicenda dei rapporti tra la J. P. Morgan e Renzi è istruttiva, ma spesso i siti legati al “fronte del no” che l’hanno riportata hanno messo la sordina su altri fatti fondamentali.
1) La richiesta di ristrutturare il “sistema politico” della prima repubblica non viene resentata per la prima volta nel 2013 ma 20 anni prima.
2) Questa richiesta non è stata formulata dall’oligarchia finanziaria degli Stati Uniti e recepita servilmente in Italia dai suoi lacchè, ma è stata messa a punto autonomamente anche dai borghesi italiani, da Agnelli, Pirelli, Montezemolo, Cuccia, Berlusconi, Ligresti, Del Vecchio, Caltagirone, Riva, Moretti, Passera, Natuzzi, Benetton, Bombassei, De Benedetti, ecc.
3) L’azione politica per ristrutturare il sistema politico italiano non comincia con il governo Renzi nel 2013 ma 20 anni prima ed è stata portata avanti dalla gran parte delle forze politiche del “no” o dai padrini di queste forze, da D’Alema, dalla Casa
delle Libertà con Berlusconi-Bossi-Fini-Casini, dagli ispiratori politici di Fratelli d’Italia e della Lega Nord, da Di Pietro.
4) Se quest’opera è rimasta incompiuta e ha richiesto la “spallata” tentata da Renzi, ciò è stato possibile solo per le lotte sindacali e politiche a cui, pur con difficoltà e limiti, hanno dato vita (lo riconosce, amareggiato, lo stesso documento JpMorgan) per
vent’anni i lavoratori d’Italia.
5) L’affinità elettiva di Renzi con JpMorgan, l’affidamento ad essa del risanamento Mps in alternativa alla cordata guidata da Banca Intesa, l’incoraggiamento della polemica anti-tedesca di Renzi da parte dei vertici statunitensi esemplificano un’altra costante di questa ventennale transizione dalla prima alla seconda repubblica italiana: l’uso da parte degli Usa del mutamento degli assetti politici tradizionali italiani per mettere il bastone tra le ruote alla costruzione europea. Va bene, per Washington e Wall Street, fare dell’Italia un fruttuoso campo per gli investimenti capitalisti, ma senza che ciò si associ al rafforzamento del capitale italiano quale perno della formazione degli Stati Uniti d’Europa...
(1) JpMorgan non è una banca qualsiasi. È uno dei primi gruppi finanziari del mondo. Ha 240 mila dipendenti sparsi nei cinque continenti. Nel 2015 ha registrato un utile di 24,4 miliardi di dollari. Nel 2011 e nel 2012 è stata incriminata dalla procura di New York e dal governo federale di Obama, attenti all’interesse del capitale Usa nel suo insieme, per frode finanziaria sui mutui sub-prime. Nel novembre 2013, qualche mese dopo la pubblicazione del documento sull’Europa, i vertici della JpMorgan hanno patteggiato la causa e versato una multa di 13 miliardi di dollari.
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