Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017
Europa, Francia
Stretta tra le politiche europeiste di Bruxelles e quelle delle forze
“sovraniste”, l’Europa (anche quella proletaria) va a destra.
Le condizioni dei 200 milioni di lavoratori salariati in Europa, di cui32 immigrati, sono molto diversificate per regioni, per fasce di età, per qualifiche e per nazionalità. Eppure tutti i lavoratori d’Europa sono nel mirino di una stessa (differenziata) offensiva.
Questa offensiva è portata avanti da due distinti fronti sociali e politici. Da un lato, vi sono le forze borghesi europeiste, più o meno coerenti, ben installate a Bruxelles e nei governi dei principali governi europei continentali, Merkel, Valls, Gentiloni, Tsipras.
Dall’altro lato, vi sono le forze cosiddette “populiste”. Le une e le altre cercano di conquistare l’appoggio dei lavoratori ai loro programmi. Da un lato, si sciorinano i vantaggi per i proletari stessi del completamento della costruzione europea. Dall’altro lato, si decantano quelli derivanti dal ritorno alle monete nazionali e dal “recupero delle sovranità nazionali”.
Nell’ultimo anno è cresciuta la simpatia dei lavoratori d’Europa verso questo secondo fronte, molto diversificato quanto a interessi sociali dominanti e programmi. Alcuni gruppi della sinistra europea considerano positivamente la diffusione tra i lavoratori dell’anti-europeismo “populista”, vedono la componente sciovinista e anti-islamica delle politiche “populiste” come una vernice superficiale, salutano la Brexit e la vittoria del “no” al referendum costituzionale in Italia come dei passi a favore della lotta dei lavoratori d’Europa.
Noi compagni dell’Oci siamo nettamente contrari a questa valutazione e alle conseguenze politiche che, volenti o nolenti, ne derivano. Nelle pagine 9-19 cerchiamo di far emergere questa realtà soffermandoci sulla Brexit e, soprattutto, sulla situazione italiana, nella quale siamo direttamente impegnati con la nostra battaglia politica. In questo rapido sommario dei temi che saranno trattati, accenniamo alla versione “francese” dello scontro in corso, al cui centro vi sono la lotta del 2016 dei lavoratori contro i provvedimenti del governo Hollande- Valls e la campagna presidenziale della primavera 2017.
A vantaggio di chi va la cosiddetta “riconquista della sovranità nazionale”?
Anche per noi, le forze politiche cosiddette “populiste”, tra loro nettamente differenziate tra quelle britanniche e quelle continentali, non esprimono gli stessi interessi e le stesse politiche dei capitalisti e delle istituzioni statali che, pur in contrasto reciproco, conducono la danza da Bruxelles. Ma dove sta la differenza? E quali conseguenze ne derivano per i lavoratori?
L’ascesa capitalistica della Cina, la risposta a questa ascesa da parte degli Usa guidati da Obama, l’allargamento della scala di socializzazione delle forze produttive a livello planetario sottostante all’una e all’altra hanno costretto le borghesie europee a coordinare più strettamente le loro politiche economiche. (1) “O ci coordiniamo oppure nessuna di noi manterrà il suo ruolo privilegiato nella spartizione della ricchezza estorta al proletariato mondiale”, si sono detti i circoli più potenti e lungimiranti delle borghesie europee.
Questa politica europeista non ha condotto e non conduce solo ad una stretta (sul piano immediato e sul piano politico) ai danni dei lavoratori. Non conduce solo alla loro contrapposizione e gerarchizzazione attraverso il loro l’inserimento in un unitario mercato del lavoro controllato da un pugno di monopoli industriali e finanziari. Essa comporta anche una stretta su alcune frazioni delle classi dominanti europee e sugli strati sociali intermedi. Le une e gli altri sono interessati a mantenere i loro meschini interessi locali di fronte alle conseguenze di una coerente unificazione verso gli Stati Uniti d’Europa e cercano di dar man forte alle loro bandiere “sovraniste” canalizzando a proprio favore il malcontento suscitato dalle politiche europeiste tra le fasce più compresse dei lavoratori, quelli confinati nel settore precario (anche nella Germania della piena occupazione), quelli dei paesi mediterranei o quelli che, anche nei paesi dell’Europa dell’Est, sentono più fortemente la concorrenza dei lavoratori immigrati richiamati in Europa dalla richiesta di manodopera abbondante e ricattabile.
Questo coagulo di interessi borghesi “sovranisti” ha una rilevante consistenza in Francia.
Marine Le Pen, che probabilmente sarà uno dei candidanti al secondo turno delle presidenziali, ha affermato che, in caso di vittoria, convocherà un referendum per l’uscita della Francia dall’Unione Europea, per ridare al popolo francese il diritto di decidere sul proprio destino. Bene: cosa riserverà ai lavoratori questa “riconquistata sovranità”? La risposta è arrivata, anche se i mezzi di comunicazione vi hanno messo oculatamente la sordina, durante la lotta del 2016 dei lavoratori francesi contro la riforma del mercato del lavoro varata dal governo “socialista” di Hollande-Valls. Marine Le Pen non si è sbilanciata sul merito dei provvedimenti, ma ha sparato a zero, ecco il punto cruciale, contro gli scioperi, i picchetti e le manifestazioni di piazza, con la motivazione che essi hanno rischiato di spaccare l’unità nazionale, di dividere i francesi, di dissotterrare la contrapposizione (a suo avviso) archiviata tra destra e sinistra.
Nello stesso tempo Marine Le Pen ha solidarizzato con i poliziotti inviati a manganellare i lavoratori. Insomma: a parole Marine Le Pen potrebbe anche dichiararsi contro la liberalizzazione del mercato del lavoro, ma, schierandosi contro l’unico mezzo per arginarla e solidarizzando con chi ha l’ordine di difenderla, l’ha appoggiata e l’appoggia. Con ciò, le Front National ha appoggiato e appoggia la sottomissione dei lavoratori alla concorrenza reciproca implicata da questa politica e dall’inno all’unità nazionale bene comune superiore.
Ma mercato e concorrenza non sono fenomeni francesi, sono il mercato e la concorrenza mondializzati, sono la mondializzazione capitalistica da cui a parole Marine Le Pen promette di difendere i lavoratori. E questa sarebbe l’alternativa al programma politico europeista liberista “progressista” di Hollande o di Macron oppure a quello europeista liberista “conservatore” lanciato dall’altro probabile candidato al ballottaggio presidenziale, il destro Fillon? Quest’ultimo afferma che il rilancio dell’Azienda-Francia richiede l’allungamento dell’orario di lavoro (altro che 35 ore!), l’allungamento dell’età lavorativa, il recupero della tradizione cattolica francese, il compattamento di tutte le classi dietro l’obiettivo di aumentare la competitività del paese... E dov’è la differenza sostanziale tra questa politica e quella di Marine Le Pen?
Senza contare, ovviamente, la gara tra Marine Le Pen e Fillon a chi tra loro è più coerente nel contrapporre i lavoratori francesi a quelli immigrati, e nel promettere vantaggi per i lavoratori francesi derivanti dallo schiacciamento degli immigrati.
In questo campo il “recupero della sovranità nazionale” rivendicato da Marine Le Pen sta nel fatto che le prestazioni welfariste dovrebbero essere riservate solo ai francesi e nel fatto che gli immigrati, accusati di essere la causa del debito pubblico!, dovrebbero usufruirne solo dopo un congruo numero di anni di versamenti contributivi. Recupero di sovranità, dunque, sui lavoratori immigrati. A vantaggio di chi? Non certo dei lavoratori francesi, che, per effetto di una spirale simile a quella discussa per l’Italia nelle pagine 14-19, saranno essi stessi schiacciati dalla stretta sui lavoratori immigrati. Non potrebbe essere diversamente, perché la “liberazione dalle catene di Bruxelles” perseguita dal Front National è solo un altro modo per agevolare la sottomissione dei lavoratori francesi al mercato mondiale, allo sfruttamento capitalistico mondializzato, dal quale una Francia “liberata” continuerebbe ad essere dominata, semmai senza lo “schermo protettivo” dell’UE.
Con Fillon e con Macron, che intendono rafforzare la Francia rafforzando l’Unione Europa, e con Marine Le Pen, che vuole rafforzare la Francia lasciando l’Unione Europea, abbiamo tre diverse versioni di uno stesso attacco ai lavoratori d’Europa, con la differenza che l’inserimento dei lavoratori di Francia entro uno spazio commerciale, normativo e monetario omogeneo a livello continentale offre, potenzialmente e a certe condizioni, un campo di battaglia politica più favorevole per costruire, a partire da lotte e mobilitazioni inizialmente locali e nazionali, un fronte di classe internazionale, l’unico argine capace effettivamente di difendere i lavoratori, europei e immigrati insieme, dalle conseguenze della cosiddetta globalizzazione e dell’azione dei mostri statali che sono al servizio di essa.
È proprio questa potenzialità che, in fondo, le forze “sovraniste” rimproverano all’europeismo borghese. È anche contro di essa che Marine Le Pen spara a zero, quando ripete che oggi la contrapposizione politica non è più tra destra e sinistra, cioè tra le classi sociali entro uno stesso popolo, ma tra globalisti e sovranisti.
I lavoratori d’Europa alla coda delle frazioni borghesi in lizza
La gran parte dei lavoratori francesi è purtroppo accodata all’uno o all’altro dei tre fronti borghesi che si contendono la scena. È quello che accade, con gradazioni diverse, anche nel resto d’Europa. Nell’ultimo anno la deriva verso posizioni scioviniste e social-darwiniste si è anzi rafforzata, come rivelato dagli esiti referendari del Regno Unito (giugno 2016) e dell’Italia (dicembre 2016). Non è per noi una novità ma fa riflettere la confessione del segretario della Confédération Générale du Travail (Cgt) nel pieno delle mobilitazioni di giugno 2016 in Francia: la gran parte degli aderenti alla Cgt e dei lavoratori in piazza simpatizza politicamente con Marine Le Pen. In questa deriva (destinata probabilmente ad aggravarsi e tuttavia non eterna) sono coinvolti anche i lavoratori immigrati, con i lavoratori arrivati da qualche anno in Europa schierati contro gli immigrati in arrivo e ben disposti verso l’esca lanciata dalle borghesie europee per irregimentare anche i lavoratori immigrati entro i cerchioni delle loro politiche neo-colonialiste.
Il corso futuro della lotta di classe in Europa è intrecciato al destino dell’Ue. Questo destino è incerto.
Non è facile, al momento, prevedere se la Brexit e i prossimi possibili sussulti in Francia e in Italia, con l’interessato zampino Usa, faranno naufragare l’Unione Europa (a vantaggio dei colossi capitalistici anglosassoni già con l’acquolina in bocca) oppure se, benché in presenza della perdita di
qualche pezzo, il processo di formazione degli Stati Uniti d’Europa proseguirà attraverso il consolidamento, che non ci sembra naufragato, del suo polo centrale germanico e attraverso l'infittirsi dei rapporti di questo polo con la Cina passando per l'apertura (in mezzo alla via della seta euroasiatica
del XXI secolo) dell'eldorado iraniano.
È infondato ritenere che la stessa Brexit potrebbe alla fin fine favorire la centralizzazione capitalistica europea, per il ruolo storico anti-Ue svolto dal Regno Unito nella Ue? Va in questo senso la proposta presentata dai ministri della difesa francese e tedesco al vertice Ue di Bratislava del settembre 2016 per accelerare la cooperazione in materia militare dei paesi europei?
Nell'uno e nell'altro caso (non del tutto equivalenti per la prospettiva internazionalistica) difficilmente il proletariato d'Europa, nelle sue diverse sezioni territoriali e nazionali, saprà svincolarsi dalle illusioni e dalle gerarchizzazioni in cui è avviluppato senza aver bevuto altri amari calici e senza aver prima sperimentato le tragiche conseguenze cui conducono le politiche borghesi a cui è, in un modo o nell'altro, accodato.
Che in questa attraversata del deserto si enuclei una minoranza, inevitabilmente ultra-ristretta, di militanti proletari organizzati per la difesa intransigente degli interessi dei lavoratori e per la tessitura dell’unità internazionalistica di classe!
Note
(1) Questa funzione è ben diversa da quella delle prime forme di raccordo tra le politiche economiche dei paesi
dell’Europa continentale nell’immediato secondo dopoguerra. Queste ultime furono il frutto della volontà degli Usa, allora padroni incontrasti del mondo, di impedire la rinascita della potenza imperialistica autonoma germanica.
Che fare n.84 dicembre 2016 - maggio 2017
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA