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Che fare n.82 maggio 2015 -novembre 2015

L’obiettivo politico della sentenza di primo grado

al processo contro il movimento NO TAV

Si è concluso il processo di primo grado contro i 53 attivisti notav "colpevoli" di aver resistito allo sgombero, a suon di manganellate, idranti, gas al CS da parte di polizia, carabinieri e finanza, della "libera repubblica della Maddalena" (così è denominato il presidio permanente nella zona dove ora c’è il cantiere) il 27 giugno e il 3 luglio del 2011.

Le sentenze sono state pesanti. Ai 47 imputati sono stati inflitti 145 anni di galera e addebitate cifre esorbitanti per presunti danni materiali (si parla di centinaia di migliaia di euro, da "precisare" in sede civile). Perché lo stato e la magistratura stanno usando una mano tanto pesante contro questo movimento e contro la gente della Val Susa che non vuole piegare la testa?

Non solo in tutti questi anni il movimento notav è stato un esempio importante per altri movimenti (dal "No Muos" alle lotte contro le discariche in Campania), ma, soprattutto, ha visto una reale e vasta partecipazione dei lavoratori e della "gente comune" della valle. La recente sentenza è appunto indirizzata innanzitutto contro questa partecipazione, contro questo protagonismo politico della "gente semplice".

Non è un caso che il fronte antinotav (magistratura, governo e Pd in testa) abbia da un lato approfondito l’attacco frontale al movimento con l’apertura di innumerevoli filoni di inchieste giudiziarie (ormai non si contano gli attivisti indagati e sotto processo), mentre dall’altro stia adottando la tattica del "logoramento ai fianchi" inasprendo al parossismo le pene pecuniarie.

Per lo stato e le istituzioni la questione non è più "solo" quella della costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità. In qualche caso e a "mezza bocca" arrivano anche a dire che la nuova tratta "non è proprio così importante" e che i costi sono lievitati in modo spropositato (si parla addirittura di una momentanea sospensione dei cantieri, in attesa di nuovi finanziatori).

La posta in gioco è anche politica: lo stato e gli interessi della classe capitalista che è chiamato a difendere vogliono piegare un movimento che negli anni è cresciuto, si è rafforzato e che in alcune occasioni ha fatto sentire la sua voce anche su "altre" questioni: dando solidarietà al popolo palestinese, denunciando la partecipazione italiana alle guerre occidentali contro i popoli del Sud del mondo, appoggiando altre lotte proletarie…

Le pene inflitte agli attivisti notav contengono questo preciso messaggio: "Lavoratori, statevene buoni a casa, non cercate di lottare ed organizzarvi collettivamente, subite a testa bassa, altrimenti ecco ciò che vi aspetta". Questi ricatti, queste intimidazioni vanno respinti, rafforzando la riflessione, la discussione e l’organizzazione collettiva e allargando sempre più gli orizzonti su problematiche che vanno oltre la specifica questione "locale". È questa l’unica strada con cui ci si potrà difendere dalla repressione e con cui si potrà contribuire a costruire l’unico traforo di cui abbiamo bisogno: quel traforo che farà cadere le "montagne" erette dal mercato capitalistico e dalle politiche dei paesi occidentali tra i lavoratori e gli sfruttati dei diversi paesi e continenti.

Che fare n.82 maggio 2015 -novembre 2015

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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