Che fare n.82 maggio 2015 -novembre 2015
Con l’aiuto di un’ipocrita, mistificante e razzista campagna propagandistica sui barconi degli immigrati, l’Italia di Renzi, sotto il vessillo Onu, intende imporre il suo giogo monopolistico sulla Libia.
Il governo Renzi, i vertici militari, i vertici dell’Eni e gli altri grandi capitalisti italiani vogliono un nuovo intervento militare in Libia. Quello del 2011, condotto insieme agli alleati occidentali, ha permesso di picconare la repubblica di Gheddafi ma non è stato sufficiente per riconsegnare all’Italia il controllo monopolistico della sua ex-colonia. L’imperialismo italiano invoca il secondo tempo. Anche questa volta cerca di conquistare l’appoggio dei lavoratori d’Italia presentando l’aggressione neo-coloniale come la risposta umanitaria per sradicare quelli che l’informazione ufficiale chiama gli "schiavisti del XXI secolo", gli scafisti, e per portare la prosperità in Africa.
Che schifosa ipocrisia! I veri schiavisti che trasformano gli scafisti negli unici responsabili e che si atteggiano a liberatori dei popoli africani! Loro che hanno saccheggiato per secoli il continente nero! Loro che, quattro anni fa, hanno distrutto uno degli stati, la repubblica guidata da Gheddafi, che, raccogliendo l’eredità della lotta anti-coloniale, stava cercando di promuovere in Libia e in Africa uno sviluppo capitalistico non così asfittico e socialmente squilibrato come quello coltivato, a proprio uso e consumo, dall’imperialismo! (1) Loro che sono i veri responsabili del ciclone che, dal 2011, si è abbattuto sulla Libia e che ha distrutto gli ospedali, le fabbriche, le scuole, le reti di trasporto, i sistemi di previdenza e causato la fuga in Egitto e in Tunisia e in Algeria di oltre un milione e mezzo di libici! Loro che sono stati i padrini, i finanziatori, gli armatori dei due raggruppamenti politici libici micro-borghesi, quello "laico" di Tobruk e quello legato alla Fratellanza Musulmana di Tripoli, che oggi controllano la gran parte del territorio costiero libico e che, nella guerra per strapparsi di mano i brandelli acciuffati, hanno concorso a far precipitare la Libia in un tale disastro economico e sociale da rendere persino problematico il saccheggio sognato dai capitalistici italiani! All’inizio del 2015, tra le grandi imprese italiane impiantate in Libia, solo l’Eni continuava a svolgere la sua attività quasi a pieno ritmo. (Grazie ad accordi sottobanco, ha malignato il
Wall Street Journal del 7 aprile 2015, con gruppi di potere locali.) Alcuni paesi imperialisti, come ad esempio gli Usa, hanno interesse a mantenere la situazione di caos (controllato) attualmente esistente in Libia, anche per la spina nel fianco che esso rappresenta per l’alleata concorrente Europa. L’Italia, invece, vuole mettere economicamente a frutto la distruzione della repubblica di Gheddafi. Non è chiaro, al momento, quale sarà la via per giungere a questo obiettivo. Se con l’eliminazione del raggruppamento di Tripoli a vantaggio di quello di Tobruk, dichiaratosi pronto a fare l’affidabile cane da guardia degli interessi italiani. Oppure se con un intervento massiccio permanente delle forze armate italiane per mantenere sotto controllo solo i pozzi e le infrastrutture petrolifere. Oppure se con l’imposizione di un accordo tra i due "governi" in lizza di Tripoli e di Tobruk affinché accettino di diventare burattini al servizio dell’Italia. Tre cose sono, però, sicure.1) L’Italia intende perseguire il suo scopo avvalendosi della collaborazione (da mantenere subordinata) del regime di al-Sisi. Essa è stata rinsaldata nella visita compiuta in Egitto da Renzi nel marzo 2015 e mostra i reali interessi celati dietro le amerevoli parole verso i popoli dell’Africa con cui il governo italiano intende giustificare il nuovo intervento.
2) Per imporre la prima o la seconda o la terza via (o una combinazione delle tre), il governo userà il dispositivo militare che, sotto bandiera Onu, dispiegherà nel mar libico: con la scusa di affondare i barconi prima del loro uso, si colpirà chi (questo o quel gruppo dei due "governi" libici oppure questo o quel settore della popolazione) non volesse acconsentire alla totale sottomissione ai colonialisti e ai liberi traffici degli agenti italiani in terra libica.
3) Per ottenere il consenso interno e internazionale a questa nuova operazione di polizia, il governo italiano sta mettendo in campo una politica di "accoglienza" in Italia e in Europa verso un settore ( limitato) dei profughi in arrivo sulle coste italiane.
Nelle stanze del potere si ghigna cinicamente: "Perché non spendere qualche decina di milioni di euro (da mettere a carico, alla fin fine, lavoratori salariati), se questo ci aiuta a presentarci come buoni europei agli occhi dei popoli africani? se questo ci aiuta a suscitare un sentimento di riconoscenza e fedeltà in un settore di lavoratori immigrati in arrivo?" Questa politica, ipocritamente "buonista", sta raggiungendo anche un altro risultato: sta contribuendo a rafforzare tra i lavoratori italiani quell’ostilità contro gli immigrati già purtroppo molto diffusa. Molti proletari autoctoni sentono come ingiusto che una fetta dei fondi pubblici sia destinata "all’accoglienza dei profughi" e non, ad esempio, alla sanità pubblica e all’assistenza sociale "per gli italiani". Di ciò è riprova la crescente eco che le posizioni della Lega iniziano ad avere anche tra i lavoratori dell’Italia centro-meridionale.
Noi capiamo la riluttanza dei lavoratori ad accollarsi altri sacrifici, ma nello stesso tempo affermiamo che è controproducente per i lavoratori italiani unirsi al coro di chi afferma "Rispediamoli a casa!". I lavoratori immigrati dall’Africa e dal Medioriente (e dagli altri continenti) sono spinti a cercare un futuro meno disumano qui "a casa nostra" perché l’imperialismo, le "nostre" banche, i "nostri" governi, le "nostre" forze armate e le classi dirigenti dei loro paesi affittate all’imperialismo stanno distruggendo la loro possibilità di vivere nella loro "casa" libica, africana, siriana, irachena, palestinese...
Parli per tutti la distruzione operata dall’Occidente e dai suoi galoppini libici dal 2011 in Libia.
Questa situazione si può superare solo in avanti. Solo buttando giù i muri che qui in Italia e in Europa la concorrenza sul mercato del lavoro e il razzismo di stato cercano di erigere tra i lavoratori italiani e quelli immigrati, tra quelli immigrati da alcuni anni e con un permesso di soggiorno e quelli che intendono intraprendere l’inferno del viaggio verso l’Italia. Da questa situazione si può uscire solo rifiutando la politica di accoglianza (condizionata) di Renzi e quella altrettanto infame di Salvini e cominciando a costruire legami di lotta, disolidarietà di classe e di organizzazione con gli immigrati, con i popoli e con le masse sfruttate Nord-africane contro l’imperialismo. Per questo e come parte di questa battaglia contro l’aggressione e la manomissione italiane alla Libia e per l’unità di classe internazionalista, noi siamo contro i respingimenti, i filtri, i campi di detenzione che si vogliono costruire in Nordafrica...
Nei mesi scorsi siamo intervenuti più volte contro questo versante della politica del governo Renzi. Nella pagina a fianco riportiamo il volantino che, in diverse lingue, abbiamo diffuso nel marzo 2015 in alcune fabbriche e in alcuni mercati popolari delle città nelle quali siamo presenti con le nostre minuscole forze.
Nota
(1) Sull’aggressione occidentale alla Libia si vedano gli articoli pubblicati sul "che fare" n. 74 e n. 75.
Che fare n.82 maggio 2015 -novembre 2015
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA