Che fare n.81 dicembre 2014 - aprile 2014
La democrazia Usa mobilita la guardia nazionale per rinsaldare l'oppressione razzista e classista su cui si fonda
Il 9 agosto 2014 un giovane afroamericano, Michael Brown, è stato assassinato da un poliziotto bianco, Darren Wilson. Teatro dell’esecuzione è stato il sobborgo di Ferguson, alla periferia di Saint Louis, nel Missouri.
Il giovane, disarmato, è stato freddato con sei colpi (due alla testa) nel corso di una discussione sorta durante un "normale" controllo di polizia. L’assassinio di Michael Brown non è un caso isolato. In un recente rapporto dell’FBI sui casi di cosiddetto "omicidio legittimo" registrati da un campione di dipartimenti di polizia è scritto che, tra il 2005 e il 2012, i poliziotti statunitensi hanno ucciso, per "legittima difesa", ovviamente!, oltre 400 persone l’anno. Se andiamo a vedere la composizione razziale di queste "legittime difese", si scopre che una larga percentuale degli assassinati è composta da giovani afroamericani e latinos.
Ciò che ha reso l’"incontro" di Brown con la polizia diverso dagli altri episodi analoghi avvenuti in questi ultimi anni a S. Louis e in altre città Usa, sono state le manifestazioni e la rivolta della popolazione nera di Ferguson.
Dal 10 agosto 2014, per una decina di giorni la periferia di Saint Louis ha visto manifestazioni di massa, scontri quotidiani con la polizia, assalti di migliaia di giovani agli uffici di polizia, l’introduzione della legge marziale, centinaia di feriti e di arresti, l’arresto dei reporter che stavano cercando di documentare la rivolta, l’intervento "finale" della guardia nazionale con i suoi reparti di assalto (i cosiddetti Swat) per riportare l’"ordine" (1) e, infine, l’invio di un commissario speciale da parte di Obama. (Chissà cosa avrebbero detto gli organi di informazioni occidentali se scene del genere si fossero svolte a Hong Kong… )
La fiammata di Ferguson, seguita nei mesi successivi da altre ampie mobilitazioni, ha fatto crollare l’iniziale tentativo abbozzato dalle istituzioni e dalla grande stampa di addossare il rilevante numero di giovani afroamericani uccisi dalla polizia alla cattiveria di qualche poliziotto bianco.
La ribellione dei neri di Ferguson ha, invece, alzato il velo sulla capillare e mastodontica macchina di controllo sociale messa in piedi dalla prima democrazia del mondo, sulla persistenza del razzismo verso gli afro-americani come ingrediente vitale di questa democrazia, sulle condizioni di lavoro di vita della classe lavoratrice degli Usa nell’era del primo presidente nero degli Stati Uniti, il premio Nobel per la pace Obama-Obomba.
I ragazzi che sono scesi in strada a Ferguson a fronteggiare la polizia e a chiedere giustizia hanno conosciuto la mano dello stato razzista statunitense ben prima della tragica morte del loro compagno.
Molti di loro, come era accaduto anche a Michael Brown, sono passati attraverso la scuola pubblica di Saint Louis, frequentata per il 98% da neri, segnata da un tasso di abbandoni del 22%, organizzata per instillare nei futuri lavoratori destinati a svolgere mansioni stupide a basso salario il remissivo comportamento richiesto dalle aziende e la giusta dose di invidia e competizione verso i propri compagni di lavoro ugualmente richiesta dalle aziende. Una delle principali preoccupazioni dell’attività pedagogica svolta in tali scuole è quella di individuare gli alunni potenzialmente "pericolosi" e di punirli in caso di sordità alle lezioncine impartite dallo stuolo di operatori sociali che riempiono le aule. La punizione viene sempre più spesso gestita direttamente dalla polizia, con la presenza costante di macchine, metal detectors e guardie all’ingresso degli edifici.
Laddove non bastano la scuola e la galera del mercato, la democrazia a stelle e strisce fa, poi, intervenire la cappa di piombo della permanente perlustrazione dei quartieri popolari da parte della polizia, quella che ha ucciso Michael, e la prigione vera e propria. Aumentate di numero e di capienza con gli enormi investimenti degli ultimi 30 anni, le carceri statunitensi (in cui nel 2013 erano rinchiusi 2,3 milioni di persone!) accolgono un terzo dei giovani afroamericani di età compresa tra 18 e 35 anni, regalando loro un cocktail ri-educativo composto da angherie delle guardie e dei "nonni", celle super-affollate, malattie come iper-tensione, aids, diabete, disturbi psichici... Il tutto per restituirli ai quartieri di provenienza e all’alternativa di entrare (rassegnati e domati) nelle fila dei "poveri laboriosi" e dei "poveri disoccupati" oppure di inserirsi (altrettanto domati) come manovalanza nell’economia criminale.
La rivolta di Ferguson chiama, inoltre, in causa la delusione patita dai tanti neri che nel 2008 e poi nel 2012, modificando anche il loro tradizionale indifferentismo elettorale, hanno votato Obama.(2) La promessa di Obama di introdurre una parziale copertura sanitaria universale (a vantaggio soprattutto delle fasce più povere, i neri fra queste, della popolazione lavoratrice), di elevare il salario minimo, di riconoscere pieni diritti agli immigrati sono rimaste in larga misura sulla carta.(3) È vero che, secondo le statistiche ufficiali, il pil Usa ha ripreso a crescere e il tasso di disoccupazione è diminuito.
Ma quali sono gli ingredienti di questa ripresa? Uno di essi (non l’unico) è sicuramente la riduzione dei salari contrattualizzati, l’aumento dei ritmi lavorativi, la diffusione del lavoro precario e in sub-appalto alle agenzie interinali, l’accresciuta competizione e divisione tra proletari, soprattutto tra bianchi e neri, e tra statunitensi (bianchi e neri) e latinos. È emblematico il caso dell’industria automobilistica e della cura Marchionne alla Chrysler.
Si potrebbe obiettare: se non ci fosse stato Obama alla Casa Bianca, la condizione dei lavoratori degli Usa e dei neri in particolare sarebbe arretrata spaventosamente, almeno adesso le aziende hanno ripreso ad assumere e, pur se con il contagocce, alcuni provvedimenti a favore delle fasce più svantaggiate di lavoratori potrebbero essere approvati. Questo è probabilmente vero. Sono, però, altrettanto vere altre due cruciali considerazioni che ribaltono il senso politico di questi elementi empirici.
1) Le promesse di Obama e le loro infinitesimali realizzazioni sono state concesse dalla classe dirigente Usa dopo le lotte degli immigrati del 2006 e la paura che esse, sotto l’effetto della crisi finanziaria del 2008, potessero contagiare l’intero proletariato Usa, e prima di tutto quello afro-americano, il più scontento dei costi, finanziari ed umani, delle guerre intraprese dai Bush.
Se si vuole che le "protezioni sociali" in discussione trovino anche solo una parziale approvazione, se si vuole spazzar via il fuoco di sbarramento elevato dai grandi poteri finanziari e, grazie anche al supporto di una rilevante base proletaria bianca, dal partito repubblicano, non ci si può limitare, come accaduto negli ultimi anni, alla pressione elettorale sul partito democratico. Gli afro-americani sono chiamati ad avviare e dispiegare un’ondata di lotte che organizzi la rabbia diffusa e la faccia confluire in un fronte unitario con quella degli altri sfruttati degli Usa, a partire dalle decine di milioni di immigrati, soprattutto latinos, già mobilitatisi nel 2006 in risposta a un’oppressione di classe e di nazione ancor più pesante di quella subìta dagli afro-americani (4).
2) Le promesse e le loro limitatissime realizzazioni a favore delle fasce più povere del proletariato Usa e degli immigrati sono lo strumento con cui l’amministrazione Obama ha inteso e sta cercando di recuperare il consenso della massa degli sfruttati degli Usa alla politica estera degli Usa, al programma di rilancio dell’egemonia dell’imperialismo Usa sul pianeta, all’obiettivo di ricacciare indietro i lavoratori dei paesi emergenti sotto la totalitaria spremitura delle multinazionali, al tentativo di funzionalizzare agli interessi della finanza e dell’industria occidentali lo sviluppo capitalistico della Cina, dell’Asia e dei paesi emergenti. La Casa Bianca lascia intendere che anche i lavoratori trarranno vantaggi da questo terroristico piano contro i lavoratori e i popoli del mondo capitalistico emergente.
Il vero interesse dei lavoratori degli Usa è, in realtà, quello di allearsi con i lavoratori asiatici e africani e latinoamericani, che, da parte loro, non hanno alcuna intenzione di farsi ricacciare indietro, nella condizione in cui erano venti anni fa, e che renderanno (giustamente) pan per focaccia, anche con brucianti "incursioni" nella tana del lupo imperialista. È insieme agli sfruttati cinesi e dei paesi del Sud del mondo e non contro di loro che i neri e i proletari degli Usa possono affrontare il destino che riserva loro lo Zio Sam, e di cui è parte integrante l’oppressione razzista verso gli afroamericani, integrata con un altro gradino, inferiore, riservato ai lavoratori immigrati, innanzitutto agli 11 milioni di clandestini (60% messicani), il cui lavoro super-sfruttato è uno dei pilastri del "miracolo" economico di Obama.
Nel 2008 i mezzi di informazione salutarono la vittoria di Obama come la prova della fine dell’oppressione razziale degli afro-americani. Sostennero, rassicuranti, che con Obama iniziava l’era post-razziale, che si chiudeva definitivamente il tempo delle lotte per l’uguaglianza tra bianchi e neri, che gli Usa avevano dimostrato di essere effettivamente la terra delle pari opportunità per tutti, con un nero discendente dagli schiavi asceso fino al "trono" di Washington.
La realtà è ben diversa ed assolutamente coerente con il programma di governo lanciato da Obama. Grazie a questo programma, l’economia Usa ha ripreso a crescere, l’imperialismo Usa ha tamponato il suo declino, ma, contemporaneamente, la polarizzazione della ricchezza tra proletari e medio-alta borghesia entro i confini degli Usa è aumentata, le diseguaglianze tra proletari bianchi e proletari neri sono aumentate, il meccanismo di controllo e repressione sociale degli sfruttati e delle minoranze razziali è diventato più stringente, anche grazie ai ritorni tecnologici e militari delle guerre condotte contro i popoli dell’lraq e dell’Afghanistan.(5)
Nel 2013 il Census Bureau ha annunciato che 46,5 milioni di americani, pari al 15% della popolazione, vivono sotto il livello di povertà. Il tasso di povertà tra i neri è doppio di quello tra i bianchi. Secondo un rapporto della Università di Berkeley in California le differenze di reddito tra ricchi e poveri si sono negli ultimi quattro anni approfondite: l’1% in cima alla scala sociale si è accaparrato il 95% della ricchezza prodotta nei quattro anni considerati; sempre secondo il rapporto della University of California, era dal 1917 –con l’eccezione del 1928– che negli Stati Uniti il divario tra ricchi e poveri non era così ampio. Il tasso ufficiale di disoccupazione tra gli afro-americani è del 16%, tra i bianchi è dell’8%. Il reddito medio federale dei bianchi è di 90 mila dollari, quello degli afroamericani è di 10 mila dollari.
È da questa complessiva situazione che nasce la rabbia dei giovani neri scesi in strada a Ferguson. Rabbia per aver di nuovo constatato l’invisibile e inesorabile meccanismo che rende impossibile costruire un futuro diverso dal circolo vizioso razzista e classista ghetto-droga-sottosalario-carcere e ancora ghetto, di cui i controlli e gli assassinii della polizia, in gran parte bianca, sono una rotellina.
Anche se le discriminazioni giuridiche tra bianchi e neri esistenti fino agli anni sessanta negli Usa sono cadute, è più pressante che mai l’esigenza di lottare contro il razzismo e lo sfruttamento differenziale sui neri d’America che fu alla base delle lotte degli anni sessanta. È più pressante che mai riprendere la battaglia portata avanti negli anni sessanta dall’ala radicale e classista del movimento degli afro-americani, che la borghesia Usa è riuscita provvisoriamente a disarticolare, anche con una spietata repressione. Quest’ala aveva iniziato a collegare gli obiettivi più immediati, come l’organizzazione delle ronde di autodifesa per non essere picchiati o arrestati dalla polizia, a quelli più generali, come la denuncia del carattere classista del razzismo, l’opposizione alla politica estera della Casa Bianca, il collegamento con le battaglie condotte contro la borghesia yankee dagli sfruttati del resto del mondo, che ora, XXI secolo, vivono anche entro i confini degli States con la presenza e le iniziative delle decine di milioni di lavoratori immigrati dall’America Latina e dall’Asia.
Note
(1) I reparti Swat sono la filiazione delle unità speciali formate dallo stato Usa dopola rivolta dei neri di Los Angeles del 1968. Essi furono impiegati innanzitutto contro le organizzazioni militanti del movimento nero, ad esempio le Black Panthers. I reparti Swat sono cresciuti soprattutto dopo il 2001 e oggi sono inclusi nelle forze di polizia della stragrande maggioranza delle città.
(2) Sulla nostra analisi del programma di Obama si vedano gli articoli pubblicati sul
che fare n. 70 gennaio 2009 ("Il sogno americano is over. Nessun Obama potrà resuscitarlo.") e sul n. 71 novembre 2009 ("Le grandi ambizioni del piano Obama").(3) A differenza di quello conquistato dalle lotte proletarie in Italia negli anni sessanta e settanta, fino al 2013 il sistema sanitario Usa non era universale. Continua a non esserlo anche con l’applicazione, dal 2014, della riforma di Obama. Fino al 2013 erano privi di cure sanitarie 45 milioni di persone (15% della popolazione). L’84% della popolazione godeva di una qualche copertura sanitaria grazie a uno dei seguenti canali: la copertura discendeva dal proprio lavoro, da quello del coniuge o da quello di almeno un genitore, ed era legata a un fondo pensione ziendale o settoriale e finanziata in parte dall’azienda e in parte dai contributi del dipendente (60% dei casi); la copertura era garantita da un’assicurazione privata (10% dei casi); la copertura era fornita (30% dei casi) dal programma pubblico Medicare (per le persone con un’età non inferiore a 65 anni) o dal programma pubblico Medicaid (reddito per componente famigliare inferiore a 18 mila dollari l’anno). La riforma di Obama intende allargare (di almeno 10 milioni nel giro di alcuni anni) il numero delle persone coperte dall’assistenza sanitaria. A tal fine introduce le seguenti principali misure:
1) alza il tetto per accedere al Medicaid da 18 a 24 mila dollari ma l’operatività della modifica dipende dalla scelta dei singoli stati (l’ha respinta la gran parte degli stati controllati dai repubblicani);
2) vieta il rifiuto delle assicurazioni di siglare un contratto con un cliente in presenza di malattie suscettibili di diventare croniche;
3) promuove la formazione di "mercati sanitari" regolati nei quali le assicurazioni disposte a parteciparvi offrono polizze agevolate in cambio di sovvenzioni pubbliche.
La riforma di Obama è osteggiata dai repubblicani, dal complesso industrialricani, finanziario delle assicurazioni, degli ospedali privati, delle imprese farmaceutiche ed elettromedicali.Una parte del grande capitale Usa la sostiene, dopo aver contribuito a diluirla, per due motivi: a) essa riduce complessivamente l’enorme quota del reddito nazionale speso nel settore della sanità (a vantaggio delle imprese del settore ma a detrimento della competitività del sistema-paese); b) essa agevola la realizzazione di uno dei principali obiettivi politici della presidenza Obama, quello del compattamento del fronte interno, soprattutto delle frange povere della popolazione, a sostegno del rilancio internazionale dell’egemonia Usa, imprenscindibile da interventi militari nei quali la carne da macello sarà fornita dai proletari, soprattutto neri e immigrati.
(4) Nel 2012 gli Usa contavano 316 milioni di abitanti. Il 60% della popolazione è bianca di origine europea (90% nel 1960), il 20% latino-americana, il 13% afroamericana, il 5% asiatica. Secondo una stima del Dipartimento dell’Educazione statunitense, nel 2020 la percentuale dei bianchi di origine europea dovrebbe scendere al 45% e quella di origine ispanica salire al 30%.
(5) Negli ultimi anni tra il personale delle polizie locali sono aumentati considerevolmente i reduci delle guerre in Kosovo, Iraq e Afghanistan, assunti mediante corsie preferenziali. I metodi di addestramento delle forze di polizia sono stati avvicinati a quelli militari. Si sono moltiplicate le squadre speciali a "gerarchia semplificata" per renderle più autonome e reattive. Il Dipartimento della Difesa gestisce il programma 1033 per il trasferimento alle polizie locali di equipaggiamento e materiale bellico usato durante le "spedizioni umanitarie" Nato-Onu in Africa e Medioriente. Il motto dell’ente governativo (il Leso) costituito durante la presidenza Clinton preposto alla gestione del programma è "da combattenti di guerra a combattenti del crimine". Negli ultimi quattro anni la quantità, il contenuto tecnologico, il valore dei trasferimenti sono aumentati notevolmente. Il valore è arrivato a 450 milioni di dollari nel 2013. I trasferimenti hanno riguardato fucili d’assalto, mezzi blindati, sistemi di comunicazione, di videosorveglianza notturna e, in alcuni casi, perfino di droni e robot per lo sminamento del terreno.
Che fare n.81 dicembre 2014 - aprile 2014
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