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Che fare n.80 maggio 2014 - ottobre 2014

Cento anni fa ebbe inizio la prima guerra mondiale

Cento anni fa ebbe inizio la prima guerra mondiale. I mezzi di informazione ufficiali hanno cominciato il bombardamento: un diluvio di documentari, saggi, mostre fotografiche, antologie di testimonianze si sta riversando sull’opinione pubblica.

Anche noi del che fare vogliamo intervenire su questo anniversario. Siamo convinti che ragionarne aiuti ad illuminare il periodo storico che stiamo vivendo e quello che il sistema capitalistico si prepara ad offrire ai lavoratori e all’umanità.

Cominciamo con un rapido schizzo dei temi che (in collegamento con l’analisi della situazione politica interna e internazionale e con l’iniziativa di propaganda verso i lavoratori sui temi caldi dell’"attualità") intendiamo trattare nei prossimi numeri del giornale.

Nell’estate del 1914 iniziò una nuova fase nella storia della civiltà  borghese e della storia universale umana: l’età della catastrofe e della barbarie. Essa si concluse nell’agosto 1945 a Hiroshima e Nagasaki.

Non che la civiltà borghese, fino allora, fosse vissuta nella pace perpetua. Essa si era fatta le ossa e aveva raggiunto la sua belle époque d’inizio novecento con continue guerre. Tali guerre avevano, però, avuto una funzione storica rivoluzionaria, borghese progressiva. Pensiamo alle guerre napoleoniche o a quelle per il risorgimento tedesco e italiano. Avevano permesso alla nascente borghesia di sbaraccare le forme sociali pre-capitalistiche, l’assolutismo e di spianare la strada al decollo dell’industrialismo capitalistico. Sì, è vero che, per farsi le ossa e raggiungere il proprio apogeo, le borghesie europee avevano condotto anche guerre coloniali di assoggettamento, ma esse erano state combattute al di fuori dell’Europa, avevano riguardato le relazioni dell’Europa con i popoli dell’Asia e dell’Africa, erano rimaste localizzate, erano state relativamente brevi.

Nel 1914 iniziò un nuovo tipo di guerra: la guerra tra le potenze capitalistiche, tra i fari della civiltà, per l’annientamento reciproco, combattuta nel cuore dell’Europa, con la mobilitazione totale della popolazione e dei mezzi tecnologici. Lo scontro durò per trent’anni. La portata dell’apocalisse è attestata da alcuni numeri.

Durante la prima guerra mondiale furono mobilitate 70 milioni di persone, ne morirono 8 milioni e mezzo. La seconda guerra mondiale andò più in là: la carneficina falciò 70 milioni di persone, di cui 20 milioni russe, 19 milioni cinesi, 7.5 milioni tedesche, 6 milioni ebree.

Come mai nell’estate del 1914 si scatenò questo cataclisma? Cosa riservò ai lavoratori dell’Europa e degli altri continenti? Ci fu qualche settore della società che ne trasse giovamento? Cosa ne determinò la conclusione, (per noi solo provvisoria) nel 1945?

Tutto va bene, madama la marchesa.

L’età della catastrofe giunse inaspettata per la gran parte dei contemporanei. All’inizio, per mesi, non fu neanche percepita come tale. Giunse inaspettata per la "gente comune". E giunse inaspettata anche per chi, secondo la retorica ufficiale, guida con cognizione di causa la nave capitalistica: per i dirigenti delle imprese e delle banche, i governanti, i generali e gli studiosi al loro servizio. Un "dettaglio" rivelatore: gli stati maggiori a cui viene di solito attribuita l’origine della prima guerra mondiale non avevano preparato gli arsenali per la guerra totale e di lunga durata che (senza esserne consapevoli) stavano iniziando. Al più avevano allestito piani per operazioni-chirurgiche, per guerre-lampo. Un’analoga inconsapevolezza emerse in occasione degli altri due traumi che segnano l’età della catastrofe 1914-1945: il crollo economico del 1929 e la seconda guerra mondiale.

All’indomani della prima guerra mondiale, i dirigenti degli stati vincitori proclamarono ai quattro venti che i trattati di pace avevano stabilito un ordine internazionale nel quale sarebbero fioriti la prosperità, il benessere e la pace. I ruggenti anni venti sembrarono convalidare questa promessa. Il 4 dicembre 1928 il presidente degli Stati Uniti, il paese entrato al fianco della Gran Bretagna nel ruolo di direttore d’orchestra dell’ordine capitalistico internazionale, inviò al parlamento un messaggio nel quale era scritto: "Mai un Congresso degli Stati Uniti, riunendosi per esaminare lo stato dell’Unione, si è trovato di fronte a una prospettiva più gradita di quella che si presenta nel momento attuale.

All’interno [dei nostri confini] ci sono tranquillità e soddisfazione [...] e le cifre primato degli anni di prosperità.  All’estero c’è pace, la buona volontà che deriva dalla comprensione reciproca.

Questa situazione permette] di considerare il presente con soddisfazione e il futuro con ottimismo". Ebbene, altri dieci mesi e sugli Usa e sul mondo capitalistico avanzato si sarebbe abbattuto il terremoto della catastrofe economica.

La confortante "lungimiranza" dei dirigenti borghesi e dei loro luminari si rinnovò alla vigilia della seconda guerra mondiale. Anche in questa terza vigilia essi sparsero ottimismo raccontarono che la tempesta economica iniziata nel 1929 era in via di superamento e che lo stesso poteva dirsi dei contrasti diplomatici tra le potenze capitalistiche innescatisi sulla scia dei fallimenti delle aziende e della disoccupazione di massa in Europa e negli Usa.

Nel 1938 si tenne a Monaco una conferenza diplomatica internazionale convocata per far fronte a tali contrasti. Il primo ministro britannico Chamberlain celebrò l’accordo siglatovi con le seguenti parole: "Credo sia la pace per il nostro tempo." Altri nove mesi e sarebbe iniziata la carneficina della seconda guerra mondiale.

Che giunse inaspettata anche per colui, Hitler, che secondo gli storici ufficiali aveva pianificato fin dal 1937 la guerra totale per la conquista del mondo. Non finì qui: ancora nel 1940, dopo la conquista della Polonia da parte della Germania nazista, la propaganda ufficiale e i governanti europei prevedevano che in breve tempo si sarebbe giunti ad un accordo diplomatico. Si era invece alla vigilia della propagazione dell’incendio al mondo intero.

L’organica incapacità delle "scienze" sociali borghesi di comprendere il funzionamento della società borghese e di prevederne l’evoluzione storica è confermata dalle spiegazioni che gli studiosi ufficiali hanno elaborato a posteriori per comprendere i tre momenti chiave dell’età della catastrofe.

Un breve accenno, per ora, alla prima guerra mondiale.

Sonnambuli?

Come spiegano gli altoparlanti ufficiali l’origine della prima guerra mondiale? Le interpretazioni spiattellate sono variegate. C’è chi attribuisce la responsabilità ai governanti della Germania guglielmina e alla loro "innata sete di potenza"(1). C’è chi,  documenti alla mano, fa notare che anche i dirigenti della Francia, della Gran Bretagna e della monarchia zarista fecero la loro parte e, sempre documenti alla mano, chiama in causa gli interessi economici e diplomatici inseguiti da tutte le grandi potenze capitalistiche in Alsazia-Lorenza, nei Balcani, nell’Africa settentrionale, in Medioriente, in India, in Estremo Oriente.

Questa ricostruzione potrebbe essere un buon inizio, ma poiché da essa emerge che la miccia della prima guerra mondiale fu accesa da una concatenazione di decisioni individuali e da coincidenze che potevano mancare, ci si ferma ad essa, non si risale a ritroso alle cause agenti al di sotto di quegli appetiti e attraverso quella concatenazione di decisioni. Si approda, così, alla conclusione, più o meno esplicitata, che un’accorta trattativa diplomatica avrebbe potuto circoscrivere ai Balcani la crisi nata nei Balcani nell’estate 1914 e mantenere entro il concerto europeo i contrasti tra le potenze capitalistiche dell’epoca (2).

Gli studiosi di questo orientamento si guardano bene, però, dal precisare come si sarebbe potuto circoscrivere l’incendio ai Balcani. Al più fanno riferimento al ruolo distensivo che avrebbe giocato l’organizzazione di conferenze internazionali di arbitrato per evitare malintesi tra ministri e rischiosi poker geo-strategici. In tal caso, però, non ci si preoccupa di guardare un po’ più lontano nel tempo, fino alla seconda guerra mondiale.

Si registrerebbe, sennò, che negli anni venti e negli anni trenta le conferenze internazionali, Monaco ne fu un esempio, furono organizzate, eccome!, eppure non impedirono la seconda guerra mondiale. (Ne furono, semmai, un anello preparatorio).

I pochissimi storici ufficiali che si sono azzardati ad analizzare le cause della prima guerra mondiale considerando l’intero trentennio 1914-1945, hanno annacquato anche gli elementi analitici empirici portati alla luce dalle ricerche precedenti e sono giunti ad invocare il mistero, l’irrazionalità (3). E pensare che nel settecento, per lottare contro l’assolutismo e per armare teoricamente quella lotta, gli ideologi dell’allora ascendente borghesia si erano battuti contro l’idea che la storia fosse retta da forze ultraterrene e avevano aperto la strada alla piegazione razionale, materialistica della storia!

Il "come" e il "perché"

In realtà ci fu chi previde la prima guerra mondiale e l’intera età della catastrofe. Furono i marxisti rivoluzionari. Questa previsione, che, come vedremo, fu presentata e argomentata in documenti di partito, opuscoli e saggi negli anni 1907-1913, fu conquistata con approssimazioni successive e fu fecondata dalla fusione della battaglia teorica con l’intervento militante sui temi caldi dello scontro politico in corso.

La previsione dei marxisti rivoluzionari non fu un colpo di fortuna. Fu una vera e propria previsione scientifica che fece scaturire lo sviluppo dell’età della catastrofe dalle stesse cause che, in precedenza, avevano portato alla nascita e allo sviluppo della civiltà borghese e che avevano garantito cent’anni di "pace e prosperità".

Certo, i marxisti rivoluzionari non previdero che la guerra mondiale sarebbe sorta dai due colpi di rivoltella sparati dal giovane serbo-bosniaco Gavrilo Princip contro il simbolo di uno degli imperi che opprimevano gli slavi del Sud e che impedivano loro di realizzare il proprio sogno risorgimentale.

Ma non è nel pronostico di questi dettagli che consiste una previsione storica, anche se essa, se ben fondata, giunge sino a formulare i possibili alternativi scenari (con corrispondenti gradi di probabilità) con cui si può concretamente giungere allo sbocco verso cui tende lo sviluppo storico. Affinché possa pervenire a questa previsione, l’analisi storica deve, però, far discendere il ruolo dei probabili cerini dell’incendio bellico dal processo storico che fa accumulare le sostanze infiammabili.

Questo processo storico, a sua volta, è decifrabile se se ne mettono in luce le forze motrici, individuabili se si passa dalla considerazione dei sentimenti e delle azioni dei singoli a quelli delle grandi masse che compongono la società, alle condizioni in cui la società produce e si riproduce.

È vero che, formalmente, le decisioni dei primi ministri e dei generali nascono dal libero convincimento maturato da questi personaggi. Ma questi convincimenti sono legati al groviglio di interessi sociali a cui i primi ministri e i generali devono render conto e che sono chiamati a rappresentare. E questi interessi, agli inizi degli anni dieci del XX secolo, non potevano più essere conciliati nel concerto delle potenze europee per il punto cui era giunto l’antagonismo esistente tra le forze produttive del lavoro e i rapporti sociali capitalisti.

Se la crisi diplomatica tra la Serbia e l’Austria-Ungheria dell’estate 1914 fosse rimasta confinata in una guerra locale o risolta con un accordo diplomatico, la prima guerra mondiale sarebbe stata innescata da uno degli altri cerini in circolazione nella vita internazionale di allora. Sarebbe stata innescata inevitabilmente perché l’ordine capitalistico internazionale a guida britannica non era più in grado di fluidificare l’accumulazione capitalistica internazionale, non permetteva più l’espansione economica della Germania, del Giappone, della Francia e della Russia entro il quadro dei rapporti tra le classi e tra i popoli allora configurato. La guerra totale era l’unica via per trovare una soluzione capitalistica alla crisi in atto.

Aspettarsi che la ricerca storica ufficiale risalga a questa dinamica antagonistica dall’esame empirico, che in parte ha compiuto, dei contrasti di interesse esistenti tra le potenze capitalistiche e tra le classi dei vari paesi del primo novecento, è pretendere l’impossibile da chi considera il sistema capitalistico come un sistema  naturale e vede la sua missione "scientifica" nella propaganda di questa certezza. Non sia mai che nella ricostruzione di un periodo della storia contemporanea si lasci trapelare che la barbarie del 1914-1945 non discende da una difettosa gestione del sistema capitalistico ma dalla natura stesso di questo sistema! Dallo sfruttamento del lavoro salariato, dalla funzionalizzazione delle moderne forze produttive alla valorizzazione del valore!

È da qui, da questo schieramento a priori a difesa dell’ordine sociale borghese, che deriva l’impotenza teorica degli storici ufficiali, la loro incapacità di comprendere il nesso tra la casualità e la necessità storiche, tra le leggi intime che governano il processo storico e la concatenazione casuale delle azioni (apparentemente caotica) attraverso le quali quelle leggi si realizzano. La falsa coscienza che regge le ricerche degli storici borghesi è tale che il loro smarrimento di fronte a questa compenetrazione degli opposti diventa ai loro occhi una prova della tesi da loro assunta sin dall’inizio, non lontana da quella che i loro antenati illuministi tentarono di sgominare: la storia umana è retta dalla contingenza, da forze non comprensibili e, quindi, non controllabili dagli esseri umani.

Guerra inter-imperialistica e rivoluzione sociale

I marxisti rivoluzionari non si limitarono a prevedere la prima guerra mondiale e l’età della catastrofe. Essi previdero anche un altro grandioso avvenimento: che la guerra interimperialista e la catastrofe avrebbero suscitato il movimento rivoluzionariodel proletariato e dei popoli oppressi contro la guerra, contro il militarismo, contro la militarizzazione della vita sociale. Anche questa previsione si avverò.

La barbarie che nei secoli e nei decenni precedenti l’Europa aveva scaricato nelle colonie, imbellettata dalla propaganda razzista, ritornò in Europa e scosse l’ubriacatura socialsciovinista che aveva avvelenato i lavoratori. La ribellione cominciò in Russia. Non contro la previsione del Capitale di Marx, come si legge comunemente nei manuali scolastici, ma in linea con la previsione marxista della rottura della catena imperialista nel suo anello più debole, la Russia zarista, e della propagazione dell’incendio da Mosca e Pietrogrado a tutta la prateria capitalistica verso Occidente e verso Oriente, verso Berlino-Roma-Londra e... verso Baku-Bombay-Shanghai.

I marxisti rivoluzionari non si limitarono solo a pronosticare lo sviluppo di questa grandiosa ribellione sociale. Vi intervennero per far emergere che la realizzazione delle esigenze immediate che l’avevano scatenata (la riduzione almeno a parità di salario dell’orario di lavoro, la pace e la concordia tra i popoli, la riduzione delle spese militari, i pieni diritti sindacali e politici, l’uguaglianza tra i sessi, la liberazione dei popoli oppressi, l’eliminazione delle discriminazioni nazionali) richiedeva nientedimeno che la guerra civile e il terrore rosso contro i capitalisti, i loro governi, le loro milizie repressive, richiedevano lo smantellamento del sistema capitalistico e un partito internazionale che dirigesse questa formidabile lotta di liberazione sociale.

 Nel 1920 si poteva ritenere che la Torneremo a discuterne, perché la comprensione di quell’esito aiuta a comprendere l’attuale depresssione politica del proletariato e perché e come essa sarà terremotata dallo stesso corso del capitalismo che oggi la sorregge. Vedremo che il capitale riuscì a sconfiggere il movimento rivoluzionario proletario del primo dopoguerra perché riuscì a mantenere il dominio sul mondo coloniale, riuscì a tamponare, anche grazie a ciò, la crisi sociale nelle metropoli, riuscì a bloccare la congiunzione delle lotte dei proletari dell’Occidente con quelle dei popoli oppressi dell’Oriente, trovò la forza tecnologica e militare di modificarsi rimanendo se stesso, strutturando, sulle ceneri di cento milioni di morti e grazie alle esigenze dell’economia di guerra, un alveo capitalistico corrispondente al grado di socializzazione raggiunto dalle forze produttive all’inizio del XX secolo.

Dopo 70 anni, quest’alveo, retto dalla finanza di Wall Street e dalle flotte nucleari anglo-britanniche, sta diventando troppo ristretto per la scala raggiunta dalla produzione capitalistica e dalle relazioni capitalistiche nell’ultimo ventennio. È questa la causa remota delle scosse che cominciano a investire l’edificio montagna di sofferenze, di privazioni, di umiliazioni sperimentate nei quattro anni di guerra e la familiarizzazione con le armi a cui i lavoratori erano stati indotti dagli stessi stati maggiori avrebbero spinto una fetta decisiva dei lavoratori a queste conclusioni e a questa determinazione.

Non è stato così. E non è stato così non solo all’indomani del primo dopoguerra, durante l’assalto al cielo del primo dopoguerra, ma non è stato così neanche dopo il grande crollo del 1929 e la nuova terrificante apocalisse della seconda guerra mondiale. Come mai? Come mai l’assalto al cielo del primo dopoguerra fu sconfitto e all’indomani della seconda guerra non ci fu neanche la seconda contro-ondata proletaria? Fu anzi sciolta da Stalin, nel 1943, l’Internazionale che i marxisti rivoluzionari avevano fondato nel marzo 1919 per portare a compimento la rivoluzione comunista?

Più volte sul nostro giornale e nel nostro lavoro di organizzazione siamo intervenuti su questo esito controrivoluzionario, e anche sottolineato che, se esso rimanesse inspiegato, farebbe cadere la dottrina marxista. capitalistico (4) e che, per i comunisti del che fare, condurranno a porre di nuovo davanti al proletariato e all’umanità l’alternativa storica "socialismo o barbarie!". La disputa sull’inevitabilità o meno della prima guerra mondiale non riguarda solo il passato.

Note

(1) Questa fu la tesi sostenuta dalle potenze capitalistiche viincitrici e registrata nell’articolo 231 del trattato di Versailles.

(2) È quello che emerge, ad esempio, in un saggio di grande successo editoriale: C. Clark, I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra, Laterza, Bari, 2013. In un diffuso manuale scolastico per le scuole medie superiori è scritto: "Nell’Europa del 1914 esistevano, è vero, tutte le premesse che rendevano possibile una guerra: rapporti tesi tra le grandi potenze (...), divisione in blocchi contrapposti, corsa agli armamenti, spinte belliciste all’interno dei singoli paesi. Ma queste premesse non avevano come sbocco obbligato un conflitto europeo. Fu l’attentato di Sarajevo a far esplodere le tensioni che altrimenti avrebbero potuto restare latenti. E furono le decisioni prese dai governanti e capi militari a trasformare una crisi locale in un conflitto generale" (A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Profili storici, dal 1900 a oggi, Laterza, Bari, pp. 97- 98 dell’edizione del 1997)

(3) Vedi ad esempio le opere (ben piazzate nella hit parade ufficiale) degli storici britannici John Keegan e Niall Ferguson.

(4) Sulle crescenti tensioni nelle relazioni internazionali e sulle loro cause vedi l’articolo pubblicato sul n. 77 del che fare dal titolo "Asia, crocevia degli antagonismi del capitale mondializzato".

Che fare n.80 maggio 2014 - ottobre 2014

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