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Che fare n.80 maggio 2014 - ottobre 2014

Contro il governo Renzi! Il bonus irpef di 80 euro è un tassello di una politica (interna e internazionale) anti-proletaria dall'a alla z, da denunciare e contrastare senza se e senza ma

I lavoratori non possono difendersi dalla politica europeista diretta dalla Bce mettendosi alla coda, come propone Renzi, dei partiti borghesi flaccidamente europeisti a loro volta accodati all’imperialismo Usa.

Dagli uni e dagli altri ci si può difendere solo con una mobilitazione di classe capace di arginare e ribaltare la concorrenza tra lavoratori di regioni, paesi e continenti diversi che i due schieramenti borghesi europei (in modi diversi) intendono favorire ad unico vantaggio dello sfruttamento capitalistico e del dominio occidentale sul Sud e sull’Est del mondo.

Lo diciamo subito. Noi del che fare siamo contro il governo Renzi, che abbiamo denunciato sin dall’inizio come un governo anti-proletario. Questa posizione non ci ha, tuttavia, impedito e non ci impedisce di toccare con mano che molti lavoratori hanno accolto con favore il governo Renzi. Le fanfaronate di Renzi contro le inefficienze e i privilegi della "classe politica" tradizionale hanno suscitato tra i lavoratori la speranza che il nuovo governo possa fare qualcosa di concreto anche a favore dei lavoratori. L’annuncio del rimborso irpef di 80 euro per i redditi al di sotto dei 1500 euro mensili e la campagna (in alleanza con Hollande, Cameron e Obama) contro i rigidi vincoli di bilancio di Bruxelles hanno consolidato questa speranza.

L’apertura di credito a Renzi è arrivata anche dalla direzione della Fiom nel corso del congresso 2014. È vero che tra i lavoratori sindacalmente impegnati ha suscitato perplessità, allarme o opposizione il "decreto sul lavoro", ma questo decreto è stato ed è considerato come una mela bacata in una politica sostanzialmente accettabile.

La mela, in realtà, esprime il vero contenuto dell’intero cesto. Non lo diciamo solo perché gli 80 euro concessi con la mano sinistra saranno come minimo rimangiati dai tagli alla spesa sociale derivanti dalla spending review che il governo Renzi si appresta a fare con la destra. Lo diciamo soprattutto perché la riduzione dell’irpef fa parte di una politica che nel suo insieme punta a stringere le catene attorno al collo dei lavoratori È su questa tenaglia complessiva che intendiamo soffermarci.

Via il sindacato

Cominciamo dal "decreto lavoro". Renzi si sta rivolgendo ai lavoratori, soprattutto ai più giovani, con una velenosa promessa: "La disoccupazione e la precarietà dipendono dai privilegi dei lavoratori già occupati e dagli ostacoli esistenti al funzionamento del libero mercato." E dove starebbe la rottura di Renzi con la "classe politica" degli ultimi trent’anni? La liberalizzazione del mercato del lavoro non è stato uno dei chiodi fissi di Berlusconi, di Bossi, di Fini, di Monti, di Fornero e ad essa non hanno spianato la strada i governi di centrosinistra di Prodi e D’Alema?

Il rimborso di 80 euro è l’anestesia per far accettare ai lavoratori il programma liberale sostenuto da Renzi e il ruolo da esso riservato ai lavoratori: quello di individui convinti di poter costruire un futuro per sé e la propria famiglia solo a condizione di aiutare la propria azienda a tenere testa alla competizione internazionale. La competitività aziendale richiede di licenziare o di aumentare il numero di operazioni compiute alla postazione di lavoro o la riduzione dei salari? Il lavoratore deve aiutarla, consiglia Renzi. Anche se toccherà a lui finire tra i licenziati? Certamente. Più lascia correre liberamente la giungla capitalistica, più sarà facile per lui ricevere una nuova offerta di lavoro, sempre che lo meriti, sempre che il signor padrone abbia la bontà di offrirgli un pezzo di pane.

Sappiamo bene che questo disastroso vangelo è già profondamente "condiviso", purtroppo, dalla gran parte dei lavoratori, soprattutto dalla nuova generazione proletaria, e che ciò dipende da cause materiali di lungo periodo. Ne abbiamo parlato più volte sul nostro giornale. Renzi vuole consolidare questa sottomissione politica dei lavoratori alle aziende, al mercato, all’ideologia borghese. Egli sente che, dopo i parziali successi conseguiti dai governi (di centro-sinistra e di centro-destra) che lo hanno preceduto, è giunto il momento in cui si può far piazza pulita delle tutele collettive ancora in vigore in materia di contratti e sicurezza sul lavoro senza doversi cimentare, come accaduto ad esempio nel 2001-2002 a Berlusconi, con la mobilitazione del proletariato. Anzi di poterlo fare con il consenso della nuova generazione proletaria. E il "dccreto lavoro" è solo l’antipasto.

Nei cassetti del governo ci sono due progetti, quello per l’introduzione del salario minimo e quello per il contratto a punti, che porterebbero a un sensibile taglio dei salari (perché le imprese avrebbero interesse a uscire dal contratto per applicare al posto degli attuali minimi contrattuali, superiori al salario minimo, il salario minimo) e a maggiori divisioni tra i lavoratori.

Ma l’esca degli 80 euro ha anche un’altra funzione, anch’essa del tutto anti-proletaria. Quella di incoraggiare l’appoggio dei lavoratori alla politica di Renzi verso l’Unione Europa e verso gli Stati Uniti di Obama.

La collocazione internazionale del governo Renzi

Non è un dettaglio il fatto che Renzi abbia fatto le scarpe a Letta sulla base di un accordo con Berlusconi. L’accordo è stato stretto non solo sulle riforme istituzionali ma anche, e soprattutto, sul tentativo di allentare i vincoli di bilancio di Bruxelles, di indebolire l’Unione Europea guidata dalla Germania, di associarsi (insieme alla Francia e in concorrenza con la Francia) alla proposta imperialista portata avanti da tempo da Obama e propagandata da ultimo in occasione del viaggio di Obama in Europa durante la crisi ucraina.

I lavoratori potrebbero vedere nella politica di Renzi verso Bruxelles un altro punto a loro favore. Sia ben chiaro: anche per noi è interesse dei lavoratori denunciare e contrastare le conseguenze della morsa dei vincoli di bilancio di Bruxelles sui lavoratori d’Italia e sulle tutele conquistate in passato e ancora in piedi. I proletari possono, però, costruire questo argine solo con una lotta ampia e ben organizzata, i cui unici alleati sono i lavoratori degli altri paesi europei, europei ed immigrati, compresi i lavoratori della Germania e dell’Europa settentrionale. Mettendosi alla coda della politica di Renzi-Padoan si ara, invece, il terreno per un’altra semina, di cui si può ben intendere la portata se si allarga la visuale all’intero quadro internazionale in cui sono collocate la vicenda italiana e quella europea.

Il riorientamento verso l’europeismo "furbo" della politica italiana è stato incoraggiato ed è sostenuto a spada tratta dagli Usa e dalla finanza anglosassone, tra i maggiori sponsor di Renzi (1). Da anni Obama e i suoi inviati in Europa chiedono l’allentamento dei vincoli di bilancio di Bruxelles e interventi statali a sostegno della domanda interna. Non lo fanno certo perché la borghesia Usa è schierata con i lavoratori della Grecia, della Spagna, dell’Italia e della Francia, tant’è che hanno appoggiato con entusiasmo le contro-riforme sulle pensioni e la deregolamentazione del mercato del lavoro varate in Europa occidentale negli ultimi quattro anni, anche a vantaggio delle multinazionali statunitensi con investimenti in Europa. Obama ha chiesto e sta chiedendo a Bruxelles una politica economica "espansiva", un europeismo attento alle specificità dei singoli paesi (quello invocato da Padoan-Renzi) perché gli Usa non vogliono che l’Europa si consolidi come potenza autonoma capace di contendere il monopolio Usa sul mercato mondiale e perché gli Usa temono che dei veri Stati Uniti d’Europa possano offrire una (involontaria) sponda all’ascesa della Cina. Obama invoca una "santa alleanza" tra le due sponde dell’Atlantico per picconare questa ascesa e riconquistare il pieno controllo della forza lavoro dei paesi emergenti da parte delle multinazionali occidentali.

Cosa guadagnerebbero i lavoratori europei (così come quelli statunitensi) da questa prospettiva? Ci si può, forse, illudere che siamo ancora nell’ottocento e che le potenze occidentali possano spezzare facilmente la resistenza dei popoli dell’Oriente al  loro dominio? Il duo Renzi-Padoan si guarda bene dall’indicare fino in fondo la sostanza del suo programma, delsuo laburismo e di quello di Obama. Un piccolo esempio aiuta a riflettere sulla portata delle scelte in gioco.

Nell’aprile 2014 i lavoratori cinesi della fabbrica Yue Yuen di Dongguan che sforna, anche per conto della Nike e della Adidas, il 20% delle scarpe da ginnastica prodotte nel mondo, sono entrati in sciopero (v. riquadro p. 10) per rivendicare aumenti salariali e l’ampliamento delle protezioni pensionistiche e sanitarie esistenti. Nella lotta dei lavoratori della fabbrica Yue Yuen si è espresso il sentimento e la volontà di riscatto di miliardi di sfruttati e di oppressi del Sud e dell’Est del mondo. Anche se non lo afferma esplicitamente, il programma di Obama richiede che questa istanza sia ricacciata indietro. Quali mezzi dovranno essere usati per "convincerne" i lavoratori cinesi?

I lavoratori d’Europa, invece, hanno interesse a sostenere la lotta dei lavoratori cinesi, a raccogliere la palla da loro lanciata contro la concorrenza internazionale tra i lavoratori dei diversi continenti e a costruire un argine a questa concorrenza (di cui la politica Ue è un’articolazione) mediante un fronte di lotta internazionale che imponga la parificazione verso l’alto delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori dei vari paesi.

Nell’ultimo anno la pressione degli Usa sui governi e sui capitalisti europei è cresciuta. Con la proposta del trattato di libero scambio transatlantico, con l’intervento spacca-tutto in Ucraina, con l’offerta di sostituire le forniture di gas europee attualmente provenienti dalla Russia con le esportazioni di shale gas dagli Usa, con l’accattivante promessa di ridurre, in cambio, la presenza Usa in Africa e Medioriente a vantaggio del rilancio dell’influenza delle potenze europee (2). La politica espansiva consigliata a Bruxelles da Washington e Wall Street servirebbe anche per compattare il fronte interno dei paesi occidentali a sostegno della nuova crociata.

Un po’ come accadde con la politica keynesiana degli anni trenta, a cui non a caso i sostenitori dell’allentamento dei vincoli di Bruxelles si richiamano, che funse da collante per la piena conquista dell’appoggio della classe lavoratrice statunitense all’intervento a fianco della Gran Bretagna nella seconda guerra inter-imperialistica contro le ascendenti potenze capitalistiche del patto di Acciaio (Germania, Giappone, Italia).

Dietro il patto Renzi-Berlusaconi

Sulle orme di Hollande, Renzi si è sintonizzato con questo corso della politica Usa in rappresentanza di un coacervo di interessi borghesi.

Da un lato, ci sono i ceti sfruttatori  e parassiti della piccola-media borghesia i cui profitti e le cui rendite sono legate soprattutto al mercato interno e alla spesa statale, al cemento, alle "mani sulle città", alle corporazioni protette dagli albi professionali, lle concessioni edilizie, agli appalti dei lavori pubblici, politicamente collocati con Berlusconi e in parte con Grillo. Questi settori borghesi sono anti-europeisti o europeisti flaccidi perché la centralizzazione (economica e politica) implicata dal progetto europeista sostenuto dal grande capitale europeo e appoggiato dai governi Monti e Letta è destinata a far dimagrire anche le loro file. Essi vogliono, invece, che i costi della concorrenza internazionale siano interamente scaricati sul proletariato e, ad esempio, considerano insufficienti la deregolamentazione del mercato del lavoro e la liberalizzazione dei servizi pubblici locali progettate da Renzi.

Dall’inizio della crisi finanziaria del 2008 le entrate e le rendite di questo strato sociale borghese sono diminuite, ma esso ha mantenuto un peso sociale relativo e un potere di condizionamento istituzionale giganteschi rispetto a quanto accade nei paesi dell’Europa settentrionale. In un commento sull’andamento dell’economia mondiale del 26 gennaio 2014, il giornalista del Sole24Ore Carlo Barbasin conclude l’articolo con questo commento sull’Italia: "Mentre la Germania [negli ultimi vent’anni] raddoppiava la quota dell’export sul pil, noi abbiamo pensato di difendere le mura, puntando invece sui servizi interni: oltre il 70% del valore aggiunto ma solo il 5% dell’export italiano. La quota di profitti dei servizi professionali è diventata 5-6 volte più alta che in Francia, Benelux o Scandinavia, con margini di oltre il 60%.

L’economia «introversa», isolata dal mondo, è diventata più forte e quindi più influente culturalmente. Non a caso si è stretto un rapporto con la politica locale raramente sano e mai lungimirante." Già negli ultimi mesi del governo Letta, dopo la parentesi Monti, la voce di questi strati borghesi aveva ripreso quota entro la compagine governativa, come aveva mostrato la vicenda dell’Imu. Con il governo Renzi-Berlusconi c’è stato un altro scatto.

Gli interessi capitalistici di questo mondo borghese non coincidono del tutto con quelli delle imprese italiane medio-grandi impegnate soprattutto nell’esportazione verso la Germania e verso i mercati emergenti. Negli ultimi anni queste imprese (anche con l’appoggio dei governi Monti e Letta) hanno compiuto significativi investimenti nel rinnovamento dei processi produttivi. Il loro ruolo è stato decisivo nel ribaltare tra il 2010 e il 2013 la bilancia commerciale italiana da un deficit di 30 miliardi di euro a un attivo di 30 miliardi di euro (Sole- 24Ore del 30 marzo 2014, a firma di Marco Fortis).

I padroni, gli azionisti e le banche creditrici di queste imprese hanno interesse a proseguire sulla stessa via, a centralizzare i capitali liquidi italiani negli investimenti in nuove tecnologie e in moderne reti infrastrutturali piuttosto che disperderli nel foraggiare l’economia "introversa".

Essi avrebbero, inoltre, interesse ad opporsi all’europeismo a geometria variabile di Renzi-Padoan, perché esso mina l’unico modo con cui il capitale italiano può continuare a contare sul mercato mondiale e a partecipare come forza storica autonoma alla spartizione del bottino estorto dal capitale finanziario al lavoro di miliardi di persone in tutto il pianeta: quello di consorziarsi con il grande capitale della Germania e dell’Europa per formare un blocco imperialistico non subordinato agli Usa.

Se questo è vero, come mai allora il duo Renzi-Padoan ha avuto il semaforo verde anche dalla Confindustria e dalla figura istituzionale di riferimento (Napolitano) degli interessi degli grandi capitalisti italiani?

Il possibile doppio calcolo degli oligarchi capitalistici italiani

Ci sembra che i centri nevralgici del capitale italiano abbiano dovuto far di necessità virtù. Si sono resi conto che, incassate le contro-riforme economiche di Monti e di Letta, per andare avanti, occorresse prioritariamente accelerare sul piano delle riforme istituzionali (con cui accentrare la macchina statale, renderla meno dipendente dai ricatti delle camarille di palazzo e più efficientemente ancorata alla tutela degli interessi globali del capitale nostrano) e che, per attuare le riforme istituzionali, non si potesse evitare uno scambio con la destra berlusconiana. Il via libera a Renzi-Berlusconi potrebbe essere stato, quindi, un passo indietro per tentarne di farne due avanti in seguito.

La "mossa" del grande capitale potrebbe, però, esprimere anche qualcosa di più profondo, come sembrano indicare altri "dettagli" relativi al governo Renzi: la nomina di una figura di paglia agli affari esteri al posto di un ministro, Bonino, che aveva iniziato a ritessere la tela delle relazioni di affari e geo-politiche dell’Italia in Libia e con l’Iran; l’appiattimento di Renzi sulla posizione degli Usa nella crisi ucraina in discontinuità con la scelta di Letta di presenziare all’inaugurazione delle olimpiadi di Sochi nel mezzo della crisi ucraina; la collocazione filo-Usa e filo-Israele dei consiglieri di Renzi; la disponibilità della (renziana) direzione dell’Eni a ritirarsi dal progetto South Stream patrocinato da Gazprom a vantaggio di fonti di rifornimento non dipendenti dalla Russia, un po’ come "suggerito" da Obama nel suo viaggio in Europa del marzo 2014 (3); l’asse stretto da Renzi con il presidente francese Hollande fresco dell’entente cordiale con Obama...

Insomma, il patto offerto da Obama agli alleati occidentali e i goal messi a segno negli ultimi due anni (Libia, Siria-Iran, Egitto, Ucraina) dalla controffensiva Usa sembrano tentare anche il grande capitale italiano o settori di esso. A pesare in questo senso sono anche l’americanizzazione di uno dei principali gruppi capitalistici italiani, la Fiat, dopo l’operazione finanziaria da 4.3 miliardi di dollari con cui è stata completata nel dicembre 2013 la fusione con la Chrysler, e la persistente difficoltà delle poche grandi aziende italiane ancora in pista ad uscire dall’area operativa tradizionale (quella euro-atlantica) verso il mercato cinese (come è invece accaduto ai giganti dell’industria tedesca).

Ciò può aver indotto gli oligarchi capitalisti italiani o un settore di essi, in coerenza con la loro tradizionale inclinazione al doppio gioco (4), a prendere in considerazione un calcolo da imperialismo straccione di questo tipo: nell’età di ferro verso cui il mondo si sta dirigendo e di fronte alla quale gli Usa sembrano presentarsi più attrezzati dell’Ue, forse conviene rinunciare a tentare di svolgere un (rischioso) ruolo storico autonomo come borghesia imperialista (attraverso il programma europeista ancorato a Berlino) e accontentarsi di conservare i sicuri vantaggi offerti alle nostre tasche (sulla pelle dei nostri proletari) dalla subordinazione agli Usa...

Sia scattato o meno questo calcolo nella classe dominante italiana o in alcuni settori di essa in contrasto con altri, l’oggettiva oscillazione nella politica europeista portata avanti dal suo attuale governo indebolisce questa stessa politica in un momento delicato. I giochi all’interno della classe dirigente italiana non sono ancora conclusi. L’esito dipenderà in gran parte dall’evoluzione dei rapporti tra le classi e tra gli stati a livello internazionale.

Di sicuro, i lavoratori non hanno interesse ad accodarsi a nessuno dei due partiti borghesi, quello di Renzi-Berlusconi-Padoan e quello di Monti-Letta, e a nessuna delle loro molteplici varianti a destra e a sinistra.

Certamente, le due prospettive non sono identiche e hanno anche implicazioni diverse sullo sviluppo della lotta proletaria in Europa e nel mondo. Tuttavia sia lo schieramento filo-Usa che quello filo-Berlino prosperano sulla divisione e sulla torchiatura dei lavoratori d’Italia. Un esempio: sulla deregolamentazione del mercato del lavoro, i due schieramenti borghesi non sono, forse, completamente d’accordo? non chiedono, anzi, di introdurre il contratto a punti, di eliminare la cassintegrazione in cambio di un sussidio con una copertura dipendente dalla durata del precedente contratto di lavoro? L’uno e l’altro schieramento, poi, puntano, pur se lungo vie diverse, sull’irregimentazione degli sfruttati dietro un programma di contrapposizione e, in futuro, di scontro militare con i proletari del Sud del mondo (5).

La via autonoma dei lavoratori

Si affermi l’uno o l’altro programma borghese di attacco anti-proletario, i lavoratori d’Italia possono tutelare i loro interessi puntando su un cavallo al momento non in campo: quello della loro autonoma organizzazione, della loro lotta in unità con i lavoratori degli altri paesi europei, degli Usa, dei paesi emergenti. Non sarà la conquista di un giorno e neanche realizzabile a freddo, senza aver assaporato le amare conseguenze della catastrofe a cui stanno portando il sistema capitalistico e le politiche borghesi europee e statunitensi. I nodi da affrontare cominciano, però, a emergere nella stessa esperienza dei lavoratori. Fra questi, quello della tessitura di rapporti sindacali almeno continentali.

Nelle rare iniziative sindacali se ne comincia a discutere. Anche nel congresso Fiom del 2014, che pure, come abbiamo ricordato, si è di fatto accodato al governo Renzi, si è parlato dell’esigenza di impostare una contrattazione sindacale a scala europea, di puntare a omogeneizzare verso l’alto i salari e i diritti, di rilanciare la riduzione dell’orario di lavoro come unico argine alla disoccupazione, alla contrapposizione tra occupati e disoccupati, alle conseguenze dell’introduzione di macchine oggi di nuovo in accelerazione.

Per favorire questo percorso, ha senso (eccome!) schierarsi a favore o contro il governo Renzi, al contrario di quello che dice il segreterio della Fiom Landini. È vitale denunciare la prospettiva politica generale portata avanti da Renzi, il senso della sintonia di Renzi con Obama, la natura criminale dell’intervento degli Usa, della Nato, dell’Italia in Ucraina. È vitale affrontare questi temi tra i lavoratori, i precari, i disoccupati, qualunque sia la loro provvisoria collocazione sindacale e "ideale", contrastando le attese dei proletari verso la politica del governo Renzi, battendosi affinché i rapporti tra i sindacati europei non si limitino ai contatti tra i vertici ma vedano momenti veri di incontro e discussione tra i delegati, mettendo in luce quanto questa battaglia immediata richieda la formazione di un’organizzazione politica dei lavoratori e per i lavoratori, ancorata al programma del comunismo internazionalista.

Note

(1) Vedi l’articolo dedicato a queste amicizie (Carrai, Browne, Leeden, Gultgend) dal Sole24Ore del 15 gennaio 2014. Sull’indirizzo politico di Renzi sul cosiddetto conflitto israelo-palestinese vedi l’articolo di Michele Giorgio su il manifesto del 25 febbraio 2014, nel quale si ricorda la critica del 2012 di Renzi a Monti, quando l’allora premier approvò l’ingresso della Palestina nell’Onu come stato osservatore.

Indicativi anche i preparativi della visita di Obama in Italia del marzo 2014. Racconta, ad esempio, Il Sole24Ore del 26 febbraio 2014 che Renzi ha incontrato più volte nei mesi precedenti John Podestà, stretto collaboratore di Obama. Secondo Il Sole24Ore Podestà avrebbe affermato: "Il rapporto tra Germania e Stati Uniti è su uno dei livelli più bassi degli ultimi anni per la divergenza centrale sul fronte del rilancio dell’economia. Renzi da questo punto di vista si trova allineato con la posizione americana e può diventare un riferimento: crescita prima di tutto, con misure accompagnate da riforme strutturali vere, attese da troppo tempo, deregolamentazione, riforme del mercato del lavoro, riduzione della burocrazia. È questa l’unica vera miscela che interessa a Obama. E che interessa i grandi gestori della finanza di New York".

(2) La visita di Hollande negli Usa del febbraio 2014 ha consolidato l’asse stabilito tra gli Usa e la Francia nell’attacco contro la Libia e nella posizione assunta sulla Siria. Hollande ha accettato la richiesta degli Usa di attendere la fine delle sanzioni prima di inviare delegazioni d’affari a Teheran e gli Usa hanno, a loro volta, riconosciuto la legittimità del ruolo di primo piano della Francia nell’area dell’Africa inserita nell’ex-impero coloniale francese. Obama si è, poi, impegnato a far pressione su Berlino affinché accetti di modificare in senso keynesiano la politica economica dell’Ue. I contrasti tra Bush e Chirac e la luna di miele tra Parigi e Berlino dei tempi della guerra all’Iraq sono lontani.

(3) Vedi intervista a Scaroni sul Corriere della Sera del 25 marzo 2014.

(4) Vedi l’articolo "La classe dominante italiana e il suo stato nazionale" pubblicato nel n. 2-1946 di Prometeo, rivista mensile del Partito Comunista Internazionalista.

(5) Sulla promessa rivolta al proletariato dall’europeismo di Merkel-Monti v. l’articolo pubblicato sul n. 78 del che fare.

Che fare n.80 maggio 2014 - ottobre 2014

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