Che fare n.80 maggio 2014 - ottobre 2014
L'equilibrismo diplomatico della classe dirigente del Bangladesh
Il Bangladesh per la sua storia e per la collocazione geografica è stato sempre strettamente legato al "grande vicino" indiano. Sin da prima dell’indipendenza la sua economia era fortemente integrata con quella del Bengala occidentale, mentre, dal punto di vista politico, l’India ha per un lungo periodo rivestito il ruolo di protettore e garante internazionale.
I rapporti con Nuova Delhi (salvo qualche, anche aspra, frizione temporanea) sono sempre stati e restano fondamentali. Anzi, a partire da gennaio del 2012 si sono intensificati colloqui circa la cooperazione in campo energetico e nella gestione delle acque dei grandi fiumi che attraversano entrambi i paesi. Mentre è allo studio la costruzione di una linea ferroviaria che migliori i collegamenti nella regione e il parallelo abbattimento di una serie di tariffe doganali. Contestualmente, però, Dacca ha continuato a sviluppare una politica (avviata all’inizio degli anni ’90) di relativo sganciamento dalla tutela del gigante confinante. Da un punto di vista diplomatico, commerciale e militare, i governi bangladesi giocano da tempo su più tavoli. Favoriti in questo da almeno due fattori che rendono il paese "attraente" tanto per le potenze occidentali, quanto per quelle emergenti: la sua importante posizione geo-strategica e la grandissima abbondanza di manodopera di cui esso dispone.
I rapporti con la Cina sono letteralmente fiorenti. È il principale partner commerciale del Bangladesh e negli ultimi anni ha firmato una serie di accordi per la costruzione di infrastrutture e di fabbriche di fertilizzanti. Sta investendo con forza nello strategico porto di Chittagong ed è il primo fornitore militare del paese (di fatto la marina, l’aeronautica e l’esercito dipendono strettamente dalle forniture cinesi). Inoltre il Bangladesh è legato a Pechino da un trattato di cooperazione difensiva in vigore dal 2002. Nel novembre del 2011 però, Dacca (proprio nell’ottica di mantenere "buoni rapporti con tutti i potenti") ha preferito affidare alla Russia anziché alla Cina la costruzione dell’importante centrale nucleare di Rooppur il cui costo si aggira intorno ai 2 miliardi di dollari.
Improntati alla più "ampia collaborazione" sono anche i rapporti con Washington. Truppe bangladesi hanno affiancato quelle americane durante l’invasione di Haiti e durante l’occupazione dell’Iraq. Inoltre gli Usa, anche per contrastare la crescente influenza cinese, stanno costantemente accentuando la loro "attenzione" verso il paese: da metà degli anni 2000 sono stati sviluppati programmi per esercitazioni e addestramento militare in comune e, inoltre, aziende statunitensi sono in prima linea negli investimenti per la ricerca e l’estrazione di shale-gas (di cui il Bangladesh pare esser potenzialmente ricco) e nelle prospezioni per l’individuazione di giacimenti petroliferi nel Golfo del Bengala.
Dacca sta insomma cercando di barcamenarsi con perizia nel labirinto degli equilibri internazionali puntando a sfruttare le rivalità tra "i grandi" per ricavarne vantaggi ed autonomia. Al di là dei suoi esiti immediati, la politica dei "buoni rapporti con tutti" non potrà andare avanti in eterno e allora sarà anche più facile vedere come pure nel "piccolo" Bangladesh stanno maturando i semi di un devastante confronto tra le maggiori potenze a scala mondiale.
Che fare n.80 maggio 2014 - ottobre 2014
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