E la classe operaia degli USA
sta reimparando a lottare…

Se oggi il proletariato nord-americano è privo perfino di un significativo partito riformista, la ragione non sta di certo in una sua pretesa "naturale" mancanza di coscienza di classe. Il proletariato degli USA ha una sua tradizione rivoluzionaria, sia come parte del popolo americano nella lotta di liberazione contro l'Inghilterra e nella guerra civile antischiavista, sia - e più ancora! - come classe autonoma agente per la propria emancipazione. Le grandi lotte per la giornata lavorativa di 8 ore, con le quali per un periodo gli operai americani si posero all'avanguardia del movimento proletario internazionale; Daniel De Leon ed Eugene Debs, magnifici esempi di disfattismo rivoluzionario; gli "Industrial Workers of the World" ed i John Reed; l'appoggio militante alla rivoluzione d'Ottobre ed alla III Internazionale: come dimenticare tutto ciò? E come dimenticare che durante il decennio della "Grande Depressione", per quanto prive di una direzione di classe, grandi masse di operai e di disoccupati americani ingaggiarono memorabili battaglie difensive?

La causa di fondo della momentanea (per quanto lungo possa essere stato il... momento) nullità politica del proletariato degli USA, quindi, va ricercata altrove. Essa è il prodotto della posizione di dominio di cui gli USA hanno goduto, per decenni, sul mercato mondiale. In un discorso tenuto a Detroit nel settembre del 1971, Nixon poteva vantarsi del fatto che "il lavoratore americano riceve il più alto salario del mondo un salario reale che è circa il doppio di quello del suo concorrente più ricco"; e a questa constatazione aggiungeva: "Noi auspichiamo che continui ad essere sempre così". In questo caso Dicky-il bugiardo non mentiva. Il suo auspicio, però, è stato del tutto smentito dagli avvenimenti.

Il punto di partena e il percorso obbligato

La crisi economica, infatti, ha invertito - quanto e forse più a fondo che negli altri paesi imperialisti - la tendenza al miglioramento delle condizioni di vita della classe operaia, con velocità progressivamente crescente. Tra licenziamenti di massa e tagli al salario che in certi settori (industria del rame) sono arrivati al 40% della paga, tra unilaterali politiche antisindacali e "concession barbaining" (cioè accordi tra padroni e sindacato su ciò che gli operai devono concedere), "sono stati messi in discussione gli stessi capisaldi della politica sindacale e sociale costruita dal New Deal in poi". E se nella seconda metà degli anni '70 c'era ancora un qualcosa di sostanzioso da "scambiare", ossia una certa garanzia del posto di lavoro, negli anni successivi - con il reaganismo imperante e la necessità stringente di recuperare in produttività - la situazione si è fatta ancora più pesante per la classe operaia, anche per quella parte di essa "protetta" dalla sua organizzazione nell'AFL-CIO. E’ in atto un vero balzo all'ingiù e all'indietro della condizione proletaria.

In questa situazione profondamente mutata, "dopo decenni di prosperità imperialista (basata sul supersfruttamento degli operai, dei contadini e delle risorse naturali delle nazioni oppresse, nonché su altri fondamentali fattori economici), una prosperità che è ora alle nostre spalle, la classe operaia degli Stati Uniti sta reimparando a lottare": così scrivono i compagni di Workers' Truth* a commento della lunga ed importante lotta alla Hormel.

"Sta cominciando un cammino di ripresa della lotta di classe". Il punto di partenza della ripresa, date le caratteristiche del periodo che l'ha preceduto, è situato ancora all'interno della lotta aziendale. Bisogna considerare, infatti, che da almeno cinquanta anni non si dà negli USA una effettiva lotta generale, che coinvolga diverse categorie su scala nazionale, occupati e disoccupati insieme, neppure sul terreno delle rivendicazioni immediate. Ma varia il raggio di estensione della lotta aziendale e c'è modo e modo di condurla avanti. Se parliamo di segnali di ripresa è sia per la maggiore estensione di essa, sia perché in svariati casi ci troviamo in presenza di una lotta ancora aziendale, ma condotta sino in fondo. Ed è di sicuro un passo in avanti il passaggio da una lotta le cui decisioni sono totalmente delegate ai vertici sindacali e che programmaticamente si mantiene entro i confini delle compatibilità aziendali, ad una lotta fortemente partecipata e militante, incentrata sulle necessità operaie e decisa a respingere ulteriori concessioni (come nei casi che abbiamo riportato nel riquadro). I passi avanti, poi, sono più di uno quando, come alla Hormel, la lotta operaia riesce a scavalcare l'ostacolo dell'abbandono e dell'aperta sconfessione da parte della direzione nazionale del sindacato e procede a lungo (oltre un anno) organizzata nonostante svariate forme di repressione.

Nella stessa lotta aziendale condotta fino in fondo, la massa operaia si trova di fronte una serie di problemi che vanno molto oltre i confini della singola azienda e riguardano l'intera classe operaia: delegare la lotta o prenderla nelle proprie mani, ovvero dare una delega in bianco o sottoposta a controllo; allargare il fronte di lotta nello stesso trust o settore o zona; ottenere solidarietà e sostegno di altri settori del proletariato e della popolazione; attenersi o meno alla legalità in relazione alle leggi, ai regolamenti, alla polizia, alle ordinanze del giudici sempre più restrittive in tema di picchettaggio; farsi coinvolgere o meno in iniziative politiche (in questa fase i comitati anti-apartheid, pro-Nicaragua o pro-Salvador), che in apparenza, "non hanno nulla a che vedere" con la loro particolare lotta. Ecco, quindi, come anche in esperienze di lotta certamente limitata, la classe operaia degli USA può imparare ed elevare il proprio livello di coscienza e di organizzazione di partenza.

I casi della Hormel, della Chrysler, della US Steel, della ATT e della Weyerhauser ed altri ancora ci mostrano come la classe operaia degli USA sta facendo dei passi in avanti sul terreno della ripresa della lotta. Ovviamente, questo avviene senza che essa abbia abbandonato nessuna delle illusioni nel periodo precedente di prosperità imperialista, con i piedi già dentro una nuova fase e la testa ancora attardata in quella precedente. Ma a queste illusioni viene sempre più a mancare (anche se non mancherà mai del tutto, viste le riserve di cui comunque dispongono gli USA) la base di appoggio, e sezioni sempre più vaste della classe operaia ne faranno esperienza, in larga misura attraverso provvisorie e salutari sconfitte.

La lotta generale

La principale tra le illusioni è di potersi difendere efficacemente dall’attacco capitalistico sotto la guida delle attuali direzioni sindacali e senza mettere in questione la pratica del sindacalismo d'azienda, nonché di poter invertire il corso al peggioramento delle proprie condizioni attraverso le misure proposte dal riformismo borghese. Fatto sta, però, che il procedere della crisi sta restringendo le stesse possibilità di reale riformismo, sia sul piano sindacale che su un piano sociale complessivo. Si pensi al caso della "Saturn", la nuova impresa della General Motors che nella sua "filosofia sociale" riconosce il " fattore umano" come "il fattore più importante dell’organizzazione", per poi riservare ad esso un salario che, per statuto, sarà l'80%o di quello delle aziende concorrenti... Ovvero alla pretesa neutralità dello stato e del governo di Washington nel conflitto tra padroni e operai, che viene ormai sistematicamente smentita dall'intervento dei governatori, dei magistrati, dei corpi di polizia a difesa degli interessi capitalistici (e spesso, come alla Hormel nel Minnesota, il governatore è un democratico, appoggiato dal sindacato ... ).

Segnali di ripresa

1985

Ad Austin (Minnesota), il 17 agosto, inizia lo sciopero di 1.500 operai della Hormel, una importante società alimentare. In precedenza, nel 1978 e nel 1981, la locale sezione P-9 del sindacato UFCW aveva accettato di fare varie concessioni (blocco di una sorta di scala mobile, tagli nell'assistenza sanitaria, clausole anti-sciopero, ecc.), ma davanti alle nuove e più pesanti richieste padronali, che avrebbero comportato un taglio drastico dei salari, proclama la lotta. Lo sciopero si prolunga per oltre un anno, nonostante l'aperta sconfessione della direzione nazionale del sindacato. E’ stata un'esperienza di grande significato, che ha provocato un movimento di solidarietà e di sostegno in molte città degli USA con la partecipazione di migliaia di lavoratori, che ha resistito con grande energia ad ogni forma di repressione, legale" ed illegale, che ha espresso in forme militanti il proprio sostegno alla lotta contro l'apartheid in Sudafrica. Da questa lotta è nato, infine, un nuovo organismo sindacale, il NAMPU, "basato sulla democrazia e l'iniziativa di massa", che esprime un'attitudine combattiva nei confronti dei padroni.

Nella seconda metà di ottobre 80.000 dipendenti della Chrysler degli USA e del Canada scendono in sciopero per una settimana rivendicando il recupero salariale rispetto ai pesantissimi sacrifici sopportati per il "risanamento dell'azienda" e la parità di trattamento con gli operai della Ford e della General Motors. La direzione aziendale cede e versa agli operai un "bonus" di 2.120 dollari. E’ il più grande sciopero avvenuto alla Chrysler dal 1973.

1986

Nei primi 6 mesi dell'anno si contano 50 scioperi che riguardano più di 1.000 operai; nell'intero 1985 ve ne erano stati 54. Siamo ancora ad un livello molto basso di conflittualità, ma è la prima inversione di tendenza dal 1979 nel numero globale degli scioperi (v. Lutte de classe, dicembre 1986, n. 5, p. 42; bisogna considerare che negli USA gli scioperi sono a base aziendale, al più riguardando diverse aziende dello stesso settore, ma quasi mai un settore nel suo complesso). I più significativi tra gli scioperi di questo anno sono avvenuti (lotta alla Hormel a parte):

  • alla A.T.T., con 180.000 lavoratori in lotta per 26 giorni (negli USA gli scioperi sono sempre ad oltranza) ed un risultato contraddittorio: lieve aumento salariale ma al contempo perdita dell'indennità di carovita e di un certo numero di posti di lavoro;
  • alla Weyerhauser, la più grande azienda americana nel campo della produzione del legno, 7.500 scioperano per un mese contro un taglio dei salari pari al 2007o della paga, ma alla fine sono costretti ad accettarlo;
  • alla U.S. Steel, la prima azienda siderurgica degli USA, 21.000 operai - ancora una volta contro il taglio dei salari -paralizzano gli stabilimenti "da oltre un mese, nel più lungo sciopero della storia della siderurgia americana (la Repubblica, 12 dicembre 1986).

La difficoltà crescente a condurre vittoriosamente in porto le vertenze aziendali (l'ultima franca vittoria, Chrysler a parte, risale al 1977, protagonisti i minatori dell'Est - e non fu una pura vertenza aziendale), il trovarsi di fronte una classe capitalistica che marcia contro la classe operaia in ranghi sempre più compatti e giovandosi del sostegno aperto del governo e degli apparati statali, costringeranno il proletariato degli USA a spingersi sul terreno della unificazione delle proprie forze e della lotta generale.

Del resto, la stessa direzione centrale dell'AFL-CIO, il sindacato più "apolitico", più in simbiosi con l'imperialismo e più corrotto di tutto l'Occidente, ha dovuto fare, al tempo della lotta dei controllori di volo (nel settembre del 1981), un passo in questa direzione, convocando a Washington una grande ed inedita manifestazione contro la politica economica e sociale del governo Reagan. Chiaramente si è trattato, data la politica complessiva di questo sindacato, di una iniziativa dimostrativa e di pressione, e non dell'inizio di una effettiva lotta. Ma il fatto è ugualmente indicativo di una oggettiva entrata in crisi del "business unionism", di un sindacalismo che, per principio, "non si occupa di politica", poiché nei fatti un tale "unionism" è un sindacalismo a perdere per la classe operaia. Ed è, allo stesso tempo, una spia dell’entrata in crisi di un principio-cardine del riformismo e del sindacalismo degli USA: "il sistema politico americano è il migliore possibile".

Necessariamente e per non breve periodo all'interno delle coordinate e delle strutture riformiste e perfino meno che riformiste, il proletariato USA sarà risospinto non solo alla lotta aziendale dura - il che già si comincia a vedere - ma alla lotta politica. Anche di quest'ultima tendenza obbligata possiamo, intravedere i primi segnali, oltre che nelle stesse lotte aziendali più radicali, nella crescente critica al reaganismo, nella solidarietà militante dei portuali di San Francisco e di altri settori di classe operaia alla lotta contro l'apartheid in Sudafrica o contro le aggressioni USA al Nicaragua, alla Libia, ecc.

Con la ripresa di iniziativa della classe operaia americana si stanno creando le condizioni - come scrivono i compagni di Workers' Truth - per lo sviluppo di un'aperta lotta dentro ed oltre le attuali strutture sindacali da parte dei lavoratori organizzati in esse, per la riformazione di "unions" combattive e per un più stretto rapporto tra la lotta immediata, la lotta delle masse nere, chicane e delle altre minoranze oppresse e la lotta antigovernativa e antimperialista.

C'è anche un'altra novità: "Le avanguardie della classe operaia cominciano a prendere in considerazione per la loro azione ciò che noi che ci proclamiamo socialisti e comunisti abbiamo da dire". Dopo lunghi decenni di totale separazione tra comunismo e movimento operaio, si vanno formando le condizioni di un nuovo stabile contatto. Di certo risalire sarà arduo. Ma teniamo conto che la storia non è pedante, accompagna le sue rigide leggi con impreviste variazioni sul tema. E chi parte da dietro (non tanto quanto comunemente si creda) può forse godere del vantaggio di essere meno impacciato dai lacci e dai lacciuoli di un riformismo meno sputtanato di quello made in USA...


* Worker's Truth è il bollettino dell'Organization for a Marxist-Leninist Workers' Party, si stampa a Chicago ed è giunto al suo n. 6. Ne raccomandiamo la lettura ai compagni e ci impegnamo, per parte nostra a tradurne gli articoli più importanti.