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Che fare n.79 dicembre 2013 - aprile 2014

Un governo neutrale? Un anno di lavoro del governo Letta

Il governo Letta si è presentato come il  governo che avrebbe dato sollievo alla disoccupazione, alla precarietà e alla perdita del potere di acquisto dei lavoratori attraverso il rilancio della competitività dell’azienda-Italia. Pur dipendente da una maggioranza instabile, il governo Letta non è rimasto con le mani in mano. In questa scheda ne riassumiamo sinteticamente gli interventi in alcuni decisivi campi. Dall’insieme di tali interventi e dai loro effetti sui lavoratori (italiani, immigrati e degli altri paesi) emerge ancora una volta, che il rilancio della competitività dell’Italia e dell’Europa non va affatto a braccetto con la tutela degli interessi proletari e del loro unico strumento difensivo: la lotta e l’organizzazione collettive. A giugno 2013 il consiglio dei ministri approva un disegno di legge che stabilisce una corsia preferenziale per le cosiddette "riforme istituzionali". L’obiettivo è quello di arrivare entro la fine del 2014 a modifi-care materie riguardanti il bicameralismo, la legge elettorale e la forma del potere esecutivo. Pur diverse tra loro, accentrate sul premierato o sul semi-presidenzialismo, le proposte in campo portano verso una macchina statale più accentrata ed efficiente nell’imporre i provvedimenti richiesti dagli interessi capitalistici contro i lavoratori e la salute collettiva.

Per opporsi a questo indirizzo politico, non si può far leva sulla rivendicazione del rispetto della costituzione repubblicana. È questa stessa costituzione che ha benedetto quello sviluppo del capitale nazionale che ora chiede di modificarla e di alternare gli equilibri dei poteri che essa aveva stabilito.

Mercato del lavoro

Con il decreto legge numero 76 (il cosiddetto "decreto lavoro"), entrato in vigore il 26 agosto 2013, il mercato del lavoro è diventato più flessibile. A vantaggio dei lavoratori e dei disoccupati e dei precari? Vediamo.

Contratti a termine. Questo è uno strumento importante per le imprese italiane visto che, nel solo 2012, 7 assunzioni su 10 sono state a tempo determinato. La riforma Fornero (legge 92/2012) aveva innalzato l’intervallo obbligatorio che doveva trascorrere tra un impiego e un altro, portando il periodo di stop a 60 e 90 giorni a seconda se il primo contratto superasse o meno i sei mesi di durata. Da allora, aziende e Confindustria hanno spinto per eliminare questi "paletti".

Il governo Letta ha riportato lo stop ai valori precedenti, 10 e 20 giorni, dando la possibilità, tramite accordi collettivi, di poterli anche azzerare del tutto. Le deroghe potranno, altresì, riguardare i contratti a tempo determinato "senza causale", che potranno così superare il tetto stabilito dei 12 mesi.

Somministrazione a tempo determinato, ex lavoro in affitto o interinale. Nella riforma Fornero era stato stabilito che al primo utilizzo di questa tipologia di contratto, con una durata non superiore ai 12 mesi, non era necessario indicare quali fossero le esigenze di carattere tecnico/organizzativo/produttivo che ne rendevano "valido" l’utilizzo. Nel decreto lavoro approvato dal governo Letta non solo viene riconfermato quanto sopra stabilito ma viene cancellata la norma che vietava la proroga di questo rapporto senza una causale. Questo comporterà, per coloro che verranno assunti con un contratto acausale, la possibilità di veder prorogato il proprio rapporto di lavoro fino a 6 volte e per un massimo di 36 mesi (così come è già stabilito nel contratto nazionale del settore delle "agenzie per il lavoro").

Apprendistato. È stata introdotta una norma che stabilisce che le assunzioni con contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere potranno riguardare tutte le imprese e non solo quelle di piccola e media dimensione.

Lavoro intermittente. Il "decreto lavoro" stabilisce che il lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore, per un periodo che non deve superare complessivamente le 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni. Il tetto delle 400 giornate si applica nei confronti di ogni singolo imprenditore. I settori turismo, pubblici esercizi e spettacolo potranno, comunque, non rispettare il tetto massimo delle 400 giornate stabilite. Collaborazioni. Viene ampliato il ventaglio delle condizioni in cui le imprese possono ricorrere a questo contratto di lavoro. Nel testo è scritto: "Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e (si noti la "e") ripetitivi". Pertanto se l’attività è soltanto esecutiva o soltanto ripetitiva, l’azienda può ora farla rientrare nel rapporto, penalizzante i lavoratori, della "collaborazione". È stato, altresì, precisato che le "collaborazioni" potranno essere applicate nei call center inbound, per le attività di servizi e per quelle di vendita diretta di beni.

Voucher. Quando il lavoro accessorio fu introdotto nella legge Biagi fu classificato come "attività lavorativa di natura meramente occasionale". Nella sua "occasionalità" esso non doveva prevedere compensi superiori a 5 mila euro nel corso di un anno solare e con riferimento a più padroni. Nel decreto lavoro del governo Letta il punto relativo alla "natura meramente occasionale" è stato eliminato. Il lavoro accessorio potrà essere utilizzato con meno vincoli anche nella pubblica amministrazione e, in particolare, nella scuola, nei servizi sociali e nella polizia locale.

Appalti. All’art 9 il "decreto lavoro" stabilisce che – per quanto attiene la responsabilità solidale dell’appaltatore – le disposizioni previste nella legge Biagi "non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni". Questo vuol dire che il committente pubblico non può essere chiamato a rispondere in solido dei debiti dell’appaltatore: se, ad esempio, un lavoratore dipendente da una ditta in appalto non viene correttamente pagato da essa, egli non può agire nei confronti del committente (sia esso comune, provincia, ministero o altro ente pubblico) per recuperare quanto dovuto. Se a questo si aggiunge che nel "decreto del dare" varato dal governo Letta nel giugno 2013 è stato reintrodotto l’obbligo di aggiudicazione in appalto al netto del costo del personale e della sicurezza, il quadro è chiaro: aggiudicare un appalto a una ditta che propone un prezzo più basso significherà probabilmente che ai lavoratori di quella impresa non verranno applicati i contratti collettivi di lavoro e le norme, anche minime, di sicurezza.

Assunzioni di lavoratori dai paesi extra Ue. Questa nuova norma stabilisce che i padroni, prima di presentare la domanda di "nulla osta" per l’assunzione di "cittadini stranieri", dovranno accertarsi dell’indisponibilità di lavoratori italiani, comunitari o "extra-comunitari", già iscritti al centro per l’impiego ad accettare il posto di lavoro che viene proposto.

Accordo sull’Expo 2015 a Milano. Poco prima del "decreto lavoro", viene sottoscritto a Milano un accordo tra la società che gestirà l’Expo e i sindacati Cgil-Cisl-Uil di Milano. Il governo Letta lo presenta come un ottimo modello da estendere a livello nazionale. L’accordo prevede l’assunzione di 800 giovani lavoratori alle seguenti condizioni: 340 assunzioni verranno effettuate con contratti di apprendistato della durata dai 7 ai 12 mesi senza alcun obbligo per le aziende per una successiva trasformazione dei contratti di apprendistato in contratti a tempo indeterminato; 300 giovani saranno assunti con contratti a termine e/o di somministrazione della durata dai 6 ai 12 mesi; altri 195 verranno impiegati con contratto di stage con un rimborso spese di 516 euro e un buon pasto di 5.29 euro. Nello stesso accordo si prevede l’utilizzo di 18.500 volontari che dovranno lavorare gratuitamente per 5 ore al giorno al ritmo di 475 per turno in tutti i sei mesi della durata dell’Expo. Scuola e mercato del lavoro. Nel novembre 2013 viene approvato un programma sperimentale per lo svolgimento, attraverso il contratto di apprendistato, di periodi di formazione e lavoro in azienda dedicato agli studenti che svolgono gli ultimi due anni delle superiori. Il programma prevede anche che atenei e imprese potranno siglare convenzioni ad hoc per fare svolgere agli studenti esperienze di lavoro in azienda sempre tramite il contratto di apprendistato. Grande soddisfazione della Confindustria.

La politica estera del governo Letta

Il governo Letta è stato molto attivo per rilanciare le esportazioni italiane e sostenere l’internazionalizzazione delle imprese. A tale scopo il suo governo ha costituito una "cabina di regia" presieduta da Emma Bonino presso il ministero degli esteri con il nome "Destinazione Italia". Nel settembre 2013 il governo ha varato alcune misure per attrarre investimenti esteri in Italia: riduzione del carico fiscale sul lavoro; facilitazioni per adattare le regole contrattuali (su tariffe orarie, condizioni di lavoro, diritti sindacali) alle specificità dei nuovi investimenti. Sul piano più strettamente militare, nel luglio 2013 il parlamento, raccogliendo l’ordine di Napolitano sull’insindacabilità della decisione presa in precedenza in materia, ha approvato l’acquisto di 90 caccia F 35 per una spesa totale compresa tra i 13 e i 17 miliardi di euro. Anche con il governo Letta, l’Italia ha continuato ad essere in prima linea in Libia. In particolar  nell’addestramento delle forze armate della Libia occupata dalle armate occidentali dopo la distruzione della repubblica di Gheddafi. Il governo Letta ha inoltre partecipato in pieno all’aggressione in corso alla Siria con l’applicazione delle sanzioni Ue, con l’organizzazione di specifiche riunioni a Roma con i gruppi della "opposizione" siriana, con il continuo uso delle basi militari – in primis Sigonella – che stanno sul territorio italiano in appoggio logistico ai gruppi al soldo dell’Occidente.

La "legge di stabilità" 2013

Nell’ottobre 2013 il governo ha varato la legge di bilancio per il triennio 2014-2016. Essa prevede interventi per 26 miliardi di euro. Mentre scriviamo è in discussione in parlamento per l’approvazione definitiva. Pur se i provvedimenti specifici cambiano giorno per giorno, l’indirizzo complessivo della finanziaria è netto. E ben diverso da quello messo in rilievo dalla propaganda ufficiale, per la quale la legge di stabilità 2014-2016 "per la prima volta" da anni restituirebbe qualcosa ai lavoratori, e soprattutto a quelli con redditi più bassi. Il principale intervento in tal senso sarebbe quello relativo al cosiddetto "cuneo fiscale". Questo intervento prevede uno stanziamento di circa 2,7 miliardi i cui benefici si le Federazioni delle Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente accordo" e "in coerenza con le regole definite nella presente intesa, le Organizzazione dovrebbero far sentire soprattutto sui salari compresi tra 15 mila e 18 mila euro (sgravio Irpef pari a circa 225 euro annui) per ridursi al crescere del reddito fino a scomparire per gli stipendi superiori a 32 mila euro. L’altro intervento a favore dei lavoratori sarebbe il varo della S.i.a. (Sostegno inclusione attiva): un aiuto economico fornito alle famiglie dei lavoratori con redditi sotto il livello di povertà fornito in cambio di un cosiddetto "patto con la famiglia povera". Queste somme non vanno però considerate avulse dal resto della manovra e della politica del governo. Vanno confrontate con la valanga di miliardi che incassano i ceti borghesi e le imprese, anche sotto la forma della conferma dell’intangibilità dei 3.3 miliardi di euro versati annualmente dallo stato nelle tasche dei possessori di Bot (al 95% banche, istituiti finanziari italiani ed esteri, imprese e grandi famiglie possidenti). Vanno confrontate con le somme che le altre misure previste dalla finanziaria sfileranno dalle tasche dei lavoratori. Prima di tutto ci sono le addizionali Irpef locali. Poi c’è la continuazione della spending review: nel nome della lotta agli sprechi nella pubblica amministrazione, il governo Letta (che, ovviamente, si è ben guardato di mettere nel mirino i 330 miliardi di euro pagati ai detentori dei titoli di stato!) sta cercando di tagliare strutturalmente la spesa sanitaria e previdenziale. Per arrivare a questo obiettivo, il governo ha costituito una struttura presso il ministero dell’Economia presieduta da Carlo Cottarelli, per 25 anni nella direzione del Fmi. Un articolo del Sole 24 Ore del 31 ottobre 2013 ha fornito significative anticipazioni degli interventi caldeggiati da Cottarelli: "rottamazione" di decine di  "ospedaletti" (questi, nudi e crudi, i termini usati…) con un taglio di 14 mila posti letto; rientro dal loro deficit in 5 anni da parte delle regioni sotto osservazioine con tagli delle prestazioni e incassi dei ticket; "stangata per farmaci e dispositivi medici"; "altro capitolo caldissimo quello del personale dipendente". Come anticipazione, già dal 2013 "il finanziamento al servizio sanitario è stato inferiore a quello dell’anno precedente; non era mai successo nel dopoguerra" (Stefano Cecconi, responsabile delle politiche della salute della Cgil nazionale – da Rassegna sindacale on line del 16 ottobre 2013). Andiamo avanti. La legge di stabilità prevede anche la riduzione della detraibilità delle spese sanitarie. "Le spese sanitarie detraibili nella misura del 19% per la parte che supera l’importo di 129,11 euro potrebbero essere ridotte già con effetto 2013. Il disegno di legge di stabilità per il 2014 prevede infatti che, se entro il 31 gennaio 2014 non saranno adottate i provvedimenti di razionalizzazione già previsti (per quanto riguarda la materia delle "detrazioni fiscali"- n.n.), la detrazione del 19% sarà ridotta al 18% per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013 (insomma già da quest’anno e in corso d’opera ci sarebbe un abbassamento dell’aliquota che si porta in detrazione nella dichiarazione dei redditi - n.n.) e al 17% a decorrere dal periodo di imposta al 31 dicembre 2014" (Il Sole24Ore). Quindi: taglio delle spese sanitarie incentivando il ricorso alle strutture private, taglio della detrazione che permette di recuperare qualcosa della parcella pagata...

E veniamo alla tanto discussa imposta sulla casa. L’Imu è stata eliminata ed è stata introdotta la Iuc (imposta unica comunale), una nuova tassa sui servizi locali che sarà composta da tre parti: 1) la vecchia Imu che, stando a quanto afferma il governo, dovrebbe ora essere pagata o dalle abitazioni di lusso o dalle seconde case; 2) una tassa sui rifiuti; 3) una tassa sui cosiddetti servizi indivisibili come illuminazione pubblica, manutenzione delle strade, eccetera. Dunque (pare) che sulla prima casa non si pagherà più nulla, ma ciò avvantaggia soprattutto i ceti medio-alti dato che (i giornali se ne dimenticano ad arte) i proprietari di "prima casa" a redditi bassi, tramite una serie di complicati meccanismi di detrazioni, già dal 2007 erano di fatto esentati dal pagamento della tassa. Domanda: e questa sarebbe la "finanziaria che per la prima volta restituisce qualcosa" ai lavoratori? Questo bilancio puramente economico va poi inserito in quello politico complessivo che tiene conto degli interventi sul mercato del lavoro, della politica estera, del sostegno alla politica europeista...

Che fare n.79 dicembre 2013 - aprile 2014

    ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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