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Che fare n.78 maggio - ottobre  2013

Governo Letta: quali novità per i lavoratori immigrati?

Al pari di quanto fece Monti, anche il governo Letta tenta di presentarsi ai lavoratori immigrati con un volto accattivante: quello del ministro per l’integrazione Cécile Kyenge. Nel precedente esecutivo il responsabile di questo ministero era Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio. Adesso alla sua testa è “addirittura” una donna africana.

Dopo la sua nomina, Kyenge ha dichiarato di voler arrivare velocemente ad una legge che elimini il reato di clandestinità e conceda la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia (il cosiddetto ius soli). La dichiarazione ha scatenato l’opposizione del partito delle libertà e della destra, per i quali tale iniziativa non farebbe parte del programma del governo di unità nazionale.

Su questo fronte apertamente razzista ha fatto la sua bella figura il neo-presidente del Senato, il pidiessino Grasso, che ai microfoni di Radio Anch’io ha dichiarato: “Starei attento a parlare di ius soli, perché il rischio è di vedere una gran quantità di donne venire in Italia a partorire solo per dare la cittadinanza ai propri figli”. A questa schifosa unità nazionale si è, questa volta, apertamente aggregato il MoVimento Cinque Stelle: sul suo blog Grillo ha “spiegato” che, salvo rare ed “estremamente regolamentate” eccezioni, lo ius soli non esiste in nessun paese europeo: ma come, il MoVimento Cinque Stelle non era quello che si faceva beffe dei vincoli dell’Europa?!

Comunque vada, quella del ministro Kyenge non è una “sparata” estemporanea.

I lavoratori immigrati sono ormai più di 5milioni. Lavorano nella fabbriche, nei cantieri, nell’agricoltura, nei servizi, nelle famiglie e la loro presenza, nonostante la crisi, è fondamentale per mandare avanti l’intera economia e la vita sociale italiane.

Circa un milione e mezzo di immigrati è iscritto ai sindacati e aumenta costantemente il numero dei loro figli nati in Italia.

Di fronte a questa realtà, un settore significativo dei capitalisti e i vertici statali italiani stanno iniziando a comprendere che la politica bossiberlusconiana del “tanto bastone e pochissima carota” rischia di non reggere e di non essere funzionale alle stesse esigenze del capitale nostrano.

Quest’ala della borghesia italiana si sta, così, orientando verso una politica che, proprio per conservare –come scrivevamo nel n. 73 del che fare- un ferreo controllo sulla manodopera immigrata, mira a conquistarne non solo le braccia ma anche un pezzo di cuore. Questa politica vuole che l’immigrato non si senta più solo un ospite temporaneo, (mal)sopportato fino a quando è buono ed utile per sgobbare, ma come un cittadino (ovvio: sempre di serie B, ma pur sempre cittadino) e che in quanto tale senta le sue sorti più legate a quella della nazione “ospitante”. Oggi questo “legame” è finalizzato a fargli accettare spontaneamente di piegarsi ancor di più alle esigenze ed ai voleri delle imprese. Domani a fargli accettare “spontaneamente” di diventare carne da cannone contro i lavoratori di altri paesi per difendere la “nuova patria”, qualora la competizione internazionale dovesse passare dal piano commerciale a quello militare più di quanto non accada già oggi con le guerre alla Libia, al Mali e quella in preparazione alla Siria e all’Iran.

Da tempo l’adozione di una politica di tal stampo viene perorata anche da “personalità” istituzionali quali l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini (organico, fino l’altro ieri, al centrodestra berlusconiano) e il presidente della repubblica Giorgio Napolitano. Essi sottolineano con insistenza essere giunto il momento di prevedere (in varie forme) il diritto di cittadinanza per chi nasce sul suolo italiano a prescindere dalla nazionalità dei genitori.

La nomina di Kyenge al ministero dell’integrazione mostra che i po- teri forti capitalistici italiani fanno sul serio. E che, per rendere la loro politica ancora più appetibile tra gli immigrati, intendono far leva su quel settore di immigrati che “ce l’hanno fatta”, che si sono inseriti nei gangli dell’apparato istituzionale e/o imprenditoriale e che ben si prestano a fare da megafono volontario alle esigenze dell’imperialismo.

Sappiamo bene che una simile politica viene vissuta dai lavoratori immigrati come un miglioramento rispetto a quello che hanno regalato i governi (di centro-destra e centro-sinistra) precedenti e che viene considerata anche come il frutto della mobilitazione messa in campo dagli immigrati stessi negli anni passati. Tuttavia, se i lavoratori immigrati sposassero la politica sull’immigrazione di Napolitano, Fini e del governo Letta, e soprattutto se la sposassero passivamente, gli effetti di essa sarebbero egualmente disastrosi, perché andrebbero a corrodere la capacità presente, e ancor più futura, di organizzazione e lotta dei lavoratori immigrati. Andrebbero cioè a corrodere l’unico elemento su cui ha potuto, può e potrà basarsi la reale difesa dei proletari immigrati e la sacrosanta battaglia per la piena parificazione dei loro diritti a quelli dei lavoratori italiani. Prova ne sia la precisazione del ministro Kyenge, dopo le sue iniziali dichiarazioni e la canea razzista suscitata. Cécile Kyenge ha “ammorbidito” la sua posizione, specificando di essere favorevole a uno ius soli non puro ma “temperato”. Cosa significhi “temperato” non è stato specificato, ma il senso politico dell’aggettivo è chiaro: il diritto andrà condizionato e trasformato in strumento di ricatto e divisione degli immigrati, tra i buoni e i cattivi. Ciò conferma che i lavoratori immigrati possono contare su un solo mezzo per imporre la conquista dei loro pieni diritti: la ripresa del loro percorso di auto-organizzazione contro la canea razzista e contro il governo Letta.

Che fare n.78 maggio - ottobre  2013

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