Che fare n.78 maggio - ottobre 2013
Le multinazionali occidentali e la legge del parlamento cinese sul lavoro del 2006-2007
Come ti libero il lavoratore cinese
Nel marzo 2006 il parlamento cinese comincia a discutere la prima bozza della nuova legge sul lavoro. Essa non riconosce il diritto di sciopero. Abolito nel 1982, tale diritto è, al momento, solo tollerato. La bozza della nuova legge sul lavoro prevede, però, che l’azienda assuma il lavoratore a tempo indeterminato se il lavoratore, pur in assenza di un contratto scritto, può dimostrare di ricevere un salario. La legge prevede anche che la direzione aziendale contratti con la rappresentanza sindacale i licenziamenti di massa (oltre 20 dipendenti), le condizioni di lavoro, la sicurezza sul lavoro.
Nella bozza è, inoltre, previsto l’obbligo per le aziende a trasformare il contratto di lavoro di un interinale in contratto a tempo indeterminato dopo un anno e a sottoscrivere un contratto scritto per i lavoratori part-time. La sottoscrizione del contratto permette ai lavoratori immigrati dalle campagne di usufruire del permesso di residenza temporaneo in città.
La legge, che incontra il favore dei lavoratori, scatena, invece, l’opposizione delle aziende, soprattutto di quelle occidentali e delle loro rappresentanze ufficiali: la Camera di Commercio Usa di Shanghai, il Business Council Usa-Cina e la Camera di Commercio dell’Unione Europea. “Americani ed europei -scrisse Rassegna Sindacale, n. 5 del 2007- hanno unanimamente condannato la legge, minacciando in modo velato la chiusura degli impianti in Cina in caso della sua approvazione.” Ma come, le imprese e le democrazie occidentali non criticavano lo stato cinese per la mancanza di tutele e di diritti per i lavoratori cinesi?
L’opposizione delle aziende occidentali e degli stati occidentali è così forte che la seconda bozza della legge sul lavoro (presentata nel dicembre 2006 e approvata definitivamente nel 2007 per entrare in vigore nel 2008), è purgata dalle norme più rigide per le aziende. Anche la versione approvato è, tuttavia, dura da digerire per esse.
Alle aziende non va giù il fatto che debbano discutere di orari, sicurezza, salute con la rappresentanza sindacale (da eleggere, pur entro le maglie dell’unico sindacato esistente, l’Acftu, variamente intrecciato con le direzioni aziendali), che debbano entro un mese dall’inizio del rapporto di lavoro firmare un contratto scritto e che debbano pagare regolarmente lo straordinario.
I soliti fari della democrazia “lamentano che le nuove regole porteranno a un aumento del 40% del costo del lavoro. [...] Olympus, uno dei maggiori marchi giapponesi della fotografia, ha già dichiarato che aprirà un nuovo stabilimento in Vietnam, dove i costi stanno tornando ad essere competitivi rispetto alla Cina” (Rassegna Sindacale, n.15 2007). Per noi non è solo una coincidenza temporale il fatto che, quasi negli stessi mesi, si apra in Occidente la crisi finanziaria del 2007-2008. La gallina dalle uova d’oro del capitale occidentale, i lavoratori cinesi, aveva cominciato a farsi sentire...
Dal 2008 la nuova legge sul lavoro è stata considerata dai lavoratori come una sponda per continuare la pressione rivendicativa iniziata nel 2003 e per cercare di eleggere rappresentanze sindacali meno integrate alla direzione aziendale di quelle esistenti. Nei prossimi mesi alla Foxconn, il cui stabilimento più grande conta 400 mila dipendenti, è prevista l’elezione di 18mila delegati.
Che fare n.78 maggio - ottobre 2013
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