Che fare n.78 maggio - ottobre 2013
Come la democrazia italiana considera il popolo indiano: il test dell’agro Pontino
Attorno a Latina si estendono 70 mila ettari di terre coltivate a kiwi, zucchine, cocomeri, ortaggi. Riforniscono la capitale e altre città del centro-nord italiano. La principale fonte dei profitti delle aziende arriva dalla manodopera immigrata. Ufficialmente sono circa 7000 persone, in realtà 12000 se si considerano gli immigrati clandestini. Lavorano 12 ore al giorno, ingaggiati per brevi periodi o a giornata, pagati sulla carta 3-4 euro l’ora ma spesso con mesi di ritardo e con decurtazioni arbitrarie sullo stesso salario da fame contrattato. La gran parte provengono dal Punjab, una regione dell’India nord-occidentale.
A denunciarne la condizione sono la Flai-Cgil locale e un sociologo, di nome Marco Omizzolo, attivo nell’associazione “In Migrazione”, che per due mesi ha lavorato come bracciante a fianco dei sikh.
Il 2 settembre 2012 su Corriere Immigrazione Omizzolo ha scritto: “Alcuni di loro [gli agricoltori pontini spesso immigrati dal Veneto negli anni trenta] li senti ancora parlare con accento veneto mentre ordinano ai sikh di lavorare qualche ora in più, o mentre comunicano che la paga arriverà in ritardo per via della crisi. E i ritardi si sommano ai ritardi e alla fine arriva una busta paga dove figurano solo dieci o dodici giorni di lavoro mensili a fronte dei ventisette o ventotto effettivamente lavorati. I salari sono nettamente inferiori rispetto a quelli previsti dai relativi contratti.
Guadagnano due o tre euro l’ora, i più fortunati arrivano a quattro.
Qualcuno è stato pagato anche ottanta centesimi per un’ora di lavoro.
Ma c’è molto di più. È capitato di assistere all’allontamento del bracciante e alla perdita del suo salario mensile solo per aver chiesto al padrone un paio di giorni di riposo per malattia. Alcuni migranti sono stati trovati in catene, altri vengono derubati del misero salario da delinquenti italiani che li attendono di sera sul ciglio delle lunghe migliare pontine. Un lavoratore indiano è stato seguito da un’auto e aggredito senza una ragione apparente mentre un altro, tornando dal lavoro in bicicletta, è stato avvicinato da alcuni balordi in auto che gli hanno gettato addosso una tanica di benzina con l’intento evidente di dargli fuoco”.
Del trattamento riservato dagli “italiani brava gente” ai braccianti sikh si ha un’idea da un altro episodio raccontato nel 2010 da alcuni immigrati all’inviato dell’Unità:“L’ultimo datore è stato l’azienda agricola Feragnoli. Che, dopo averli in parte regolarizzati con contratti, dieci giorni fa li ha mandati a casa senza un perché. «Li hanno rimpiazzati con altri lavoratori indiani» dice Giovanni Gioia segretario Flai di Latina. Senza documenti e, quindi, pagati la metà dei loro predecessori e connazionali. Quanto? Due euro l’ora. «Si arriva al paradosso - spiega Gioia - che chi è in regola viene mandato via perché costa troppo e chi irregolare viene subito impiegato». E sfruttato, ma anche ricattato, alle volte derubato. Capita, infatti, che l’azienda agricola chieda all’immigrato dai tre ai cinquemila euro, pagabili in giornate di lavoro, per affrontare la pratica di regolarizzazione.
E una volta terminata, e saldato il debito, il lavoratore viene licenziato. E subito sostituito” (l’Unità, 11 aprile 2010).
Anche su questo fronte qualcosa comincia a scricchiolare per gli sfruttatori e i razzisti italiani. Nel n. 73 abbiamo raccontato di una manifestazione organizzata a Latina nel 2010 con una folta presenza dei sikh nella stessa piazza in cui i delegati di alcune fabbriche pontine denunciavano il loro licenziamento e la chiusura dell’azienda. Un altro episodio, più recente, lo racconta Omizzolo: “Qualcosa si muove. Non per merito delle istituzioni ma grazie ad una rinnovata consapevolezza che sta facendo breccia nella coscienza di alcuni braccianti sikh. Per la prima volta alcuni di loro si sono ribellati.
Una notizia quasi inaspettata che rilancia la speranza. Dopo vari mesi in cui non ricevevano lo stipendio, grazie all’ausilio fondamentale di Legambiente e della Flai-Cgil di Latina, è iniziata una vertenza che ha visto un piccolo presidio fuori la sede di una delle cooperative agricole pontine protagoniste del sistema criminale di sfruttamento che caratterizza una parte ancora troppo grande della provincia di Latina. Un inizio di lotta per rivendicare diritti, salari, condizioni di vita migliori, che si è concluso con il riconoscimento di tutti gli arretrati, dimostrando ai padroni italiani che esiste un’umanità ancora resistente, che è capace di indignarsi, unirsi, emanciparsi, lottare, pretendere il rispetto dei propri diritti.”
Che fare n.78 maggio - ottobre 2013
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA