Che fare n.77 dicembre 2012 - aprile 2013
No al M.u.o.s.!
Il nuovo sistema d’arma della Nato e gli interessi dell’imperialismo italiano
Il ministro della Difesa, l’ammiraglio Di Paola, traduce il Monti – pensiero in politica militare
Il Muos (Mobile User Objective System) è un nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari progettato dal Dipartimento della Difesa degli Usa. Rappresenta l’evoluzione dell’attuale sistema di comunicazione satellitare Ufo (Uhf-Follow On) della marina militare Usa. Il progetto prevede la costruzione di 4 stazioni radio sulla superficie terrestre e la messa in orbita di satelliti intorno alla Terra, il cui lancio dovrebbe avvenire entro il 2013. Le prime 3 stazioni radio si trovano negli Stati Uniti (Virginia e Isole Hawai) e in Australia.
La quarta stazione dovrebbe essere costruita in Sicilia, presso la base NRTF della marina militare statunitense (Naval Radio Transmitter Facility, attiva già dal 1991 con 41 antenne!), all’interno di una riserva naturale (la sughereta di Contrada Olmo), e a una distanza di 3 Km dal centro abitato di Niscemi (Caltanissetta). Secondo i progetti degli Usa, la stazione radio di Niscemi sarà costituita da due torri radio alte 150 m. e da 3 enormi antenne paraboliche dal diametro di 18 m. l’una, con un raggio d’azione di 130 km.
Dal 2015 il Muos permetterà a tutti i soldati, i carri armati, le navi, le piattaforme, gli aerei, i droni, i veicoli militari Nato in movimento sulla terra, in mare o in aria di comunicare fra di loro in qualsiasi momento, da e verso qualsiasi punto della superficie terrestre, trasmettendo voce, dati, files e video con una velocità 10 volte maggiore di quella attuale. Il Muos collegherà tra loro i centri di comando e controllo delle forze armate statunitensi e Nato, i centri logistici e gli oltre 18.000 terminali militari esistenti, i gruppi operativi in combattimento e gli arsenali sparsi in tutto il pianeta.
Il progetto è stato voluto dall’amministrazione Bush ed è portato avanti da quella Obama. La realizzazione è affidata alla collaborazione tra le più importanti multinazionali belliche Usa: la General Dynamic, la Boeing e al Northrop Grumman. Le stime più attendibili parlano di un costo che varia dai 3 ai 6 miliardi di euro.
Il Muos “appare come un sistema asettico o addirittura come una struttura di ingegneria informatica al servizio delle comunicazioni. Nulla di più falso. Si tratta di un progetto avveniristico e potente che permetterà una quantità e una velocità di informazioni in ambito militare come mai era stato possibile nel passato […] Questo progetto mette in grado la marina Usa di tenere sotto controllo 24 ore su 24 l’intero globo terrestre e di far scattare attacchi militari tempestivi e rapidi […] Quelle comunicazioni satellitari serviranno a far decollare i droni, aerei senza pilota che, armati anche con armamento micro nucleare, avranno la possibilità di colpire con precisione millimetrica. Pertanto nella base di Sigonella, tra quelli già operativi e quelli attesi, vi saranno Global Hawk, i Predator e i Reaper. Insomma, nella piccola cittadina nissena si stanno disegnando i conflitti, le strategie militari e le tecniche di guerra del futuro (Tonio Dell’Olio, “Muos. Le ragioni del no”, agosto 2012). Oltre a ciò, ci sono da segnalare i danni alla salute della popolazione e degli animali della zona generati dalle intense onde elettromagnetiche emesse dal Muos: cefalee, cataratte, leucemie, danni agli uccelli e alle api (Relazione rischi M.U.O.S. del professor massimo Zucchetti e del dott. Massimo Coraddu – Politecnico di Torino – 4 Novembre 2011)
Il via libera all’istallazione del Muos in Sicilia fu dato dal governo Berlusconi e confermato da quello presieduto da Monti. Non si tratta di un “atto di servilismo” verso Washinton e il Pentagono, della rinuncia alla propria sovranità nazionale su un “pezzo della Sicilia”.
L’imperialismo italiano è interessato a contribuire all’ammodernamento del già mostruoso apparato bellico Nato per tutelare i propri scopi di saccheggio neo-coloniale. La politica di rilancio dell’Italia nel panorama internazionale portata avanti da Monti non può prescindere da un adeguato supporto militare e questo, almeno al momento, non può darsi che in un ambito di collaborazione “atlantico ed europeo”. Ce lo spiega il ministro della Difesa, l’ammiraglio Di Paola, in un intervento del 15 febbraio alla IV Commissione del Senato e della Camera: “La situazione complessiva impone l’adozione di un complesso di misure rilevanti ed incisive anche nel settore della Difesa. Questa credo sia la risposta alla domanda “perché ora?”: perché il quadro è cambiato, la situazione economica è cambiata, le prospettive sono cambiate. Il quadro geostrategico, vi è noto, si caratterizza per una elevata fluidità. Ci sono vari fattori che stanno cambiando e stanno cambiando il quadro strategico, il primo dei quali è il mutare degli equilibri per l’emergere di nuovi attori globali come Cina, lndia, Brasile e altri. Il secondo fattore è l’elevata instabilità globale che emerge dai nuovi rischi: la minaccia terroristica, la proliferazione di armi di distruzione di massa e i loro vettori balistici, la libertà di accesso a quelli che comunemente si chiamano i beni comuni, e cioè gli spazi marittimi e aerei e lo spazio cibernetico. Il terzo elemento è rappresentato dalla velocità con cui tutto questo cambia, velocità che nel passato non abbiamo conosciuto e che quindi richiede anche risposte più rapide che in passato. La regione euro-atlantica, nella quale viviamo, è relativamente stabile ma è circondata da una di vasta area di instabilità. È inutile che ve lo stia a ricordare, lo sapete meglio di me: il Nord Africa, l’area Sahariana, il Medio Oriente, l’Asia sono tutte realtà che non possiamo dimenticare. Ricordo anche che le primavere arabe sono nate a 45 minuti di volo da Roma e che quello che gli altri è il Medio Oriente, per noi è, più che il Medio Oriente, il “Vicino Oriente”: Beirut è più vicina a noi di quanto non lo sia il Lussemburgo e Kabul è più vicina a noi di quanto non lo sia Capo Nord. […] Le missioni internazionali, di cui siamo parte [Afghanistan, Libano, Balcani, n.n.] rappresentano un contributo essenziale alla nostra politica estera internazionale. È bene ricordare, infatti, che oggi la difesa dell’Italia e degli italiani si fa non solo e non tanto sulle frontiere – quelle che una volta si chiamavano le “sacre frontiere della Patria” -, quanto piuttosto a distanza là dove le crisi, i rischi, le emergenze e le minacce nascono, si manifestano e si alimentano. […] Lo scenario di riferimento entro il quale pianificare lo sviluppo e l’ammodernamento dello strumento militare è quindi uno scenario condiviso nel contesto europeo e Atlantico”.
Che fare n.77 dicembre 2012 - aprile 2013
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA