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Che fare n.77 dicembre 2012 - aprile 2013

Alla fine del XX secolo, gli Usa e le potenze europee sembrano aver ridotto in catene l'America Latina e di aver vinto la partita.

In Pochissimi anni, invece, l'America Latina è percorsa da un poderoso moto di riscossa proletario e popolare, che, in Brasile, si esprime nell'insediamento del Pt di Lula alla testa del paese.

IL Brasile di Lula e del Pt

Nel 1998 il "populista" Chavez vince le elezioni in Venezuela. Tre anni dopo,nel 2001,scoppia la rivolta proletaria e popolare in Argentina (1) contro le politiche di austerità imposte dalla finanza mondiale da cui prende avvio lo scontro sociale e politico che porta nel 2003 alla prima presidenza dei Kirchner. Intanto in Bolivia cresce la mobilitazione dei minatori, dei contadini e degli indios che porta nel 2006 un altro "populista, l'indio Evo Morales, alla presidenza della repubblica.

È in questo quadro che in Brasile si giunge nel 2002 alla vittoria elettorale, al quarto tentativo, di Lula e del Partito dei Lavoratori (Pt). Come accade negli altri paesi latinoamericani, alla base di questa vittoria vi sono spinte sociali diverse che si intrecciano contraddittoriamente: da un lato, quella delle masse lavoratrici, che ripongono nel "presidente sindacalista" le loro aspettative di migliori condizioni di vita e di lavoro; dall'altro lato, quella della borghesia nazionale, che aspira a svincolarsi dal ruolo di semplice portaborracce assegnatole dalla Casa Bianca e dall'Ue e vede nel programma di governo del Pt ("ripulito dagli eccessi populisti") una, forse la sola, carta da giocare per agganciare l'onda lunga di quello sviluppo industriale e capitalistico che, partito  impetuosamente dalla Cina negli anni '9,sta facendo sentire i suoi effetti a scala planetaria e può fungere da "sponda" per un rilancio "autocentrato" del capitale brasiliano.

Durante il suo primo mandato, il governo Lula tranquillizza la finanza e i mercati internazionali "onorando" il pagamento delle rate del debito, riordina le finanze pubbliche anche attraverso una riforma pensionistica che colpisce duramente i dipendenti pubblici, introduce agevolazioni fiscali per gli investimenti esteri in campo automobilistico. Nello stesso tempo Lula promuove una politica estera attiva. Si impegna per rafforzare l'asse economico e politico dei Brics (2) e consolidare il Mercosur (3). Nel 2002 firma un accordo  di cooperazione militare con la Cina, che coinvolge anche i campi ad alto contenuto tecnologico come quello dell'industria satellitare. Già nel 1999 e nel 2003 due satelliti sino-brasiliani sono lanciati in orbita. Il Brasile di Lula stringe accordi con Pechino anche per costruire le reti infrastrutturali richieste da compiuto sviluppo industriale e commerciale del paese. Intanto, stimolate dalle politiche governative, le maggiori imprese brasiliane, tra cui i pochi gioielli rimasti nelle mani statali, espandono il loro raggio d'azione sui mercati internazionali.

La politica di Lula non porta al netto miglioramento delle condizioni che le masse lavoratrici si aspettavano. La disoccupazione e il lavoro "informale" aumentano (4), il potere di acquisto dei salari diminuisce lievemente. La riforma agraria viene lasciata nel cassetto. Eppure Lula, mentre vede crescere le sue quotazioni sugli ambienti borghesi e finanziari brasiliani, non perde il consenso delle masse popolari e viene rieletto con il loro decisivo concorso el 2006.

La spiegazione di questo apparente paradosso si trova in un'intervista del 2006 di Pedro Stedile, leader del movimento contadino Sem Terra: "Lula all'inizio ha mantenuto le politiche neoliberiste; a noi, quando discutevamo col governo, veniva sempre detto che il loro mantenimento era transitorio, si trattava di evitare il ricatto, il blocco, perché non ci fosse un peggioramento della crisi economica, dato il grado di dipendenza finanziaria in cui il Brasile si trovava. E noi, come movimenti sociali, abbiamo accettato queste argomentazioni sulla transitorietà della politica neoliberista". Adesso, però, bisogna spingere, continua Stedile, affinché nel nuovo mandato "Lula, invece di fare un'alleanza con le forze di destra, con partiti e forze conservatrici, come ha già fatto, faccia un'alleanza prioritaria con settori nazional-sviluppisti e con la sinistra"(5).

Il gigante sudamericano mette il turbo

Durante   il suo secondo mandato, Lula prosegue la rinegoziazione delle relazioni con gli Usa, rafforza la cooperazione tra gli stati latinoamericani (6), cerca di differenziare la provenienza dei moderni sistemi d'arma acquistati (7) e favorisce i rapporti commerciali del Brasile con gli altri "emergenti" a tal punto che, scalzando gli Usa, la Cina diventa il primo mercato di destinazione dei prodotti brasiliani. A questa politica estera sta dando continuità il nuovo presidente del Brasile, l'ex guerrigliera ed ex-ministro Dilma Roussef, con la quale il Pt è uscito vittorioso per la terza volta nelle del 2010. Nel marzo 2012, durante una visita in Germania, La Roussef attacca la politica monetaria tedesca e statunitense, la qualifica come "guerra valutaria" ai danni dei Brics e avverte che "il Brasile non consentirà che i paesi sviluppati cannibalizzino quelli emergenti". Nello stesso mese il generale José de Nardo, parlando ad una platea di ufficiali, afferma che il continente sudamericano possiede in abbondanza idrocarburi, risorse idriche, produzioni alimentari e biodiversità, e che il ruolo del Brasile "consiste nel contribuire al processo di dissuasione contro l'avidità di potenze straniere". Simili dichiarazioni esprimono anche l'intenzione della classe dirigente brasiliana di far assumere al proprio paese il ruolo di leader della rinascita dell'intera America Latina.

A questo ruolo il Brasile ambisce anche e soprattutto in virtù del grande sviluppo economico conosciuto nell'ultimo decennio. Il suo Pil è al sesto posto mondiale (8). È il massimo esportatore mondiale di carne bovina, caffè, banane e succhi d'arance.  È il secondo produttore mondiale di ferro e i suoi giacimenti amazzonici sono, probabilmente, i più estesi al mondo. È tra i primi produttori mondiali di acciaio. Possiede la sesta riserva di uranio e ha due (più due in fase di realizzazione) centrali nucleari. Ha un parco industriale di notevole rilievo, anche nel settore aereo-spaziale e delle telecomunicazioni. È  considerato uno dei leader mondiali nell'esplorazione di petrolio in acque profonde. Il suo ramificato sistema finanziario e bancario è di gran lunga il primo del Sud America.

Il Brasile umiliato e piegato di fine millennio sembra un lontano ricordo.

E i lavoratori del Brasile?

Con il tempo, l'ascesa del capitalismo brasiliano ha avuto ritorni ("in solido") anche per il proletariato.

I salari, dopo la flessione iniziale, sono aumentati. Dal 2004 al2010 i salari reali del settore metalmeccanico sono aumentati del 33%. Oltre 25 milioni di persone sono uscite dalla povertà estrema. Sono stati creati più di 12 milioni di nuovi posti di lavoro "formali" con un recupero occupazionale di oltre un milione di posti nel settore metallurgico. È stato avviato un programma per la costruzione di un milione di case popolari.

Nonostante ciò, la situazione delle masse lavoratrici brasiliane resta pesantissima.

Quaranta milioni di persone sono denutrite, 50 milioni vivono nelle favelas e 40 milioni di proletari sono costretti all'impiego "informale". Anche nell'industria "formale", inoltre, il sistema di "automizzazione e localizzazione" della contrattazione collettiva rende le retribuzioni molto diversificate per aziende e regioni. Si può così passare dai 2500 euro lordi di un metalmeccanico di San Paolo (la zona storicamente più sindacalizzata del paese) ai 500 euro lordi di un operaio della Fiat di Betim e ciò, come ricorda la Cut, rischia di innescare una corsa al ribasso tra i vari stati per attirare gli investimenti sulla pelle dei lavoratori.

Nella campagne la situazione è ancora più drammatica: 30 mila latifondisti possiedono, con 180 milioni di ettari, il 40% della terra; 4 milioni e mezzo di famiglie contadine ne sono totalmente prive: in vaste zone rurali domina il "terrore privato" dei grandi proprietari; nonostante qualche marginale provvedimento, la riforma agraria continua a languire. Questa situazione è stata aggravata dall'accordo che Lula ha firmato con l'amministrazione Bush nel 2007 sulla produzione e la commercializzazione dei bio-carburanti. L'intesa ha garantito al Brasile il consolidamento della leadership mondiale nel settore e agli Usa la costante disponibilità di questa fonte energetica alternativa in una fase in cui l'imperialismo nordamericano ha bisogno di diversificare il suo approvvigionamento.  L'accordo (che si ricollega alla politica dei "due forni" che storicamente ha caratterizzato l'azione dei governi e della borghesia brasiliana verso gli Usa) ha rafforzato la subordinazione dell'agricoltura brasiliana alle multinazionali dell'agro-business, che detengono nel paese ben 30 milioni di ettari di terra. Il sintomo più evidente di ciò è la crescita della monocoltura della soia (in buona parte finalizzata alla produzione del bio-etanolo): oltre ad essere una delle principali cause della deforestazione e dell'avvelenamento del territorio per via dei pesticidi (9), la monocoltura della soia sta favorendo il latifondo "agro-alimentare".

Di fronte a questa contraddittoria situazione, il proletariato e le masse lavoratrici brasiliane continuano a riporre la loro fiducia nel governo del Pt e a vedere nell'avanzata a scala planetaria del "proprio" capitalismo il cavallo su cui puntare per ottenere, in futuro, un proprio avanzamento. Emblematico in tal senso un convegno sindacale organizzato nell'agosto 2011 dalla Cut e dal sindacato metalmeccanico dell'area di San Paolo. I delegati hanno così sintetizzato il loro giudizio sulla politica di Lula: "La grande abilità del governo Lula è stata quella di attrarre investimenti stranieri e la fiducia internazionale al servizio di un progetto di potenziamento della capacità produttiva nazionale e di distribuzione della ricchezza alle fasce popolari e povere, aumentando la capacità di consumo interno, evitando le privatizzazioni delle principali imprese brasiliane (Petrobras, Banco del Brasile, Caxja Economica Federale, ecc.) che hanno rappresentato una importantissima leva di investimenti, occupazione, capacità di credito."

Noi comunisti dell'Oci, che da sempre ci battiamo innanzitutto contro l'accodamento del proletariato occidentale al carro dei "propri" stati e dei "propri" governi imperialisti, guardiamo con entusiasmo alle lotte, recenti e passate, degli sfruttati brasiliani. E comprendiamo come e perché, dopo secoli di oppressione coloniale e imperialista, i lavoratori brasiliani (al pari di quelli cinesi o indiani) siano "naturalmente" indotti a vedere nell'ascesa del proprio paese e nel suo svincolarsi dai lacci occidentali un'opportunità di riscatto anche per se stessi. Nello stesso tempo, diciamo con nettezza che questa strada, lungi dal portare al riscatto dei proletari e degli oppressi, predispone il terreno ad un esito disastroso: l'accodamento del proletariato all'ascendente potenza capitalistica brasiliana lo porterà a diventare "carne da mercato e da cannone" nella competizione internazionale, lo esporrà ai traffici e agli accordi "traditori" che la borghesia brasiliana firmerà per mantenere le posizioni conquistate su un mercato mondiale nel quale la competizione tra paesi imperialisti e Brics e tra gli stessi paesi emergenti tende a diventare più acuta e a trasferirsi al terreno militare. Il comportamento assunto dalla borghesia nazionale nel 1964 non è vago ricordo del passato.

Per quanto possa apparire ed essere impervia, i lavoratori del Brasile hanno interesse a legarsi a un'altra prospettiva.

Gli 8 milioni di operai industriali e i 40 milioni di proletari "informali" del Brasile sono completamente inseriti nel processo di produzione capitalistica globalizzata. Assemblano automobili le cui componenti sono sfornate in altri continenti. Producono materie prime e manufatti che vengono lavorati e "rifiniti" altrove. La loro situazione lavorativa e salariale è sempre più interdipendente con ciò che accade sul mercato mondializzato della manodopera. Le masse lavoratrici delle campagne soffrono per un sistema agro-alimentare controllato dai monopoli internazionali e per l'uso capitalistico dei moderni ritrovati della tecnologia e della scienza. Queste condizioni, che al momento stanno alimentando concorrenza spasmodica tra i lavoratori del Brasile e quelli degli altri paesi e continenti, costituiscono la premessa oggettiva per l'emergere di una posizione che veda nella battaglia (sindacale e politica) per costruire legami politici e organizzativi con i proletari degli altri paesi e continenti la sola strada per un vero riscatto del proletariato e delle masse povere brasiliane.

Condizione fondamentale perché ciò possa darsi è che, in ogni caso, la classe operaia del Brasile punti a ottenere con la lotta la realizzazione del programma in cui, al momento, si riconosce, senza affidarsi passivamente alle iniziative di governo del Pt come, purtroppo, sta accadendo da alcuni anni. È solo nella lotta, infatti, che possono maturare le condizioni indispensabili per rompere con la prospettiva indicata da Lula e dal Pt.

Note

(1) Sull' "argentinazo" si veda il n.57 del "Che fare" (consultabile anche sul sito)

(2) Il Brics è l'acronimo che deriva dalle iniziali dei paesi "emergenti" Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

(3) Del Mercosur (mercato comune del Sud America) fanno parte Brasile, Argentina, Uruguay e Venezuela. Figurano come stati "associati" la Bolivia, il Cile, l'Ecuador, e il Perù. Il Paraguay (che è stato uno dei "soci fondatori") dal 2012 è sospeso dal Mercosur.

(4) Il settore "informale" (o "nero") in Brasile occupa tuttora circa il 40% della manodopera. I salari sono "ovviamente" più bassi e in alcuni casi l'orario lavorativo arriva a toccare le 70 ore settimanali.

(5) Da http://list.peacelink.it/latina/2006/05/msg00065.html

(6) Col trattato di Brasilia del 2008 è stato fondato l'Unasur, l'area di libero scambio latinoamericana. Tra i progetti allo studio dell'Unasur anche quello di dotarsi di una moneta comune da utilizzare nelle transazioni internazionali al posto del dollaro.

(7)  Nel 2009 il Brasile ha firmato un accordo di cooperazione militare con Parigi che prevede la fornitura di elicotteri, caccia di ultima generazione e sottomarini convenzionali e a propulsione nucleare. Il Pentagono e la Casa Bianca hanno ben poco gradito l'accordo.

(8) Il Pil del Brasile costituisce oltre il 33% di quello dell'intera America Latina (oltre il 44% se si esclude il Messico). Anche dal punto di vista demografico, con i suoi 200 milioni di abitanti, il paese ha di gran lunga il primato nel subcontinente.

(9) Il Brasile ha il record mondiale di uso dei pesticidi, il 51% usato proprio per la soia. nelle coltivazioni di soia l'uso dell'erbicida dal 2005 al 2009 è aumentato del 60%. 36 dei 49 pesticidi usati per la soia sono proibiti in Europa.

Che fare n.77 dicembre 2012 - aprile 2013

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