Che fare n.77 dicembre 2012 - aprile 2013
Estrema destra e "teoria della razza"
In Europa le simpatie verso i gruppi le simpatie verso i gruppi dell'estrema destra continuano a crescere, anche in settori proletari. e abbiamo parlato nel numero scorso del nostro giornale, denunciando le stragi compiute dal norvegese Brevik a Stoccolma e dell'italiano Casseri a Firenze e mettendo in luce le forze sociali e politiche che hanno armato la mano dei due assassini.
Con questo nuovo articolo vogliamo dare uno sguardo ai riferimenti ideologici dell'estrema destra, ai "maestri" incensati nei documenti e nei siti internet di quest'area politica. Ci avvarremo di un libro che consigliamo vivamente ai lettori: P. Basso, Razze schiave e razze signore. I vecchi e i nuovi razzismi, Franco Angeli, Milano, 2000,
Il nostro obiettivo, ancora una volta, è quello di denunciare quanto il programma dell'estrema destra sia antagonistico agli interessi dei lavoratori. Di quelli del Sud del mondo. Ma anche di quelli dei lavoratori bianchi europei, verso i quali l'estrema destra si presenta con una promessa dall'apparenza accattivante.
La razza, chiave di lettura della storia
Una delle idee portanti della tradizione culturale cui si richiamano i gruppi dell'estrema destra è quella della razza. Questo pilastro teorico è articolato su tre lati tra loro complementari: 1) la razza è considerata il fattore dominante della storia umana, lo scontro tra le razze come il motore della storia umana; 2) le razze non devono mescolarsi, altrimenti la specie umana, concepita come pluralità di razze e mai come specie unitaria, non può che regredire e finire nella barbarie; 3) la razza bianca è superiore alle altre e ha il diritto-dovere di soggiogarle anche per il loro bene.
Elaborata per secoli dall'inizio dell'età moderna, questa tesi ha trovato una prima compiuta formulazione a metà ottocento in Gobineau nel Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane.
L'autore afferma che la storia della specie umana è stata una storia di razze, anzi di lotta fra le razze. Egli individua tre razze: quella dei bianchi, quella dei gialli e quella dei neri. Inutile dire che i bianchi sono la razza eletta, dotata di bellezza, forza e intelligenza. Quella gialla è caratterizzata da un'innata mediocrità e quella nera è contigua al mondo animale. Il "terrore" che anima Gobineau è quello della mescolanza delle razze, fonte di "perversione" e "indebolimento" della razza eletta. L'individuo ariano che, per Gobineau, ha dato il meglio di sé è il colono americano, diretto discendente degli Angolo-Sassoni: "La nostra civiltà è stata l'unica che ha avuto questo istinto e questa forza omicida: è la sola che senza collera, lavora incessantemente per circondarsi di un orizzonte di tombe. La ragione è che essa non vive che per la sua utilità e che le nuoce tutto ciò che non è al servizio di questa sua esigenza ... Gli Anglo- Americani, rappresentanti convinti e fedeli di questo stile di cultura hanno trattato i neri servi della gleba con estremo rigore e con estremo disprezzo".
Nella seconda metà dell'Ottocento e nei primi decenni del Novecento questi ragionamenti furono costantemente repressi, rimaneggiati e corredati da varie giustificazioni "scientifiche".
Tesi falsa
La visione della storia concentrata sul concetto di razza e sulla gerarchia delle razze è falsa e mistificante.
Primo. Dalla notte dei tempi del distacco del regno animale compiuto in Africa milioni di anni fa fino alla fine del XV secolo d.C. l'umanità non ha conosciuto la gerarchizzazione tra le razze che ha caratterizzato la storia dal 1500 a oggi. Non ha conosciuto neanche la separazione tra le razze favoleggiata dai teorici della destra. Alla vigilia dei viaggi oceanici la vita della specie umana era organizzata in tre grandi raggruppamenti principali, in Europa occidentale, in Medioriente e in Estremo Oriente, comunicanti tra loro, caratterizzati da un livello di sviluppo economico e culturale simile, fecondo di scambi, cooperazioni, incroci. Solo a partire dal XVI secolo i popoli europei conquistarono il mondo, sottomisero gli altri popoli, stabilirono un divario nella potenza economica e militare, legando in questo modo, però, ancora più strettamente le vicende dei vari raggruppamenti umani in un'unica storia universale.
Secondo. Per comprendere le radici di questa svolta nella storia unitaria della specie umana e il senso progressivo di essa, non è alla categoria della razza che ci si può affidare ma ad una visione della storia che parte da ciò che differenzia la specie umana dalle altre specie animali, e cioè dal lavoro, dal comportamento attivo nei confronti del ricambio organico naturale, dalla fabbricazione degli strumenti con cui ci si procura i mezzi di sostentamento. Se si parte da questo presupposto (e da quale altro si potrebbe partire?), ecco che si individua il motore della storia umana non nella razza o nello scontro delle razze, ma nel modo in cui gli esseri umani organizzano la produzione e la riproduzione della loro vita, e nella lotta tra le classi che, dalla rivoluzione neolitica, si stabilisce su questo terreno.
Questa visione del processo storico è un'acquisizione relativamente recente. Un passo verso di essa fu compiuto all'inizio del XIX secolo da alcuni rappresentanti della borghesia in ascesa. Per decifrare il geroglifico dello scontro politico allora in corso e dotarsi di una bussola per la difesa degli interessi borghesi di cui erano alfieri,Thierry, Mignet, Guizot, Thiers sottoposero ad indagine le vicende della rivoluzione francese e della rivoluzione inglese del XVII secolo e si accorsero che la congerie degli accadimenti era, al fondo, la manifestazione e la risultante della lotta tra raggruppamenti della società (le classi sociali) aventi interessi antagonistici radicati nella diversa posizione occupata nei rapporti produttivi e nella divisione del lavoro.
Negli anni quaranta dell'Ottocento Engels e Marx ripresero questa conclusione e la svilupparono. Essi non si limitarono a rilevare che, anche nelle fasi storiche precedenti le rivoluzioni borghesi, la storia umana non è stata storia delle idee o storia dei grandi uomini, ma storia delle lotte di classe. Animati, come militanti del nascente movimento proletario rivoluzionario, dalla volontà di chiarire teoricamente le condizioni per l'emancipazione degli sfruttati, Engels e Marx scoprirono l'elemento dinamico che genera il cambiamento delle condizioni di produzione e riproduzione della vita umana e che anima la lotta tra le classi fino a farla trascrescere in rivoluzioni, le locomotive della storia. Tale elemento dinamico è lo sviluppo delle forze produttive sociali e il suo rapporto contraddittorio con i rapporti sociali di produzione e riproduzione della vita umana. (1)
La concezione materialistica della storia, o meglio, l'applicazione del materialismo dialettico alla storia umana, non solo aiuta a frantumare l'assurdo secondo il quale il motore della storia dell'uomo sia la razza, ma permette anche di illuminare il senso di rottura storica avvenuta alla fine del rinascimento italiano: permette di identificare le cause che hanno portato i popoli europei a dominare il mondo attraverso la direzione di un (progressivo) moto storico colossale alla cui base era lo sviluppo delle forze produttive industriali del lavoro socializzato; permette di prevedere che questo sviluppo storico antagonistico basato sulla gerarchizzazione dei popoli (e delle classi e dei sessi, ci arriveremo) metterà capo ad una nuova rivoluzione (internazionale) nella quale gli sfruttati, i popoli e il sesso oppresso porteranno la società umana verso la realizzazione, di cui nel frattempo si sono costruite le condizioni oggettive, di un'antica aspirazione, quella di vivere in un'unica comunità umana di liberi e uguali, senza divisioni di classe, razze e sesso; permette di comprendere il ruolo giocato in questo sviluppo dai fattori di razza e nazione, dal marxismo tutt'altro che trascurati o considerati insignificanti ma posti nel loro giusto subordinato posto.
Di fronte ai primi passi compiuti dalla classe proletaria nel senso previsto da Engels e da Marx e, tra questi, alla Comune di Parigi del 1871, gli intellettuali borghesi rinnegarono le loro precedenti scoperte storiche e si volsero completamente verso la teoria della razza. E del tutto giustamente identificarono nel marxismo internazionalista, nel suo egualitarismo coerente, il loro nemico numero uno.
La razza come motore della storia: una tesi rivolta anche contro il proletariato bianco!
La visione razziale della storia si presenta in modo suadente verso i lavoratori della razza dominante. Essa è, tuttavia, falsa e criminale anche verso di loro.
La naturalizzazione delle disuguaglianze tra i popoli è, infatti, collegata inestricabilmente alla naturalizzazione delle disuguaglianze tra le classi (e tra i sessi). Lo è storicamente, perché, la colonizzazione fu la causa e l'effetto della nascita e dello sviluppo dell'oppressione del capitale sui lavoratori europei. Lo è ideologicamente, come si può vedere sia nella elaborazione di base di Gobineau sia, meglio, negli sviluppi di questa elaborazione da parte dei successori di Gobineau, tra cui emergono altri due celebri maestri dell'estrema destra, Nietsche ed Evola.
Nietsche è oggi presentato nelle scuole come un pensatore critico della società borghese, come un fautore dello sviluppo umano libero e talvolta avvicinato addirittura a Marx e/o a Freud. Quale sia l'effettiva posizione , razzista e classista, di Nietsche, lo si può vedere nei brani tratti dalle sue opere riportati nel riquadro in fondo a questa pagina. Non è per mezzo di una deformazione interessata, dunque, che le opere di Nietsche divennero un riferimento del nazifascismo e dell'aristocrazia borghese di tutti i paesi europei. Ad esempio dell'italiano Julius Evola, la cui opera testimonia il contributo tutt'altro che trascurabile dato dall'Italia, dalla sua borghesia, dalla sua azione colonizzatrice a suon di eccidi torture e rapine, dalla sua cultura allo sviluppo delle teorie razziste in Europa e nel mondo.
Al centro della riflessione di Evola non sono più le razze di colore e la giustificazione della loro inferiorità. È un tema che egli considera già sistemato, anche dalla prassi del fascismo nei Balcani contro i popoli slavi e in Africa, Etiopia, e Libia. La sua preoccupazione è quella di completare la dottrina razzista verso i popoli del Sud e dell'Est del mondo precisando che la superiorità della razza ariana non implica alcuna uguaglianza al suo interno: "Dal punto di vista nostro ogni interpretazione collettivistica dell'idea razziale va decisamente combattuta. Bisogna saper vedere i limiti oltre i quali l'identificazione di una razza a nazione o popolo, utile come mito nei termini già definiti in precedenza, diviene pericolosa e persino pervertitrice. Ciò avviene quando, di fronte a quella cosa ipotetica che,in tale estensione del concetto, diviene la razza o la comunità nazional-razziale, tutti i suoi rappresentanti sono dichiarati uguali, ogni privilegio scompare, tutto viene riportato in modo mortificante a uno stesso comune denominatore"
Contro i vagheggiamenti populistici delle ali plebee del nazismo e del fascismo, Evola precisa che il privilegio esterno sulle altre razze, per sussistere, deve combinarsi con il privilegio di una super-razza, di una casta di privilegiati, di proprietari, di signori all'interno della razza superiore. A tal fine Evola emancipa il concetto di razza dal contenuto prevalentemente zoologico che esso aveva assunto fino allora. Il dato biologico è condizione necessaria ma non sufficiente per definire l'appartenenza alla super-razza. Esso va accompagnato con un elemento spirituale, che Evola ovviamente non esplicita, avvolge nelle nebbie del misticismo ma che prosaicamente calza a pennello con i caratteri tipici dei capitalisti, dei signori della finanza e dell'industria, dei gerarchi dello stato super-razzista, dei dominatori dell'impero fascista che hanno il diritto-dovere di imporre la loro funzione civilizzatrice, oltre che sulle popolazioni africane e slave, anche sulla massa proletaria italiana. In questo senso la razza pura non è un punto di partenza, è un punto di arrivo. Per "otteerla", bisogna dedicarsi alla formazione di una nuova elite: maschia, fascista, guerresca e dominatrice, l'unica in grado di ricostruire un nuovo impero romano per l'Italia e di usare lo stato quale elemento chiave ed asse portante dello "spirito" della razza superiore.
Evola ha il "merito" di esplicitare un punto fondamentale del razzismo: "Il razzismo è tanto anti-nero o anti-colorato quanto anti-proletario; è la prima cosa in quanto è la seconda; non può essere la seconda senza essere anche la prima" (Razze schiave, razze signore, p.90). E ciò non per una semplice inclinazione ideale dei teorici della razza, ma perché i rapporti sociali che fondano il dominio dei popoli occidentali sul resto del mondo, si basano sullo sfruttamento della massa proletaria della massa proletaria, bianca e coloured. Nella prefazione italiana al testo "Anni decisivi" di Oswald Splengler (altro "guru" dell'estrema destra), Evola scrisse: "Esiste la possibilità di prendere posizione, di reagire, sopratutto di fronte alla minacciosa realtà di due rivoluzioni mondiali: quella sociale interna e quella dei popoli di colore".
La base razzista della democrazia
Oggi il mito della razza e l'ideologia razzista vengono riprese dall'estrema destra come cemento delle società occidentali nella "guerra infinita" che esse hanno intrapreso contro il mondo islamico e il mondo "giallo". Oggi che la gerarchizzazione delle razze e dei popoli scricchiola, che il dominio europeo sul mondo e, con esso, il compromesso sociale europeo sono messi in discussione, l'estrema destra propone ai lavoratori di poter conservare e rilucidare le conquiste del XX secolo se i lavoratori europei sostengono e si fanno essi stessi promotori dell'opera di schiacciamento e di criminalizzazione dei lavoratori immigrati e dei popoli del Sud del mondo.
la lotta contro questo programma non è una lotta culturale, è una lotta contro i rapporti sociali e i rapporti di forza della borghesia che suscitano e rinfocolano questa ideologia tra i lavoratori. Questa lotta richiede anche, però, una prospettiva teorica. Questa prospettiva non può essere trovata nell'egualitarismo formale proclamato dalla democrazia. le basi sociali ed ideologiche della democrazia, infatti, sono le stesse di quelle del nazi-fascismo e della politica razzista.
Una forzatura? Vediamo.
Voltaire era convinto che le africane si accoppiassero con gli scimpanzé dando vita a mostri sterili. Sempre Voltaire (che in perfetta coerenza con il credo borghese investì laute somme nella tratta degli schiavi) notava "che i negri e le negre, trasportati nei paesi più freddi, continuano a produrvi animali della stessa specie" e che "i mulatti sono semplicemente una razza bastarda". Il suo collega britannico David Hume, altro padre del liberalismo europeo, era sicuro che "i negri, e in genere tutte le altre specie di uomini, siano per natura inferiori ai bianchi". Locke, altro maestro del pensiero liberale e un campione della tolleranza, era il sostenitore della non appartenenza al genere umano in virtù del colore della pelle, e, come Voltaire, beneficiario dei proventi della tratta degli schiavi, con i suoi oculati investimenti azionari nella Royal African Company, monopolista del settore. Non è un caso che la Rivoluzione francese, la rivoluzione democratico - borghese per eccellenza, dopo aver proclamato i diritti del cittadino (borghese), reprima con un pugno di ferro la prima rivolta coloniale contro l'uomo bianco: la sollevazione dei neri di Santo Domingo, verso la quale si scagliarono gli eserciti francese, spagnolo, britannico ed infine un contingente bonapartista.
Si può obiettare che gli esempi fin qui esposti sono limitati alla sola Europa. Che se si attraversa l'Atlantico, si approda sulla sponda di un vero paese democratico, gli Stati Uniti d'America. Spostiamoci, allora, sull'altra sponda: la musica è ancora quella! A suonarla è Thomas Jefferson, uno dei padri della democrazia americana (nonché proprietario di schiavi!) "È sicuro che i negri siano inferiori ai bianchi nella costituzione del corpo e nello spirito"; il colore li fa più brutti, la violenza delle loro passioni dà al loro comportamento un che di animalesco; in conseguenza di ciò, è più che giustificata la prospettiva di tenere separata la razza bianca da quella nera, anche nel rapporto con le istituzioni statali. Ecco il Jefferson - pensiero. Gli Stati Uniti sono stati il primo stato razziale moderno, fondato da un lato sullo sterminio dei nativi e dall'altro sulla schiavitù e la segregazione dei neri" (Razze schiave, razze padrone, pag.30).
Il risultato non cambia se passiamo dalle enunciazioni teoriche al piano storico. Quali paesi furono la culla del colonialismo e le massime potenze coloniali? Non furono la Gran Bretagna la Francia e il Belgio? Vogliamo chiedere ai popoli dell'India? Ai popoli del Congo e dell'Africa occidentale?
Altra riprova: la sconfitta del nazi-fascismo ha, forse, portato alla fine del razzismo? Già all'indomani della resa del Terzo Reich, gli stati democratici vincitori, che prima della seconda guerra mondiale erano stati i massimi colonizzatori e i massimi focolai di elaborazione del razzismo e della costruzione dello stato razziale, schiacciarono le lotte antimperialiste in Algeria, in Madagascar, in Indocina, in Indonesia. Promossero e sostennero la costruzione della segregazione razziale stabilita negli Usa dopo l'abolizione della schiavitù ...
Troppo lontano nel tempo? E passiamo all'attualità allora. Cosa ci dicono le guerre "umanitarie" del 1990 - 2011 e il loro corredo di propaganda colonialista? O ancora: riflettiamo sul programma e sulla politica di Monti. Nel libro-manifesto La democrazia in Europa. Guardare lontano, Monti pone al centro della sua azione politica il rilancio della supremazia europea sul mondo, come condizione della salvaguardia degli interessi capitalistici europei, del "benessere" dei popoli europei e dei valori della civiltà europea. È qualcosa di sostanzialmente diverso dalla supremazia mondiale delle razze signore europee propugnata dall'estrema destra? Tra la politica di Monti-Draghi-Merkel e quella dei gruppi dell'estrema destra ci sono, è vero, differenze reali e significative. Ma tali differenze riguardano i modi e i tempi per perseguire un obiettivo che è comune. È contro di esso che, invece, hanno interesse a battersi i lavoratori europei, nella prospettiva di organizzare un fraterno fronte di lotta anti-capitalista e anti-razzista con i lavoratori immigrati in Europa, con i lavoratori del Sud del mondo e con i lavoratori degli Stati Uniti d'America.
(1) Coloro che vogliono comprendere a fondo la teoria del materialismo storico faranno tesoro del consiglio rivolto da Engels a un militante socialista della fine del XIX secolo: "Vorrei del resto pregarla di studiare questa teoria sulle fonti originali e non di seconda mano, è veramente molto più semplice. Non c'è praticamente nulla di ciò che ha scritto Marx in cui essa non si faccia sentire, ma in particolare Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte è un esempio davvero eccellente della sua applicazione. Anche nel Capitale ci sono molte indicazioni. E posso poi rimandarla anche ai miei scritti La scienza sovvertita dal signor E. Duhring e L. Fuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, in cui ho offerto la più dettagliata esposizione del materialismo storico che a quanto ne so esista" (Lettera a Bloch del 21 settembre 1890). Si veda anche la raccolta Lettere di Engels sul materialismo storico (1889-1895) delle edizioni Iskra, Firenze, 1982.
Nietzche, a nome delle "razze signore" contro la "razza del lavoro coatto"
Dagli anni sessanta, dalla rivisitazione compiuta dai filosofi "alternativi" Deleuze e Foucault, Nietzsche è spesso considerato nella sinistra come un critico e un dissacratore della società borghese. Nelle scuole superiori Nietzsche viene oggi presentato in questa veste affascinante a alcuni insegnanti giungono ad accostarlo a Marx e a Freud.
Nietzsche è, invece, un organico ideologo del razzismo e del social-darwiismo imperialista. Egli si ricollega alla elaborazione razzista portata avanti dalla borghesia nel corso del XVIII e del XIX secolo e la integra sul decisivo versante classista. Le razze, per il filosofo tedesco, non sono semplicemente quelle "classiche", dei bianchi, gialli e neri, ma sono intese come aggregati sociali con stesso colore di pelle e diverso rango. Tali aggregati si riducono in fondo a due soltanto: la razza dei signori e la razza degli schiavi. Eccone l'identità sociale.
Subito dopo la sconfitta della Comune ad opera dell'alleanza tra la borghesia tedesca e quella francese e la strage di 25 mila comunardi, Nietzsche scrive al suo amico barone von Gersdorff: "Di nuovo ci è consentito sperare" [...] Al di là della lotta delle nazioni , ci ha atterriti quella internazionale testa di Idra che è apparsa all'improvviso, così terribile, annunciatrice di future lotte del tutto diverse" (Riprendiamo questo e altri brani di Nietzsche dal libro di G. Lukacs "La distruzione della ragione", Einaudi, Torino, 1959). Passa qualche anno e, esaltando la schiavitù greca, Nietzsche scrive: "Nell'età moderna, a determinare le idee generali non è l'uomo che sente il bisogno di arte, ma lo schiavo. Fantasmi come la dignità dell'uomo, la dignità del lavoro, sono i meschini prodotti della schiavitù che si nasconde a se stessa, Età infelice quella in cui lo schiavo ha bisogno di tali concetti e viene spinto a meditare su se stesso, ad innalzarsi al di là di se stesso! Infelici corruttori che hanno distrutto le condizioni di innocenza dello schiavo con il frutto dell'albero della conoscenza!" Proseguiamo: "Una civiltà superiore può sorgere soltanto dove esistano due caste distinte della società: quella dei lavoratori e quella degli oziosi, abilitati ad un vero ozio: o con espressione più forte: la casta del lavoro coatto e la casta del lavoro libero".
Ancora non troppo chiaro? Passiamo allora al Crepuscolo degli dei: "Io non vedo che cosa si voglia fare con l'operaio europeo,. Egli sta troppo bene per non pretendere ora un poco alla volta di più , per non pretendere con sempre maggiore esagerazione: alla fine ha il numero dalla sua. È completamente finita la speranza che si costituisca qui una specie di uomo modesto e facilmente contentabile di sé, una schiavitù nel senso più blando del termine, in breve, una classe, qualcosa che abbia immutabilità. Si è reso l'operaio militarmente abile, gli si è dato il diritto di voto, il diritto di associazione: si è fatto di tutto per corrompere quegli istinti sui quali si poteva fondare una cineseria operaia, così che l'operaio già oggi sente e fa sentire la sua esistenza come uno stato di bisogno (in termini morali come un'ingiustizia) [...] Ma cosa vogliamo? Se si vuole uno scopo, è necessario volere i mezzi: se vogliamo schiavi ... e occorrono! non bisogna educarli da signori".
Per questo, il filosofo tedesco, vede con il fumo negli occhi il cristianesimo egualitario delle origini, attacca Rousseau (contrapposto al buon Voltaire) e sopratutto si scaglia contro il socialismo. Nell' Anticristo scrive: "Chi odio più di tutti fra la plebaglia di oggi? La plebaglia socialista, gli apostoli dei paria, che seppelliscono l'istinto, la gioia, il senso di sobrietà dell'operaio - che lo rendono invidioso, gli insegnano la vendetta ... L'ingiustizia non consiste mai nella disuguaglianza dei diritti, ma nel pretendere diritti uguali". Nel mettere in discussione la (per Nietzsche ammirevole) giungla capitalistica: "La vita è essenzialmente appropriazione , offesa, sopraffazione e nei confronti dell'estraneo e del più debole, oppressione, rigore, imposizione delle proprie forme, assimilazione e almeno, nel caso migliore, sfruttamento ... Lo sfruttamento è proprio non già di una società corrotta o imperfetta o primitiva, ma appartiene all'essenza del vivente come funzione organica fondamentale: è una conseguenza della vera e propria volontà di potenza, che è la volontà stessa della vita" ( Al di là del bene e del male ).
Da qui si comprende il senso dell'attacco di Nietzsche verso la democrazia e i governi borghesia del suo tempo. La loro colpa è quella di essere riluttanti a usare i mezzi necessari per ristabilire il dominio dei super-uomini borghesi sulla massa grigia dei proletari e per curarne gli interessi sulla scena mondiale con una coerente politica militaristica. In Ecce Homo Nietzsche scrive: "La conservazione dello stato militare è il mezzo estremo per accogliere e mantenere la grande tradizione in vistadel pù alto tipo di umanità, il tipo forte".
Ovviamente, se i rapporti sociali con la "razza schiava" europea devono essere regolati con "violenza sistematica", a maggior ragione tale violenza deve essere esercitata nei confronti della razza degli schiavi extra-europei: la necessità di mantenere "la signoria sui barbari" esige la liquidazione della consueta "sdolcinatezza europea" e l'uso della "barbarie dei mezzi" dei conquistatori impiegata "in Congo o dove che sia"
Che fare n.77 dicembre 2012 - aprile 2013
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA