Che fare n.77 dicembre 2012 - aprile 2013
Brasile
Le classi sociali e la loro lotta dal periodo coloniale alla fine del XX secolo
Il Brasile è uno dei paesi capitalistici emergenti. ha 200 milioni di abitanti. La sua superficie supera quella degli Usa. Le sue terre, il suo patrimonio forestale, il suo sottosuolo, le sue risorse idriche sono tra le più ricche del pianeta, In questo contesto si sta sviluppando un moderno apparato industriale e agro-alimentare.
L'ascesa, politica ed economica, del Brasile è parte integrante dell'erosione dell'assetto delle relazioni internazionali che trova il suo perno nella Cina e nel Brics, di cui il Brasile è membro. L'impatto di tale ascesa si fa sentire sopratutto in America Latina, da qualche anno non più il tradizionale controllato "cortile di casa" dell'imperialismo statunitense.
Per inquadrare questi avvenimenti e i loro sviluppi futuri sul piano dello scontro di classe, locale e internazionale, occorre partire da lontano. Dalla conquista coloniale portoghese all'inizio del XVI secolo.
Il colonialismo portoghese e lo schiavismo
In pochi decenni il Portogallo stabilisce il suo controllo su un'ampia porzione di territorio nell'odierno nord-est e vi istalla le piantagioni della canna da zucchero, che cresce vigorosamente grazie al clima ottimale e all'eccezionale fertilità del suolo dei vastissimi altopiani. Le piantagioni sono nelle mani di un pugno di coloni. la manodopera impiegata è inizialmente composta per il 90% delle popolazioni native ridotte in schiavitù. L'ampliamento di piantagioni di canna da zucchero, lo sviluppo successivo di quelle di caffè e del cotone, la scoperta nel 1964 di ricchi giacimenti auriferi e diamantiferi nella zona centro-occidentale dell'attuale Brasile, la conseguente accresciuta domanda di schiavi, la cronica insubordinazione degli schiavi nativi spinge i coloni e la corona portoghese a far ricorso agli schiavi africani, per la cui cattura il Portogallo conquista stabilmente la riserva di caccia dell'Angola. Si stima che tra la fine del Seicento e la fine dell'Ottocento, quando viene formalmente abolita la schiavitù siano deportati in Brasile dieci milioni di schiavi africani.
La colonizzazione del Brasile è uno dei volani dello sviluppo del commercio internazionale e del decollo dell'incipiente rivoluzione industriale in Europa: una quota consistente della ricchezza estratta dalle miniere e dalle piantagioni brasiliane affluisce in Portogallo e, da qui, in Gran Bretagna, che rifornisce la corona e l'aristocrazia portoghesi con tessuti e manufatti.
Ed è la Gran Bretagna, verso la fine del Settecento, a prendere in mano il controllo dell'economia della colonia portoghese. A proteggerne l'indipendenza dalla madrepatria nel 1822. A imporvi trattati di libero commercio. A promuovervi investimenti in infrastrutture e fabbriche: per trasportare le materie prime più rapidamente e più efficientemente sulle coste e sui mercati internazionali, società inglesi investono nella costruzione di porti, ferrovie, moderni magazzini di stoccaggio ed altre infrastrutture. Questi investimenti e l'avvio delle corrispondenti attività creano il contesto per la nascita di una moderna industria manifatturiera locale nella zona di San Paolo, nella quale vengono reinvestiti i profitti dei borghesi brasiliani legati alla pimpante coltivazione del caffè. La manodopera impiegata in questi nuovi settori industriali è composta soprattutto da salariati, spesso immigrati dall'Europa mediterranea. In tali impianti il lavoro schiavistico risulta poco efficiente e, soprattutto, di difficile gestione per la crescente ribellione degli schiavi.
Gli schiavi non avevano mai accettato passivamente la loro prigionia e la loro torchiatura. (1) Già nel XVIII secolo gli schiavi erano riusciti a compiere fughe di massa dalle piantagioni e organizzare i "quilombo", territori autonomi nei quali gli ex- schiavi si costituivano in comunità dedite alla caccia, alla pesca e all'agricoltura, e capaci di difendersi militarmente dalle rappresaglie dei coloni. (2) Nel XIX l'insubordinazione degli schiavi si approfondisce, si amplia e, nel 1888, costringe il re Pedro II, pur in presenza dell'opposizione degli agrari, a dichiarare abolita la schiavitù.
All'inizio del XX secolo la realtà del Brasile, che nel 1889 diventa repubblica per intervento dei vertici militari (3), è quella di un paese semicoloniale alle dipendenze della metropoli britannica. Se si eccettua l'area di San Paolo, gli investimenti indigeni nell'industria sono scarsi. Nelle campagne il 90% dei contadini è privo di terra e dominano l'analfabetismo e al sotto-nutrizione. La vita del paese ruota attorno alle monocolture (caffè, caucciù, zucchero) e alla vendita dei relativi prodotti sul mercato internazionale (90% delle esportazioni), ed è dominata dai grandi proprietari terrieri, dai grandi commercianti, dalle società britanniche e dal pulviscolo di professionisti ed intermediari che prolifera per la gestione spicciola degli affari dei poteri dominanti.
Le lotte operaie e il "tenentismo"
Negli anni venti del XX secolo la stanca vita politica brasiliana è scossa da un terremoto che nel giro di pochi anni porta alla testa del paese un nuovo indirizzo politico, quello nazionalista-populista di Getulio Vargas. Alla base di questa svolta vi sono mutamenti intervenuti all'interno del paese e nella scena internazionale.
A cavallo della I guerra mondiale giungono in Brasile dall'Europa tre milioni di immigrati (per lo più lavoratori specializzati, artigiani e contadini). Negli stessi anni l'industria locale cresce grazie all'interruzione delle esportazioni dalle potenze capitalistiche occidentali impegnate sui fronti bellici e grazie anche alle forniture di manufatti ai paesi belligeranti. Ciò consolida la presenza di un moderno proletariato industriale e gli dà la forza per far sentire la sua voce nelle zone in cui è collocato: San Paolo e Rio de Janeiro.
Protagonisti delle lotte proletarie sono spesso gli sfruttati neri e mulatti da tempo non più schiavi. Tali lotte rivendicano la limitazione dell'orario, aumenti salariali e tutele in favore delle donne e dei fanciulli. Nel 1917 c'è un primo, discretamente riuscito, sciopero generale. Nel 1922 un piccolo nucleo di operai ed intellettuali fonda il partito comunista. La repressione statale è feroce, ma non impedisce lo sviluppo delle lotte, la crescita di una vita politica organizzata (nella quale hanno un ruolo di primo piano anche le correnti anarco-sindacaliste importate dagli immigrati italiani e spagnoli) e piccoli ma significativi miglioramenti normativi.
Nello stesso tempo tra i quadri medio-bassi dell'esercito, i cosiddetti tenenti, si fa strada una corrente politica che vuole farla finita con l'alleanza dei vertici militari con i latifondisti, i grandi commercianti e gli imperialisti. Il loro obiettivo è quello di mettere le briglie al latifondo, di proteggere la nuova pianticella dello sviluppo industriale autoctono e di coniugarlo, per quanto possibile, con il miglioramento delle condizioni delle masse popolari.
Nel corso degli anni il "tenentismo" (che tenta due prove di forza nel 1922 e nel 1924) raccoglie il sostegno di larghi strati della popolazione lavoratrice e di elementi della borghesia liberale. Si forma un fronte sociale e politico nazional-popolare fautore della modernizzazione del paese svincolata dalla morsa dei proprietari terrieri e dell'imperialismo. A dare ali a questo blocco sociale e politico è la crisi internazionale del 1929, che si abbatte come un tornado sull'economia brasiliana per la dipendenza dal corso internazionale dei prodotti delle monocolture.
È nel clima arroventato creato da questa situazione che si svolgono le elezioni presidenziali del 1930. Il candidato dei latifondisti ha la meglio sul liberale Getulio Vargas che gode dell'appoggio dei ceti borghesi urbani le simpatie popolari. Appena noti i risultati delle urne, in tutto il paese scoppiano sommosse popolari appoggiate dai "tenenti rivoluzionari". Il movimento è così esteso da "consigliare" gli stati maggiori delle tre armi a schierarsi con Vargas, nominato nel novembre 1930 capo del governo provvisorio.
Il gelutismo
L'onda lunga di Vargas si protrae, con alterne vicende, fino al 1954, quando si suicida lasciando una lettera di accusa contro le intimidazioni degli Usa e degli alleati sociali e militari brasiliani di Washington. La sua politica si caratterizza per la promozione del capitale nazionale, il co-interessamento degli strati popolari a tale sviluppo, la contemporanea repressione delle spinte all'organizzazione e alla lotta indipendenti dei lavoratori industriali, le cui aspettative devono rimanere incapsulate entro le istituzioni corporative e la prospettive dell'Estato Novo.
Appena entrato in carica, nel 1930, Vargas vara una serie di misure protezionistiche a favore dell'industria nazionale e incoraggia una politica industriale di "sostituzione delle importazioni". Nel 1934 concede il voto alle donne (voto che rimane negato agli analfabeti, i 2/3 della popolazione) e vara la prima legislazione sul lavoro. Nel 1938 sono aboliti i partiti, limitati i diritti sindacali e varate importanti iniziative sanitarie e scolastiche. Negli anni successivi si accentua la diretta iniziativa statale in campo industriale con la fondazione dell'industria petrolifera di stato (la futura Petrobras) e dell'industria siderurgica di stato.
La politica di "rafforzamento nazionale" di Vargas e gli incontestabili risultati conseguiti sono favoriti dall'evoluzione del contesto internazionale. L'Inghilterra, storica e invadente "tutrice" del Brasile, sta cedendo lo scettro del dominio mondiale all'ascendente potenza statunitense e il Brasile riesce a sfruttare questo periodo di interregno per far respirare l'industria domestica. Vargas sa mettere a frutto anche la montante rivalità tra gli Usa e la Germamia nazista, alzando abilmente il prezzo della propria alleanza con Washington in vista del secondo conflitto mondiale, la seconda guerra mondiale diventa poi un volano dello sviluppo industriale brasiliano.
Gli Usa sono preoccupati di questa evoluzione del Brasile, il principale paese del suo cortile di casa latino-americano, e degli effetti di essa nel resto del continente. In Argentina, ad esempio, nel 1946 sale al potere Peron con un programma simile a quello di Vargas. Benché inducano al suicidio Vargas nel 1954, i tentativi statunitensi di mettere i bastoni tra le ruote alla sua politica non danno frutti fino al 1964. Fino a quella data hanno, anzi, l'effetto di rinvigorire la mobilitazione popolare a favore della politica getulistica. Nella seconda metà degli anni cinquanta questa politica prosegue il suo cammino con nuove misure protezionistiche a favore dell'industria nazionale, l'estensione dell'intervento statale nel campo petrolifero, siderurgico, chimico e infrastrutturale, la discussione di riforma agraria e una politica estera via via più autonoma dagli Usa. Pur restando nell'ambito di alleanze statunitense, il Brasile continua a demarcarsi dalle posizioni del blocco atlantico. Il governo brasiliano rifiuta la richiesta Usa di contribuire con proprie truppe all'aggressione occidentale all'Indocina, inizia a rafforzare i rapporti diplomatici, commerciali e politici con l'Unione Sovietica e la Cina, respinge (unico tra i governi dell'America Latina) l'embargo contro Cuba imposto dagli Usa e avallato dall'Osa (l'Organizzazione degli stati americani).
L'imperialismo statunitense ha di che essere allarmato. Dal Vietnam al Congo il movimento anti-coloniale va rafforzandosi ed estendendosi. Prima a Bandung nel 1955 e poi a Belgrado nel 1961, i paesi del Sud del mondo che hanno da poco raggiunto l'indipendenza (India, Egitto, Indonesia e Cina) si riuniscono nel cosidetto "Vertice dei non allineati", dichiarando la loro opposizione al colonialismo e al neo-colonialismo. Il Brasile è il paese chiave dell'America Latina e mai, come in questo momento, il suo schieramento al fianco di alleanze statunitense ed occidentale non può e non deve essere messo in discussione, Gli Usa riescono ad imporre il loro bastone nel 1964, quando il golpe diretto dal generale Castelo Blanco instaura la dittatura militare. Vi riescono perché agli inizi degli anni sessanta la loro politica diventa appetibile all'interno del Brasile per un'area sociale molto più ampia di quella tradizionale dei latifondisti e dei vertici militari.
La borghesia nazionale e la dittatura militare
Per portare avanti il loro sviluppo capitalistico, le imprese brasiliane hanno adesso bisogno di acquisire le tecnologie che, sull'onda della ricostruzione post-bellica, costituiscono ormai il "la" dei processi produttivi. Queste tecnologie sono monopolizzate dagli Usa, ben disposte a cederle attraverso la concessione di prestiti internazionale e in cambio dello smantellamento della protezione del mercato interno brasiliano. All'inizio degli anni sessanta anche gli strati borghesi getulisti giungono alla conclusione che è conveniente entrare in maggiore osmosi con il mercato internazionale dominato dai monopoli Usa e mettere fine allo statalismo protezionista di Vargas, che, invece, in quegli anni è portato avanti con un piglio più deciso dal neo-presidente Goulart, esponente della sinistra brasiliana.
Il grande fratello a stelle e strisce e gli stessi ambienti borghesi brasiliani sono avvicinati anche da un altro interesse. A preoccuparli è anche il protagonismo politico e sindacale con cui il proletariato urbano sostiene la politica presidenziale e la diffusione di questo "clima" verso le masse lavoratrici rurali. Veicolo e sintomo di questo contagio sono la crescente influenza dei sindacati (che tendono a sostituire le leghe contadine) e del partito comunista nelle campagne, nonché l'attività svolta dalle strutture di base della chiesa rifacentesi alla "teologia della liberazione". Nel 1961 per la prima volta i lavoratori agricoli partecipano in massa a uno sciopero generale. Sotto la loro pressione, nel 1963, è emanato lo "statuto dei lavoratori rurali" e fondata la Confederazione dei lavoratori agricoli (4). Intanto in alcune zone, come nello stato di Rio Grande del Sul, si muovono i primi passi verso la costituzione di una milizia popolare contadina. I ceti possidenti brasiliani, tradizionali e getulisti, capiscono che è il momento di agire con decisione e rapidità prima che la situazione diventi difficilmente "controllabile". Per questo insieme di motivi, la borghesia nazionale appoggia il golpe dei generali e il ritorno, con essa, a una stretta alleanza con gli Usa. Migliaia di attivisti sindacali e politici sono torturati, imprigionati e assassinati. Il diritto di sciopero è di fatto abolito, vengono bloccati i salari, varata una controriforma della legislazione sul lavoro e imposta una disciplina da caserma nelle fabbriche. Nelle campagne le bande assoldate dai latifondisti scatenano il "terrore bianco" su vasta scala. Il Brasile diventa l'eldorado degli investitori e dei prestiti internazionali. Per un decennio il prodotto interno lordo cresce al ritmo del 10% annuo. Ma è uno sviluppo capitalistico fortemente dipendente e controllato dalle multinazionali e dalle banche statunitensi e occidentali. Questa dipendenza e le storture che le corrispondono vengono alla luce nella seconda metà degli anni settanta e nei primi anni ottanta, quando, in risposta alla crisi economica internazionale iniziata nel 1973-1974, gli Usa alzano i tassi di interesse: le rate per il rimborso dei debiti contratti dalle imprese e dal governo brasiliano schizzano alle stelle, i piani di austerità imposti dall'Fmi spolpano i gioielli dell'industria nazionale brasiliana e portano a un generale impoverimento della popolazione, compresi quei ceti medi che nel 1964 avevano appoggiato la dittatura (vedendovi l'unica strada per salvaguardare la propria posizione dal "caos" comunista), usufruito dello "sviluppo del sottosviluppo" e aiutato la dittatura a neutralizzare il colpo di reni proletario del 1968-1969. In questa nuova situazione il proletariato industriale, rinfoltito nei suoi ranghi da una nuova generazione e forte del suo inserimento in fabbriche multinazionali, torna a rialzare la testa.
Nel 1978-'79 una raffica di scioperi rivendica l'adeguamento salariale e l'eliminazione della legislazione anti-sciopero. Nel 1980 140 mila lavoratori incrociano le braccia per 41 giorni. Nel 1982 scioperi duri investono il settore metalmeccanico, quello petrolifero e anche quello bancario. Riflesso e motore di questo movimento di lotte, nel 1980 si costituisce il Partito dei lavoratori (Pt) e nel 1983 la confederazione unitaria del lavoro (Cut). Ad animare l'una e l'altra organizzazione sono i settori proletari, sopratutto metalmeccanici, legati alla corrente del "sindacalismo militante", in rotta di collisione con quello ufficiale collaborazionista. Questa corrente è impegnata a legare la lotta per i miglioramenti salariali a quella contro la dittatura. All'atto della sua fondazione il Pt conta già 400 mila aderenti. Nel giro di pochi anni la Cut diventa il principale sindacato del paese (5). Nel 1985 nasce l'organizzazione di massa bracciantile e contadina dei Sem Terra per la lotta contro il latifondo e per la riforma agraria.
Nel 1985, il regime militare, gli Usa e le classi sfruttatrici brasiliane tentano di devitalizzare il movimento politico del proletariato, così da riprendere indisturbate l'applicazione della politica imposta dal Fmi, tornando alla democrazia presidenzialista. Per altri quindici anni il Brasile è devastato dalla furia dei gangster di Wall Street (6): nel 1989, il presidente Collor del Mello accetta di applicare integralmente le misure contenute nel "piano di aggiustamento strutturale" dettato dal Fmi (blocco dei salari, licenziamento di decine di migliaia di dipendenti pubblici, privatizzazione a vantaggio delle multinazionali nordamericane ed europee); nel 1995 il neo-presidente Cardoso prosegue nelle privatizzazioni, riduce le tariffe doganali e amplia i campi dell'economia nazionale in cui i capitali estri hanno libertà d'azione...
Lo sviluppo del sottosviluppo presenta il suo conto. Non solo ai proletari e alle masse lavoratrici delle campagne, ma anche ad ampi strati del ceto medio e ai settori imprenditoriali, illusisi negli anni sessanta di poter fare del Brasile una grande potenza capitalistica con l'aiuto dell'imperialismo.
Note
1) Si calcola che il costo di un "negros de terra" potesse venire completamente ammortizzato in due anni di duro lavoro. Mentre la sua "durata" si stimava fosse di circa dieci anni.
Gli schiavi che tentavano la fuga o che attentavano in vario modo alla proprietà e ai voleri del padrone venivano puniti con pene che andavano dall'impiccagione alla fustigazione, dal taglio di mani e piedi alla castrazione. Per le donne, superfluo dirlo, la violenza sessuale era pane quotidiano.
2) Emblematico il quilombo di Palmeras dove 10 mila schiavi resistettero per decenni contro gli eserciti degli sfruttatori. Questo quilombo, come sottolinea Edoardo Galeano nel suo libro Le vene aperte dell'America Latina (sperlig & Kupfer Editori, 1997), era l'unico agolo del Brasile dove non aveva spazio la monocolture e dove la coltivazione dei campi era portata avanti con criteri più razionali e non distruttivi per la fertilità del suolo.
3) Il protagonismo dell'esercito come attore politico è un dato ricorrente ella storia dell'America Latina. In Brasile esso aveva acquistato importanza e forza grazie all'aggressione armata condotta (in alleanza con Argentina e Uruguay) contro il Paraguay dal 1865 al 1870. Le ragioni del conflitto furono la volontà di conquiste territoriali e la necessità politica di schiacciare il cattivo esempio di una nazione (unica nel subcontinente) dove non esisteva di fatto la schiavitù. Dietro tutto ciò, manco a dirlo, la regia inglese: in Paraguay si stava dando vita ad un tessuto industriale e produttivo non pienamente subordinato agli interessi di Londra.
4) Nel suo primo congresso la Confederazione chiede tra l'altro: "La trasformazione radicale dell'attuale struttura agraria del paese, con la liquidazione del monopolio della proprietà della terra esercitato dai latifondisti (principalmente a mezzo di espropriazioni effettuate dal governo federale) a cui verrà sostituita la proprietà contadina in forma individuale e associata e la proprietà statale".
5) Oggi, con i suoi 7 milioni e mezzo di iscritti, la Cut è tra i più grandi al mondo.
6) Tra il 1982 e il 1990, il continente latinoamericano (che nel decennio antecedente aveva ricevuto in prestito 91 miliardi di dollari) sarà costretto a "restituire" alla grande finanza le grandi banche nordamericane ed europee qualcosa come 224 miliardi di dollari. Il tutto si tradurrà nella "creazione" di 60 milioni di nuovi poveri e in enormi difficoltà per lo sviluppo economico e sociale dell'intero subcontinente.
Che fare n.77 dicembre 2012 - aprile 2013
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA