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Che fare n.76 Giugno - Ottobre  2012

Trotskij, Cina 1927: la lotta contro l’imperialismo polarizza il fronte interno.

Trotskij fu un dei dirigenti della rivoluzione bolscevica in Russia e, poi, dell’Internazionale Comunista. I brani di Trotskij che riportiamo sono tratti dagli articoli con cui il militante rivoluzionario intervenne in uno dei momenti chiave della rivoluzione in Cina, quello dell’insurrezione proletaria di Shangai del 1927.

La prima guerra mondiale aveva permesso alle potenze capitalistiche occidentali e all’ascendente Giappone di ampliare l’area della Cina inglobata sotto il loro dominio diretto e indiretto. Dopo la prima guerra mondiale, però, si era esteso anche il movimento nazional-democratico cinese, con l’ingresso in campo delle masse contadine povere e dell’esiguo ma battagliero proletariato industriale che si era addensato a Shangai e a Canton. Il movimento antimperialista cinese era diretto contro due fronti: da un lato, contro le potenze coloniali occidentali e contro il Giappone che occupavano direttamente o indirettamente ampie zone, le più ricche economicamente, della Cina; dall’altro lato, contro i proprietari terrieri e i ceti affaristici cinesi alleati con gli imperialisti.

La più consistente organizzazione del movimento antimperialista cinese era un fronte democratico-borghese inter-classista, il Kuomintang, al quale partecipavano industriali e proprietari terrieri nazionalisti, professionisti, contadini, artigiani, operai.

Nel 1923 l’Internazionale Comunista aveva suggerito alla sua giovane sezione cinese, fondata nel 1921 e ancora esigua, di entrare nel Kuomintang e di collaborare con la direzione del Kuomintang nella gestione dei primi territori liberati dal controllo delle forze colonialiste e dei loro servi locali.

Dal 1925, l’estensione dello scontro e la crescente attivizzazione dei contadini poveri e degli operai fecero emergere l’antagonismo interno al Kuomintang fra le classi proprietarie e le classi sfruttate, e fra i loro differenti “modi” di intendere e di condurre la guerra antimperialista. Nel 1926 gli iscritti ai sindacati raggiunsero il milione. I militanti del partito comunista cinese aumentarono, divennero 50 mila militanti nel 1926.

In questa situazione un’ultra-minoritaria ala dell’Internazionale Comunista ritenne che il partito comunista cinese dovesse separarsi dal Kuomintang e dovesse partecipare alla guerra antimperialista con un’organizzazione e un indirizzo politico autonomi. Trotskij fu uno degli esponenti di questa ala.

Nel 1927 lo scontro con l’imperialismo e all’interno del fronte nazionale giunse al culmine. La repressione feroce scatenata dal Kuomintang contro le organizzazioni proletarie cinesi e l’accordo stabilito dalla sua direzione con le potenze coloniali confermarono in pieno le posizioni politiche di Trotskij.

 

La fonte principale degli errori delle tesi del compagno Stalin, come in generale di tutta la linea fin qui seguita, è una concezione erronea del ruolo dell’imperialismo e della sua influenza sulle relazioni di classe in Cina. La pressione dell’imperialismo dovrebbe servire a giustificare la politica del “blocco delle quattro classi”. Essa, si sostiene, ha per effetto che “tutte” (!) le classi della società cinese considerino “in egual modo” il governo di Canton (discorso del compagno Kalin, “Izcestija”, 6 marzo). È questa, in sostanza, la posizione la posizione dell’esponente dell’ala destra del Kuomintang, Tai Chi t’ao, il quale sostiene che le leggi della lotta di classe non si applicano alla Cina a causa della pressione dell’imperialismo.

La Cina è un paese semi-coloniale oppresso. Lo sviluppo delle sue forze produttive, che avviene in forme capitalistiche, esige che sia spezzato il giogo dell’imperialismo. La guerra della Cina per la sua indipendenza nazionale è una guerra progressiva, sia perché nasce dalle stesse esigenze dello sviluppo economico e sociale del paese e sia perché  facilita lo sviluppo della rivoluzione del proletariato di Gran Bretagna e del mondo intero.

Ma ciò non significa minimamente la pressione imperialista sia una pressione meccanica, soggiogante in “eguale” modo “tutte” le classi della società cinese. Il ruolo imponente del capitale straniero nella vita della Cina ha avuto per conseguenza che vastissimi settori della borghesia cinese, della burocrazia e dell’esercito, abbiano legato le loro sorti a quelle dell’imperialismo. Senza questo legame, il peso enorme dei cosiddetti “militaristi” nella vita della Cina contemporanea sarebbe inconcepibile.

Sarebbe inoltre un’ingenuità mostruosa credere che fra la cosiddetta borghesia compradora, cioè l’agente economico e politico del capitale straniero in Cina, e la cosiddetta borghesia “nazionale”, esista un abisso. No, questi due settori sono infinitamente più vicini che la borghesia e la grande massa degli operai e dei contadini. La borghesia è intervenuta nella guerra nazionale come elemento di freno interno, non cessando mai di guardare con ostilità le masse operaie e contadine e preparandosi ad ogni piè sospinto a scender a patti con l’imperialismo.

Mentre è nel Kuomintang, e lo dirige, la borghesia è per sua natura uno strumento nelle mani dei compradores e dell’imperialismo. La borghesia nazionale ha potuto rimanere nel campo della guerra nazionale solo finché le masse operaie e contadine erano deboli, la lotta di classe poco sviluppata, il partito comunista cinese non indipendente, e il Kuomintang un docile arnese della borghesia.

È un errore grossolano credere che l’imperialismo fonda meccanicamente in un sol blocco, agendo dall’esterno, tutte le classi della società cinese. (...) La lotta rivoluzionaria contro l’imperialismo non indebolisce, anzi tende a rafforzare, la differenziazione politica fra le classi. L’imperialismo è una forza poderosa, nella situazione interna della Cina. La sorgente principale di questa forza non sono le navi da guerra nella acque dello Yangtse, ma i legami economici e politici fra il capitale straniero e la borghesia indigena. La lotta contro l’imperialismo, proprio a causa della sua potenza economica e militare, esige una tensione estrema delle energie degli strati profondi del popolo cinese. Si possono sollevare veramente contro l’imperialismo gli operai e i contadini, alla sola condizione di collegarne alla causa della liberazione del paese gli interessi vitali e fortemente sentiti. Uno sciopero operaio –piccolo o grande che sia– una rivolta contadina, un’insurrezione delle classi oppresse della città e delle campagne contro gli usurai, la burocrazia, i satrapi militari locali, tutto ciò che risveglia le moltitudini, che le affascia, le tempra, le educa è un vero passo avanti sulla via della liberazione rivoluzionaria e sociale del popolo cinese. In mancanza di ciò, i successi e insuccessi militari dei generali di destra, semi-destra e semi-sinistra, resteranno schiuma sulla superficie di un oceano. Ma tutto ciò che solleva le masse sfruttate spinge necessariamente la borghesia nazionale cinese verso il blocco aperto con gli imperialisti. La lotta di classe fra la borghesia e le masse operaie e contadine, lungi dall’essere attenuata dalla pressione dell’imperialismo, ne viene ad ogni grave scontro inasprita, fino a trasformarsi in guerra civile sanguinosa. Nell’imperialismo la borghesia possiede un saldo retroterra, che non cesserà mai di aiutarla contro gli operai e i contadini con denaro, merci e granate.

Solo degli squallidi filistei e sicofanti, che in cuor loro sperano in una libertà ricevuta dagli imperialisti in dono per il buon comportamento delle masse lavoratrici, possono credere che la liberazione nazionale possa ottenersi smorzando la lotta di classe, frenando gli scioperi e le rivolte agrarie, rinunciando all’armamento delle masse, ecc. (...) Quanto più complicato e tortuoso è l’intreccio fra rapporti feudali e capitalistici, tanto meno la questione agraria può essere risolta con misure legislative dall’alto, tanto più indispensabile è l’iniziativa rivoluzionaria delle masse contadine in stretto collegamento con gli operai e la popolazione povera delle città, tanto più sbagliata è una politica che si aggrappi convulsamente all’alleanza con la borghesia e la grande proprietà fondiaria e che le subordini il proprio lavoro fra le masse. La politica del “blocco delle quattro classi” non ha solo preparato il blocco della borghesia con l’imperialismo, ma ha voluto dire la conservazione di tutte le sopravvivenze di barbarie nel governo e nell’economia.

Da Testi della rivoluzione...

Che fare n.76 Giugno - Ottobre  2012

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