Che fare n.75 Dicembre 2011 - Marzo 2012
Crisi in Italia, crisi in Europa
La spirale del debito pubblico: da dove nasce e a chi serve?
Il "risanamento" del debito pubblico è uno dei perni intorno a cui sta ruotando lo scontro politico europeo. Fiumi di parole sono rovesciati sulla "pubblica opinione" per dimostrare quanto questo obiettivo sia vitale per tutti (per l’operaio come per il padrone, per il precario come per il banchiere) e come il suo raggiungimento richieda l’adozione (e l’accettazione) di una politica di duri sacrifici. Le righe che seguono vogliono contribuire a diradare le nebbie in cui (ad arte) è tenuta avvolta la questione dell’origine e della funzione del debito sovrano.
I portavoce della "scienza economica" ufficiale spiegano che il debito pubblico è uno degli strumenti a disposizione della collettività per raccogliere le somme di denaro richieste dal finanziamento di attività che vanno a beneficio di tutta la collettività. Queste attività possono essere l’assistenza sanitaria, la scuola, il sistema dei trasporti, le forze dell’ordine. Secondo questa rappresentazione, il debito pubblico è una specie di mutuo che lo stato contrae per conto della collettività e che poi provvede a rimborsare, con gli "inevitabili" interessi, grazie ai soldi raccolti con il prelievo fiscale. Il problema, continuano i nostri "esperti", è che a un certo punto le popolazioni hanno cominciato a voler vivere "al di sopra delle loro possibilità", mentre i governi, pur di mantenersi in piedi, le hanno assecondate.
Lo stato ha così contratto debiti superiori alla propria capacità di rimborso in una spirale che, con la moltiplicazione degli interessi, è diventata insostenibile, costringendoci, ora, ad amare medicine. Alla superficie le cose si presentano effettivamente sotto questa forma. La realtà è, tuttavia, del tutto diversa.
Stato e capitale
La nascita e lo sviluppo dei rapporti sociali capitalistici hanno avuto bisogno dell’azione coadiuvante dello stato. Servivano una polizia ed una magistratura per far rispettare la "sacra" proprietà privata, per oliare l’espropriazione dei contadini e degli artigiani e per controllarne dittatorialmente la trasformazione in salariati nelle galere dei moderni stabilimenti industriali. Serviva un sistema di trasporti per facilitare la circolazione delle merci e delle persone in un mercato più ampio dell’area circostante una città. Serviva un esercito per difendere con la guerra gli interessi dei commercianti e degli industriali nei loro traffici nel resto del mondo, fra i quali avevano un ruolo di primo piano il saccheggio delle materie prime, delle spezie e della forza lavoro schiavistica dei continenti del Sud del mondo. Serviva mettere in funzione industrie di importanza strategica per l’economia nazionale, quella delle armi e metallurgica ad esempio, che richiedevano capitali così grandi da oltrepassare le capacità di investimento dei singoli imprenditori.
Il debito pubblico fu lo strumento con cui lo stato borghese rastrellò i fondi con cui finanziare queste attività. Esse andavano incontro ai bisogni di tutta la società? No, servivano per sostenere gli affari dei capitalisti e per soggiogare e spremere i lavoratori europei e le popolazioni del Sud del mondo. La restituzione del debito era accollata "equamente" a tutta la società? Era finanziata con le tasse (la cui raccolta richiedeva un altro dispendioso e odioso apparato, la macchina fiscale) e tasse erano in gran parte tasse rialiste e nelle guerre di dominazione del Sud e del’Est del mondo. Li portò a farsi corporativizzare entro la gabbia della macchina statale borghese (liberale, nazi-fascista e democratica), ad accettare come servizi rispondenti ai propri bisogni umani e sociali una scuola, una sanità e una previdenza che erano (e sono) modellati su misura per quello che è il proletario per la società borghese, un mulo da torchiare, da riparare alla meno peggio se si guasta, da educare più che da istruire per farne un operaio e un soldato ubbidienti. Li portò a delegare a una macchina separata e contrapposta all’umanità lavoratrice, la burocrazia statale, lo svolgimento di funzioni sociali che, per rispondere ai bisogni di vero sviluppo di un individuo, possono e debbono essere svolte dagli stessi interessati, come avveniva nella società senza stato in cui è vissuta la specie umana nella preistoria e come avverrà nella società comunista superiore. E questo non è ancora tutto.
Chiediamoci: il compromesso sociale novecentesco e l’ordine internazionale del capitale in cui esso s’è coagulato, sono stati un gradino per arrivare a quale traguardo storico? A quello che stiamo vivendo: la crescita esponenziale del debito pubblico, la trasformazione di esso in un piccone che gli stati occidentali e il grande capitale stanno usando contro la classe proletaria.
Per mettere a fuoco come i lavoratori possano difendersene, vediamo come si è compiuto quest’ultimo passaggio.
Lo tsunami del debito sovrano e il sisma che lo sta generando
La tsunami del debito sovrano comincia a formarsi negli Usa negli anni sessanta e settanta con la crescita delle spese militari sostenute dall’imperialismo statunitense per far fronte alla (vittoriosa!) resistenza del popolo vietnamita. Si ingrossa con le misure "anti-cicliche" che le potenze capitalistiche occidentali assumono a metà degli anni settanta per attutire la caduta dei profitti che colpisce le imprese in quegli anni per effetto dell’esaurimento del ciclo di sviluppo post-bellico e dell’aumento del prezzo del petrolio imposto dalle lotte antimperialiste dei popoli e dei proletari in Asia e in Africa. Continua a crescere negli anni ottanta con il balzo delle spese militari e il taglio del prelievo fiscale sullo strato più ricco delle società occidentali operato dalle presidenze Reagan e Bush padre. Una breve pausa durante gli anni novanta e poi altro slancio sotto la spinta delle guerre neo-coloniali di fine ed inizio millennio contro la Jugoslavia, l’Iraq e l’Afghanistan, i cui costi lievitano grazie alla resistenza che i popoli dell’Iraq e dell’Afghanistan oppongono agli aggressori occidentali.
L’onda del debito sovrano diventa, infine, di dimensioni gigantesche dal 2007, quando gli stati occidentali si sono caricati sulle spalle le perdite delle società finanziarie, non hanno più potuto continuare a saccheggiare a proprio piacimento le materie prime e la manodopera dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa, hanno visto contrarsi drasticamente il saggio di profitto e ridursi il vantaggio competitivo delle proprie imprese. Nel 2010 la somma dei debiti sovrani dei paesi occidentali ha superato il totale dei loro pil. Chi lo ha fatto crescere fino a questo punto? Chi ha intascato i favolosi interessi pagati con le rate del rimborso di questo debito? Tutta la collettività o una classe sociale ben determinata?
Ma non è finita qui. La turbolenza che ha cominciato ad investire l’ordine capitalistico internazionale (e che è, al fondo, all’origine della crescita del debito sovrano dei paesi occidentali) sta trasformando il livello raggiunto dal debito pubblico in pericoloso virus per la fluidità dell’accumulazione capitalistica e per il dominio delle potenze occidentali.
In questo numero ci limitiamo a indirette, gravanti sul consumo dei beni di prima necessità e, quindi, sulla popolazione lavoratrice, i proletari ma anche i contadini poveri, spesso costretti a diventare salariati proprio a causa dell’insufficiente reddito tratto dalle loro terre per pagare le tasse.
E chi intascava, infine, gli interessi pagati sul debito pubblico? L’intera collettività? No: solo coloro che avevano comprato i titoli di stato, cioè, per la gran parte, gli stessi capitalisti e parassiti che usufruivano dei servizi finanziati con il debito pubblico. La nascita e lo sviluppo della società borghese sono, quindi, inestricabilmente intrecciati con la crescita di un "giro" in cui i capitalisti e i redditieri prestano i soldi allo stato, e questo, mentre con una mano li accentra e li spende per la tutela della macchina di sfruttamento borghese sulla popolazione lavoratrice, con l’altra, tramite il fisco, rastrella dalle tasche del "popolo", doppiamente spolpato, le somme necessarie a ripagare il debito e restituisce il malloppo agli stessi capitalisti e con gli interessi.
Un piccolo esempio, tratto dalla formazione e dal consolidamento dello stato unitario italiano. Lo stato italiano ebbe in eredità dallo stato sabaudo un enorme debito. La tassazione indiretta sui generi di largo consumo fu lo strumento principale di cui lo stato italiano si servì per far fronte ai suoi oneri finanziari. La pressione fiscale fu così elevata che nel 1898 a Milano (ma il movimento investì anche altre aree del paese) esplose una sollevazione proletaria e popolare contro la tassa sul macinato, sul pane, sull’olio e sullo zucchero. Il moto fu represso nel sangue, a colpi di cannone, dalle truppe del generale Bava Beccaris, messe in piedi grazie ad una delle voci cardine della spesa pubblica, quella per le forze dell’ordine. Il mancar fede al pagamento del debito pubblico è, per il capitale, uno dei più gravi peccati... capitali.
E il welfare state?
A questa analisi si può opporre un’obiezione: essa ha dimenticato la "spesa sociale", ha dimenticato di considerare la quota delle spese pubbliche riservata alla sanità, alle pensioni, alla scuola. Come si può dire che questi servizi non vanno a beneficio di tutta la collettività e dei lavoratori?
Effettivamente dalla fine del XIX secolo e poi, soprattutto, nel corso del XX secolo l’intervento statale e la spesa pubblica si sono progressivamente ampliati a questi campi. Ma perché è accaduto questo? Per due spinte sociali tra loro collegate. È accaduto perché il proletariato, cresciuto numericamente e addensato nelle città industriali, ha iniziato a pretendere, con la lotta e l’organizzazione, di partecipare al benessere da esso prodotto, di dirottare una quota della ricchezza alla costruzione di una rete di protezione contro i rischi connessi alla vita del salariato e il tentativo dei padroni di lasciarlo marcire quando non più abile al lavoro.
Le borghesie dei paesi capitalistici avanzati "accettarono", parzialmente, questa rivendicazione del mondo del lavoro. Volevano stroncare sul nascere la possibile radicalizzazione politica del movimento proletario verso le posizioni rivoluzionarie sostenute dai marxisti. Volevano cointeressare crescenti strati della classe lavoratrice al rafforzamento del capitale e del proprio stato. Avevano, inoltre, interesse a costruire istituzioni (la scuola, l’assistenza sanitaria, ecc.) che garantissero l’acquisizione da parte della forza lavoro dei requisiti richiesti da un apparato produttivo più avanzato e dall’estensione, che non si poteva continuare a negare, del suffragio elettorale.
I re della finanza e dell’industria e i vertici statali poterono compiere questa operazione grazie al fatto che nel XX secolo i profitti incamerati erano giganteschi per l’enorme ricchezza travasata in Occidente dalla rapina imperialista e per le impennate conosciute nel corso del secolo dalla produttività del lavoro nell’industria europea e statunitense.
Il patto così stabilito sulla cosiddetta "spesa sociale" fu uno dei pilastri del compromesso sociale siglato tra capitale e lavoro salariato nel corso del novecento. Esso ha permesso al proletariato di ridurre l’insicurezza che caratterizza la sua esistenza entro la società borghese. Ad esempio, il sistema pensionistico e il sistema sanitario pubblico (nonostante la loro estraneità ad un’opera di previdenza coerente con la piena tutela della salute e della dignità umana) hanno contribuito a rendere l’insieme dei lavoratori socialmente più unito e collettivamente più tutelato e, quindi, meno ricattabile dinnanzi alle pretese del padrone e del mercato. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio: per la dinamica internazionale del rapporto tra le classi in cui si inseriva, l’introduzione dello "stato sociale" portò i lavoratori occidentali a sostenere la propria borghesia nella barbarie mettere in rilievo solo alcuni aspetti di questo processo, che chiama in causa il crescente ruolo dello stato, dagli anni trenta, nella gestione diretta di pezzi dell’apparato industriale e finanziario e l’intreccio delle metamorfosi storiche del capitale finanziario, del credito e del capitale fittizio con lo sviluppo dell’accumulazione capitalistica mondiale.
1) Il debito sovrano occidentale sta permettendo alla Cina e agli altri stati emergenti di drenare ricchezza dall’Occidente e di disporre di un mezzo di condizionamento politico sugli anelli più deboli del blocco occidentale, come è accaduto nel caso della Grecia.
2) Con i suoi allettanti tassi di interesse, il debito pubblico sta diventando un buco nero che sottrae "più del dovuto" i capitali liquidi dagli investimenti infrastrutturali e produttivi in un momento storico in cui l’Occidente, per mantenere la propria supremazia, ha bisogno di operare un balzo tecnologico.
3) Il mantenimento della "spesa sociale", la cui eliminazione sarebbe un fattore di prima grandezza nel taglio della spesa pubblica, contrasta con l’esigenza dei capitalisti di tornare ad avere manodopera molto ricattabile anche in Europa.
Il debito pubblico va, quindi, tagliato e riportato sotto controllo. Il taglio della welfare state è decisivo per il risanamento delle finanze dello stato borghese e permette di comprendere il risvolto politico della scure con cui l’Ue e i governi europei stanno riducendo la "spesa sociale".
Atomizzazione
Il lavoratore deve essere messo nell’impossibilità di avere un paracadute collettivo su cui fare affidamento per la salute sua e dei suoi cari, per una vecchiaia non abbandonata e per gli altri mille imprevisti che la vita può riservare. Deve cessare di sentirsi parte di "un tutto". Deve essere messo nelle condizioni di poter e dover puntare solo su se stesso e sul suo rapporto individuale con l’azienda. Quanto più dovrà pagare la sanità, quanto più dovrà pensare ad una pensione privata, tanto più ogni singolo proletario sarà ricattabile e costretto ad accettare in fabbrica, nel cantiere e in ufficio, ritmi, orari e condizioni più pesanti.
E tanto più sarà indotto a vedere nell’altro lavoratore un concorrente da cui "guardarsi" e non un compagno di lotta con cui affrontare e risolvere insieme i comuni problemi. La politica con cui il governo Monti e l’Ue stanno portando avanti il "risanamento finanziario" contiene un’esca avvelenata per i lavoratori.
Nei decenni passati i governi occidentali hanno allargato i ranghi della burocrazia pubblica più di quanto fosse necessario dal punto di vista strettamente funzionale ed economico. Lo hanno fatto per rinfoltire un ceto statale impiegatizio che, per i suoi piccoli "privilegi" e per i suoi legami di tipo clientelare con gli apparati e i partiti governativi, agisse da argine "di massa" contro l’avanzata e le "pretese" del movimento operaio.
Emblematico ancora una volta il caso italiano. I governi democristiani e poi democristiano-socialisti che hanno guidato l’Italia fino agli anni novanta portarono avanti un politica di assunzioni clientelari di massa nel carrozzone statale per costruire un contrappeso "moderato e popolare" alla combattività della classe operaia.
Al di là delle forme e degli "eccessi", la crescita "sproporzionata" del pubblico impiego è stata, quindi, un investimento necessario alla stabilizzazione sociale capitalistica.
Ed oggi?
Oggi l’elefantiaco apparato burocratico costruito nei decenni passati diventato per il capitale troppo oneroso e troppo poco efficiente. Le alte sfere della classe borghese sanno che, per snellirlo, dovranno scontrarsi con resistenze sociali e politiche radicate.
Sanno, nello stesso tempo, quanto rabbia, sacrosanta!, s’è sedimentata nei proletari del settore privato e negli operai per il "magna magna" che si annida nella macchina statale, intuizione del carattere parassitario e anti-sociale di questo autentico mostro che si contrappone all’umanità lavoratrice, ne succhia le energie e ne vigila lo sfruttamento.
L’operazione che i governi europei stanno tentando è quella di tagliare i "rami secchi" della pubblica amministrazione, che loro stessi hanno messo in piedi in passato e che oggi sono diventati insostenibili, con il consenso dei lavoratori del settore esposto direttamente alla concorrenza internazionale. La presentano come una prova dell’equità della loro politica di risanamento e come un argomento per convincere i lavoratori del settore industriale a ingoiare la pillola a loro riservata.
L’effetto è quello di far arretrare nel complesso l’intero mondo del lavoro salariato e di frantumarlo ancor più a fondo.
La difesa degli interessi proletari e il debito sovrano
Si avrà, in compenso, un apparato statale meno sprecone e più efficiente? Quand’anche fosse, un simile più efficiente apparato statale sarà totalitariamente più efficiente nell’imporre le esigenze della competitività sulla classe lavoratrice e nel tentare di scagliare i lavoratori dei vari paesi europei contro quelli degli altri continenti. Non può essere la borghesia, non può essere il sistema sociale capitalistico a mettere un freno alla sanguisuga del parassitismo statale. Sin dalla sua apparizione lo stato borghese, monarchico o repubblicano, centralista o federale, non è stato un governo a buon mercato. Nei tempi recenti è diventato una sanguisuga che mangia la stessa società che dovrebbe servire perché la conservazione dei rapporti sociali capitalistici con la forza "spontanea" del meccanismo economico è diventata altamente instabile.
E ciò richiede un enorme apparato di conservazione, di guida e di coercizione. È quello che è successo, in passato, ogni qual volta un sistema sociale di classe è giunto al suo punto terminale. Non è interesse dei lavoratori farsi carico del pagamento del debito pubblico. Il loro unico interesse è quello di mettere in campo la mobilitazione per impedire che il debito, cresciuto sul proprio sudore, sia risanato sulle proprie spalle.
Il loro unico interesse è, semmai, quello di ampliare e migliorare quel poco che si ha: di imporre che delle pensioni possano godere anche gli immigrati (che nel 90% dei casi pagano fior di contribuiti a vuoto); di imporre la riduzione delle tasse prelevate sul salario attraverso l’Iva, un meccanismo che appare "uguale per tutti" ma nasconde come il fisco mette le mani nelle tasche delle classi sociali in modo differenziato a danno di quelle lavoratrici; di imporre che la scuola pubblica non sia un posto dove la gioventù proletaria viene "educata" alla passività, all’individualismo, al rispetto dei potenti; di imporre un sistema sanitario dove ogni lavoratore non sia più considerato (ben che gli vada) una macchina da rimettere in fretta ed alla meno peggio in piedi per riprendere lo sfruttamento in fabbrica e al lavoro.
Che fare n.75 Dicembre 2011 - Marzo 2012
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA