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Che fare n.75 Dicembre 2011 - Marzo 2012

Nonostante la resistenza del popolo libico, i gangster della Nato e i loro burattini locali hanno piegato la repubblica di Gheddafi.

Non avranno pace.

Dopo la Jugoslavia, l’Iraq e l’Afghanistan, un altro paese è stato "liberato", la Libia. Dopo Milosevic, Saddam Hussein e Bin Laden, un altro "dittatore" è stato tolto di mezzo, Gheddafi. Non ci vorrà molto tempo per toccare con mano quanto la "liberazione" compiuta dalle potenze occidentali in Libia assomigli a quella già realizzata nei Balcani e in Iraq e in Afghanistan. Intanto, passata la prima fase in cui i mezzi di informazione dovevano imbottire i crani con la favoletta del popolo da liberare e con le bufale sulle fosse comuni (nelle precedenti guerre avevamo avuto i 300 bimbi strappati dalle incubatrici kuwaitiane...), tra le stesse notizie ufficiali cominciano ad emergere i succosi interessi che hanno portato all’intervento neo-colonialista: le immense riserve di petrolio e di gas, i 150 miliardi di dollari del fondo sovrano libico congelati nelle banche occidentali, i minerali del sottosuolo africano, il contenimento della penetrazione cinese in Africa... Qualcosa di diverso dagli obiettivi del "vecchio" colonialismo?

L’8 ottobre 2011 l’ex-ministro della Difesa, La Russa, ha visitato la Libia "liberata". Il presidente del Consiglio  Nazionale Transitorio (Cnt), Mustafa Abdel Jalil, lo ha salutato con le seguenti parole: "Il colonialismo italiano, nonostante tutti i suoi sbagli, non potrà mai essere paragonato a Gheddafi.

Gheddafi è stato assai peggio. Il colonialismo italiano portò strade e palazzi. Portò lo sviluppo agricolo, leggi giuste e processi giusti. I libici questo lo sanno benissimo. Gheddafi è stato l’esatto opposto, non ha portato sviluppo, non ha utilizzato le risorse della Libia per il suo popolo" (Il Corriere della Sera, 9 ottobre 2011).

Il coloniamo italiano è stato "meglio" per chi? Andiamo a vedere.

La staffetta italiana, britannica e statunitense

Nel 1911 l’Italia liberale di Giolitti aggredì la Libia. Anche allora si cercò di imbottire i crani con la dittatura da cui si doleva "liberare" i libici, a quei tempi quella della Turchia. Anche allora si prospettarono i vantaggi per i lavoratori italiani della conquista di "Tripoli, bel suol d’amore".

Cosa la conquista italiana portò  effettivamente ai libici è raccontato in vari libri, ghettizzati dall’informazione che conta, da cui abbiamo estratto le notizie, a puro titolo di esempio, riportate nella pagina successiva (1). Quanto quell’aggressione pesò nel far fallire la rivoluzione democratica dei Giovani Turchi e nel consegnare il Medioriente al colonialismo franco-britannico è scritto nei confini tracciati con la squadra che torturano  la geografia dell’area. Cosa la conquista della Libia portò alla massa dei proletari italiani, lasciando stare i pochi contadini veneti o emiliani che divennero coloni al servizio dell’imperialismo in Libia, la massa degli sfruttati itailani lo sperimentò durante  la seconda guerra mondiale, quando toccò sulla propria pelle il baratro nel quale li avevano condotti la politica coloniale (iniziata dal liberale Giolitti e continuata dal fascista Mussolini) in Libia e poi nel Corno d’Africa.

Dopo la seconda guerra mondiale, la missione dell’Italia liberale e fascista fu proseguita dalla democrazia anglo-statunitense. Gli Usa vollero sostenere a tal punto la liberazione dei popoli afro-asiatici che nel 1954, in aggiunta alle basi britanniche, costruirono l’enorme base militare di Wheelus Field, alle porte di Tripoli, uno dei centri strategici delle mene reazionarie tessute dagli Usa nella regione fino al 1969 contro i moti antimperialisti in Egitto, Libano, Iraq.

Gli Usa, la Gran Bretagna e l’Italia repubblicana nata dalla resistenza tornata a Tripoli dopo la batosta bellica vollero a tal punto favorire il progresso sociale in Libia che rinfocolarono le divisioni tribali ed installarono nel paese, formalmente indipendente, una monarchia reazionaria. Vollero a tal punto aiutare la modernizzazione economica del paese che, scoperto il petrolio, ne organizzarono l’estrazione senza permettere che i frutti delle vendite scalfissero l’analfabetismo, l’elevata mortalità, l’oppressione della donna che il colonialismo italiano aveva lasciato in dote.

Il "regresso"

Non c’è alcun dubbio che l’"oppressione" dei libici iniziò solo dopo il 1969 ad opera della "dittatura" di Gheddafi. Pensate un po’ che disastro per il popolo libico! Via le basi militari britanniche e statunitensi. Nazionalizzazione dell’estrazione e della lavorazione degli idrocarburi. Alfabetizzazione e assistenza sanitaria gratuita per tutti. Espropriazione delle terre e delle imprese in mano alla colonia di italiani impiantitisi in Libia durante il fascismo. Costruzione (con una spesa di 25 miliardi di dollari) del grandioso acquedotto Great Made-Man River con cui l’acqua  depositata nel sottosuolo del Sahara in un lago fossile grande quanto la Germania viene portata per oltre 4000 chilometri sulla costa, dove vive il 70% della popolazione, per usi civili e per lo sviluppo agricolo. Incoraggiamento delle iniziative volte a ridurre ’influenza della tradizionale organizzazione tribale nella vita sociale e politica del paese. Partecipazione ai tentativi di costituire federazioni tra gli stati liberati dal colonialismo in Africa e Asia. Sostegno alla lotta contro l’apartheid in Sudafrica. Rifiuto di cedere fino in fondo, dopo quindici anni di embargo e di bombardamenti, ai diktat finanziari e politici dell’imperialismo, con il mantenimento, ad esempio, al 90% della quota dei proventi che le multinazionali petrolifere devono cedere allo stato libico e con l’impertinenza, udite udite, di fornire appoggio finanziario e politico al tentativo di coordinare le politiche economiche degli stati africani per formare gli Stati Uniti d’Africa.

Come potevano gli imperialisti (i veri dittatori del mondo) e i settori più servili delle classi dirigenti locali a loro affittati (i principali protagonisti della cosidetta "rivolta di Bengasi") continuare a tollerare questa oppressione? Come potevano farlo dopo la caduta, all’inizio del 2011, dei loro fantocci Ben Ali e Mubarak in Tunisia e in Egitto?

In pochi giorni?

Che l’ostacolo per i dittatori al potere a Roma, Londra, Parigi e Washington non fosse rappresentato semplicemente dall’individuo Gheddafi, lo ha dimostrato il corso delle operazioni militari in Libia. Se era vero che un popolo intero si stava ribellando a un odiato dittatore, perché  ono occorsi mesi e mesi di bombardamenti Nato? Il fetido filosofo francese Bernard-Henry Lévy, dopo aver dato fiato alle trombe per la secessione del Sudan meridionale e aver rovesciato calunnie su calunnie contro il popolo palestinese, s’è industriato per spronare il consenso dell’opinione pubblica francese dicendo che in pochi giorni la Nato avrebbe avuto ragione di Gheddafi, sostenuto, per un tozzo di pane, solo da "qualche mercenario dell’Africa sub-sahariana, da trecento poveracci mal armati".

Altro che pochi giorni! In realtà, il soggetto da piegare era la maggioranza della popolazione libica, di cui bisognava distruggere il morale, per costringerla alla resa, per punirla del fatto che aveva partecipato alla grande sfida contro l’Occidente diretta dal suo presidente della repubblica. I bombardamenti (chirurgici naturalmente...) all’uranio impoverito di marzo, aprile, maggio, giugno, luglio non sono bastati. Non è bastata la distruzione della rete di distribuzione dell’acqua nelle città costiere con le conseguenze sanitarie e agricole che si possono immaginare. Non è bastata la distruzione della raffineria di Berqa e il taglio dei rifornimenti di benzina a Tripoli, mentre il petrolio estratto dai pozzi della Libia orientale era esportato e venduto, in cambio di armi, dal Cnt con l’aiuto del Qatar e delle flotte Nato. Non è bastata la distruzione di ospedali e scuole e centri associativi.

Ad agosto, i terroristi della Nato hanno dovuto inviare direttamente sul terreno i loro rinforzi dal Qatar e, in ottobre, hanno avuto bisogno di assassinare Gheddafi, così da lanciare un monito alle masse lavoratrici della Libia e dell’intero Sud del mondo: non vi azzardate a resistere ai nostri piani, non vi azzardate a desiderare un destino diverso da quello da noi prestabilito per voi e per il mondo. Il fascismo aveva fatto qualcosa di diverso con Omar al Mukhtar?

Conquistata Tripoli, tolto di mezzo Gheddafi, per i libici è arrivata, dicono i mezzi di informazione ufficiali, la tanto attesa libertà. Qualcuno ha visto le scene di giubilo di massa a Tripoli? Anche qualche commentatore ufficiale ha dovuto ammettere che si trattava di pantomime organizzate dai "liberatori" simili a quella, farsesca, messa in piedi a Baghdad per festeggiare l’arrivo in città degli spacciatori di     civiltà e la caduta della statua di Saddam Hussein. Non sono stati, invece, una rappresentazione teatrale i 750 mila libici costretti ad abbandonare il paese o le loro città (50 mila solo da Bengasi) e il pogrom compiuto dai "nostri" e dai mercenari ai loro ordini contro i libici neri di Tawergha. Anche qui nessuna novità: da sempre uno dei fiori all’occhiello della civiltà europea, per garantirsi il pieno dominio   del continente africano, è quello di attizzare odi tra le genti africane, di promettere a qualche zio Tom un osso da spolpare in cambio della sua opera di killeraggio contro la lotta di liberazione della sua gente.

Se oggi qualche organismo internazionale per i diritti civili permette che si sollevi il velo su simili nefandezze è perché le potenze occidentali hanno un conto da regolare anche con i loro alleati minori, il Qatar o i prezzolati mercenari del Cnt prima di tutto, affinché, poveri picciotti, non si montino troppo la testa. Ad intascare i dividendi della pace devono esseri i veri dittatori del mondo.

Gli invalicabili limiti dell’antimperialismo borghese

L’esito della guerra non poteva essere diverso dalla vittoria della Nato. Non tanto per la disparità delle forze militari tra la repubblica di Gheddafi e la Nato. Quanto per l’isolamento politico in cui è stata lasciata la resistenza del popolo libico di Tripoli.

Dai proletari occidentali, prima di  tutto, rintanati nell’indifferenza o nell’appoggio ai bombardamenti. Ma anche dalle masse lavoratrici del Nordafrica e dell’Asia, illuse di poter modificare paese per paese o attraverso l’iniziativa dei propri stati il destino a loro riservato "spontaneamente" dalla divisione internazionale del lavoro e dalle politiche imperialistiche. Oltre che tra i popoli dell’Africa nera, che hanno denunciato l’aggressione alla Libia e manifestato contro di essa in Mali, Ghana e Sudafrica, solo in America Latina si è percepito che la missione in Libia non aveva una natura diversa dalle iniziative lanciate, finora senza esito, dagli Usa e dalla Ue a Cuba e in Venezuela in difesa dei "democratici" cubani e e dei "democratici" venezuelani. [In nota dichiarazione Chavez] Ad alimentare questa tragica illusione ha contribuito anche la politica con cui Gheddafi ha cercato di difendere il tentativo della Libia e del mondo afro-asiatico di uscire dal sottosviluppo e dall’oppressione in cui l’aveva trascinato l’Occidente.

Si può essere costretti, per rapporti di forza sfavorevoli e per accedere alle tecnologie di cui il riscatto del Sud del mondo abbisogna, a piegarsi agli imperativi dei monopoli occidentali e ad introdurre alcune misure economiche da essi richieste. Ma una coerente lotta contro l’imperialismo richiede che, parallelamente, si prepari l’unità di classe tra sfruttati di diversi paesi del Sud e tra questi e quelli occidentali, che si allarghi il cerchio dell’iniziativa auto-organizzata delle masse lavoratrici contro le centrali imperialiste e le borghesie nazionali ad esse affittate. La dirigenza della repubblica libica non ha agito in questo senso. Né poteva accadere, perché l’antimperialismo borghese, di cui Gheddafi è stato un portavoce, non prevede la distruzione delle basi dell’imperialismo. Esso può giungere, al più, a compiere qualche passo verso l’obiettivo dell’unità panaraba o panafrica ma, poi, contribuisce all’affossamento dei propri stessi sforzi con le "mosse" a cui è spinto dalla sua stessa iniziativa, centrata com’è sul ruolo primario degli stati e sull’obiettivo di inserirsi nel mercato mondiale anziché su quello di farlo saltare in aria. Quanto sia dannosa, in ultima istanza, questa politica per un pieno riscatto nazionale e sociale del Sud del mondo, lo stiamo vedendo con la Turchia e la Cina.

Pechino dispone del diritto di veto in seno al consiglio di sicurezza dell’Onu. Nella votazione sulla risoluzione 1973 (con cui è stata autorizzata la no fly zone sulla Libia) si è astenuto e, di fatto, dato il via libera all’aggressione. La Turchia l’ha addirittura pienamente sostenuta, come sta sostenendo l’assedio alla Siria, credendo di cavarne vantaggio: non si accorge di star preparando con le sue stesse mani l’affossamento del proprio tentativo di emergere come capitalismo indipendente nella sfera regionale e mondiale. Esattamente come è accaduto a Gheddafi, quando nel 2003 prese posizione a favore della guerra all’Iraq o quando accettò di partecipare al controllo e alla repressione degli immigrati che dall’Africa transitano in Libia per arrivare in Europa o quando, proprio all’inizio del 2011, espresse solidarietà a Ben Ali mentre quest’ultimo era contestato dalle piazze proletarie e popolari tunisine.

È quello sta accadendo alla Siria, in passato schierata con la coalizione guidata da Bush contro l’Iraq: lo stato siriano guidato dagli Assad pensava di trarne vantaggio o che l’imperialismo, riconoscente, l’avrebbe risparmiato.  Non è stato così. Lo sperimenteranno anche gli "ingenui" che si sono fatti rimorchiare dal Cnt libico, i quali farebbero bene a meditare sulla sorte degli albanesi che si fecero rimorchiare dall’Uck per aiutare l’aggressione della Nato al popolo serbo e ai popoli balcanici, albanesi compresi.

L’aggressione alla Libia chiama le masse lavoratrici del mondo islamico e dell’Africa a fare i conti con questa realtà. Non possono delegare ai loro governi, per quanto progressisti sul piano sociale, come fu Gheddafi, la lotta  all’antimperialismo e la costruzione di uno degli assi di questa lotta, l’unità degli oppressi oltre le frontiere statali e religiose che li divide.

Devono assumerne l’iniziativa in prima persona e organizzarla dietro l’obiettivo di colpire le basi stesse dell’imperialismo, che stanno nei rapporti sociali capitalistici. Lo intendano per tempo, per esempio, gli sfruttati del Sudafrica, la cui eroica lotta è stata sostenuta dal popolo libico: nei mesi scorsi il governo guidato dall’Anc ha votato a favore della risoluzione 1973!

E qui in Europa?

Non illudetevi, esportatori di democrazia: questa lezione non tarderà a farsi strada tra gli sfruttati afroasiatici. Avete sfondato in Libia in sette mesi. Sia se dividerete la Libia in protettorati, sia se la manterrete unita sotto un vostro governo fantoccio, sia se vi limiterete a controllare (con l’ausilio di contractors) i campi petroliferi libici e le basi militari che installerete lasciando il resto del paese a una deriva somala, qualunque sia il sistema di potere che stabilirete in Libia, sentirete attorno a voi l’ostilità e l’odio della gente "liberata" e dovrete penare ben più per andare avanti con i vostri piani in Africa.

 Noi comunisti rivoluzionari ci auguriamo che prendiate sberle sonore da chi dovrebbe essere messo sotto le ruote del vostro carro. Qualunque ne sia la bandiera. Da parte nostra continueremo a denunciare la natura neocoloniale di questa missione, a chiarire quanto essa sia rivolta anche contro i lavoratori occidentali e quanto sia interesse del proletariato occidentale appoggiare incondizionatamente la resistenza del popolo libico, dei popoli e dei lavoratori africani contro le cavallette occidentali che vogliono dominare il loro continente.

(1) Segnaliamo in particolare: A. Del Boca, Gli italiani in Libia. Tripoli bel suol d’amore, Laterza, Bari, 1986; A. Del Boca, Gli italiani in Libia. Dal fascismo a Gheddafi, Laterza, Bari, 1988; M. Degl’Innocenti, Il socialismo italiano e la guerra di Libia, Editori Riuniti, Bari, 1975

Scheda sulle spese militari

Per "proteggere" il popolo libico gli esportatori di democrazia hanno speso nelle operazioni militari ben 5 miliardi di euro così ripartiti. Prime stime valutano in 1,75 miliardi di euro il contributo degli Usa e della Gran Bretagna e in 500 milioni di euro quello dell’Italia. Le forze armate italiane hanno compiuto 1500 missioni, sganciato 800 bombe e missili, alcuni dei quali sicuramente all’uranio impoverito. Un’ora di volo di un cacciabombardiere costa tra i 30mila e i 65mila euro. Un’ora di navigazione della portaerei Garibaldi e del cacciatorpediniere Andrea Doria costa 100mila euro di carburante.

(Dal sito di Peacelink e dal sito del Ministero della Difesa)

Che fare n.75 Dicembre 2011 - Marzo 2012

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