Che fare n.75 Dicembre 2011 - Marzo 2012
Contro la Tav! Contro il mito dell’alta velocità !
Se la questione della Tav ha raggiunto l’"onore" delle cronache, lo si deve solo ed esclusivamente al movimento di lotta popolare che da anni si sta battendo contro la realizzazione della "grande opera". Senza di esso in Val di Susa sarebbe già stato compiuto un ennesimo sfregio sociale ed ambientale nel silenzio interessato dei mezzi di comunicazione.
Questo movimento, che si è distinto per il costante sforzo di entrare in contatto con altri (anche distanti geograficamente) movimenti di lotta cercando in essi i propri alleati di lotta (quello contro le discariche nel napoletano, quello dei pastori sardi, i comitati dei terremotati di L’Aquila, la mobilitazione contro l’ampliamento della base di Vicenza o le iniziative operaie in difesa dei posti di lavoro), ha combinato la sua azione militante con l’altrettanto importante opera di denuncia degli effetti che la Tav avrebbe sull’ambiente e sul tessuto sociale della valle piemontese, sui suoi costi faraonici e sul miliardario giro di appalti e subappalti intorno a cui si è costruito un solido (e sordido) grumo di interessi che vede avviluppate grande finanza, grandi aziende, apparati pubblici, cricche parlamentari fino ad arrivare alle sempre possibili "infiltrazioni mafiose".
La caparbia battaglia del movimento no-Tav e la sua capacità di aver saputo resistere con fermezza e intelligenza ad una lunga campagna di aggressione fatta di calunnie giornalistiche e utilizzo degli apparati repressivi dello stato hanno, inoltre, fatto emergere quanto i lavoratori e la gente comune possa contare solo sulla propria iniziativa diretta, di massa, per far valere le proprie ragioni contro la rete di interessi che avvolge i grandi progetti infrastrutturali già messi in cantiere o da elaborare per la realizzazione della "Grande Europa" della Bce.
Le infrastrutture della fabbrica planetaria
Tali interessi non sono solo quelli che muovono il conglomerato affaristico-politico-speculativo che ha allungato i propri artigli sugli appalti. Ve ne sono anche altri, in parte intrecciati con quelli, ancora più di fondo e decisivi. Per discuterne, può essere utile tornare su cosa è la linea Tav.
Si tratta di una infrastruttura che taglia (dovrà tagliare) orizzontalmente l’Europa da Ovest ad Est e verticalmente da Nord a Sud all’interno di due "corridoi"(1): il "corridoio" numero 5, che da Lisbona, all’estremità atlantica della penisola iberica, arriva fino a Kiev, in Ucraina, lungo la direttrice Lisbona-Barcellona-Lione- Torino-Milano-Venezia-Trieste; il "corridoio" numero 24, che coinvolge l’Europa del Nord e collega Rotterdam con Genova. Queste infrastrutture, non a caso classificate tra le prime 5 opere strategiche per l’Unione Europea, servono a rendere più competitivo l’intero capitale europeo velocizzando il trasporto delle merci e dei semilavorati da una zona all’altra del continente.
Questa esigenza deriva dalle grandi trasformazioni economiche e sociali che, anche sfruttando gli ultimi ritrovati nel campo dell’elettronica e dell’informatica, hanno rivoluzionato il panorama della produzione industriale negli ultimi trenta anni. Oggi si può ben dire che una fabbrica è composta da reparti distanti anche migliaia di chilometri l’uno dall’altro.
Pensiamo, ad esempio, ad un’automobile. Il motore si costruisce (poniamo) in Polonia, il sistema del cambio in Germania, quello frenante in India, il tutto poi si assembla in Italia. Affinché la "nostra" vettura sia competitiva sul mercato e porti profitti all’azienda a un tasso adeguato, è necessario che in ogni stabilimento si lavori a ritmi asfissianti, azzerando qualsiasi tempo morto affinché ogni secondo sia impiegato "produttivamente". Questo però non basta. È altrettanto necessario che i pezzi viaggino velocemente tra un reparto e l’altro. All’interno di un moderno stabilimento industriale i carrelli e i nastri trasportatori muovono velocemente un semilavorato da un reparto all’altro: la Tav è un carrello che sposta i pezzi lungo i reparti della moderna fabbrica dislocata su aree continentali e mondiali.
Alta velocità nella circolazione, nella produzione, nella vita sociale
La competitività dell’Europa è strettamente legata alla competitività dei paesi che ne fanno parte e viceversa. I paesi che non saranno in grado di farsi carico della realizzazione di queste infrastrutture, rischiano di essere tagliati fuori o di essere ridotti ad un rango minore e subordinato rispetto ai paesi dell’Unione che saranno in grado di farlo.
Questo vale anche, ovviamente, per il capitale italiano(2), che vede nella Tav e nel "corridoio" 5 un trampolino verso la sempre più emergente Russia e, allo stesso tempo, un ottimo mezzo per rafforzare la partnership con la Francia e l’integrazione con l’apparato industriale tedesco. Di fatto, il sistema produttivo italiano è diventato in questi ultimi quindici anni una specie di indotto di medio-alto livello della grande industria automobilistica, meccanica e chimica della Germania, a cui è vincolata una buona parte delle piccole e medie aziende dislocate sulla dorsale che dal Piemonte attraversa la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Veneto per scendere fino alle Marche.
Un sistema che ha bisogno di moderni ed efficienti collegamenti. Il Corridoio 24, invece, permetterebbe al capitale italiano una più profonda penetrazione nelle economie del Nord Europa e, attraverso il porto internazionale di Rotterdam, una proiezione sui mercati globali.
Vari studi condotti dal movimento no-Tav sostengono che il tratto Torino-Lione è obsoleto e strutturalmente inadatto a consentire un grande sviluppo del trasporto merci e quindi poco utile agli stessi specifici obiettivi del capitalismo italiano. Vista la serietà dell’approccio di tali studi può darsi che ciò sia vero, che il tracciato sia poco adatto o sia diventato poco efficiente per l’allungamento dei tempi di realizzazione causato dalla lotta No-Tav, e che non lo si voglia abbandonare solo per la pressione del grumo affaristico-politico-speculativo consolidatosi intorno alle opere di sbancamento della tratta e della volontà dello stato italiano di dare uno schiaffone a chi si oppone ai deliri del capitale. Il problema di base resta, in ogni caso, lo stesso: l’alta velocità è una indiscutibile necessità del capitale europeo. Ed essa è un’altrettanto indiscutibile attacco alla classe lavoratrice e all’ambiente, pur se realizzata con opere di minore impatto ambientale immediato. Lo è perché è l’altra faccia, complementare e necessaria, del "modello Marchionne".
I tempi di produzione e circolazione delle merci devono essere ultracompressi, ad essi deve essere ossessivamente adeguata l’esistenza degli individui e la vita sociale. Produrre correndo come forsennati, vivere correndo come forsennati. Nessuno spazio alle relazioni sociali e umane, ma tutto concentrato intorno alla produzione delle merci. La scienza e la tecnologia, anziché sollevare l’uomo dalla fatica e dall’ansia, devono essere sempre più rigidamente e totalmente asservite al profitto e quindi divenire strumenti di crescente oppressione e di schiavizzazione del lavoratore.
Note
(1) Con il termine di "corridoio" si fa riferimento ai progetti di reti multimodali (ferrovie, strade, oleodotti) per il trasporto di merci e persone che connettono le infrastrutture dei paesi dell’Europa centrale con quelli dell’Europa dell’Est e del bacino del Mediterraneo.
(2) Spesso si sottolinea come, anche per motivi storici legati al peso economico e politico della Fiat, l’Italia sia uno dei paesi europei in cui il trasporto merci viaggia di più sui camion. Nonostante questo, il parco ferroviario è composto da 10mila carrozze viaggiatori a fronte di 50mila carrozze merci. Questi numeri indicano quanto anche in Italia sia importante il ruolo del
treno per la movimentazione dei manufatti industriali.Che fare n.75 Dicembre 2011 - Marzo 2012
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