Dal Che Fare n.° 74 giugno ottobre 2011
Riceviamo e pubblichiamo
Dal lager di Manduria
Negli ultimi giorni, Manduria, piccola cittadina nella provincia di Taranto, si è trasformata di colpo nel Tennessee del Ku Klux Klan. Da quando vi hanno costruito nelle vicinanze un campo per gli immigrati, sbarcati a Lampedusa giorni addietro, vi girano indisturbati gruppi di uomini che, a piedi o in macchina, perlustrano il territorio alla ricerca di immigrati da catturare e riportare nel campo. Il loro obiettivo sono, infatti, gli immigrati fuggiti dal campo. Li cercano ovunque, nelle stazioni, nei cortili, sotto i ponti, nelle campagne. Quando li trovano, li circondano, avvicinandosi in gruppo, e poi li assalgono, trascinandoli con la forza nelle macchine o nei furgoni. E, dopo, li vanno a scaricare dentro il campo di Manduria, consegnandoli direttamente nelle mani delle forze dell’ordine, spesso davanti al questore di Taranto o altre autorità, che non si scandalizzano affatto dell’attività dei rondisti. Anzi, li incoraggiano con pacche sulle spalle, facendo magari - per scrupolo! qualche raccomandazione: "Oh, mi raccomando, eh, non menateli, perché poi è un casino" (si veda su youtube il dialogo registrato dalle telecamere di una Tv locale, Telerama).
Come se non bastasse, a questo scenario inquietante si devono aggiungere le immagini da far west: i poliziotti a cavallo, che percorrono in lungo e in largo la campagna circostante la tendopoli. Anche loro alla ricerca dei "fuggiaschi". Percorrono i campi a galoppo, e poi – quando li trovano - trascinano nel campo gli immigrati. Spesso fanno anche dei giri attorno al campo, per intimidire gli immigrati che ancora stanno dentro. Il pomeriggio del 2 aprile scorso, vari gruppi antirazzisti pugliesi decidevano di fare la prima manifestazione davanti al campo, per solidarizzare con gli immigrati reclusi e per porre uno stop alle barbarie quotidiane a Manduria. Davanti ai cancelli della recinzione - ancora non così solida - del campo si erano allineati tutti gli agenti di polizia, alcuni in tenuta antisommossa. Iniziava una trattativa con i dirigenti della questura per far entrare una delegazione dentro il campo. Inizialmente, si riceveva un "no" secco, senza alcuno spazio di trattativa. Davanti al rifiuto, alcuni hanno preso i cellulari e hanno iniziato a chiamare i giornalisti, altri contattavano i compagni di altre città, e altri ancora si disperdevano lungo la recinzione per cogliere l’opportunità di avvicinarsi e riuscire così a parlare con gli immigrati che si trovavano dall.altra parte.
La maggior parte, però, decideva di insistere per entrare (anche con qualche spintone) e non si spostava dal cancello di ingresso. Dopo pochi minuti, da dietro il cancello del campo si radunavano, in un lampo, circa mille immigrati. Tutti quelli che c’erano dentro. Senza alcuno sforzo hanno spinto il cancello e lo hanno buttato giù. I poliziotti, colti di sorpresa e stretti tra i due (ormai grandi) gruppi di contestatori (manifestanti antirazzisti da un lato e immigrati dall’altro), non sono intervenuti.
Al grido di "liberté, liberté" è avvenuto l’incontro. Tutti, manifestanti italiani e stranieri, si sono abbracciati e hanno pianto di gioia. Mezz’ora di fratellanza universale, mezz’ora di socialismo a Manduria. Le lacrime, però, piano piano, hanno lasciato lo spazio alle domande.
Così, abbiamo saputo che la maggior parte degli immigrati trasferiti da Lampedusa a Manduria sono tunisini, anche se non mancano i sudanesi, etiopi o della Costa d’Avorio. Tutti maschi, tutti giovani. Parlano quasi tutti il francese ed alcuni anche 3 o 4 lingue. Molti hanno finito l’università. E anche quelli che non hanno fatto l’università, perché poveri, hanno comunque fatto dei corsi per diventare programmatori web. Mohammed Ali, un ragazzo di 26 anni, mostra alcuni video sulla vita nel campo, registrati con il suo cellulare di nascosto, perché le riprese video nei campi per immigrati sono vietate. Ma ci sono anche le immagini delle proteste in Tunisia, i segni delle torture sul suo corpo, fatte dalla polizia tunisina durante e dopo la cacciata di Ben Ali. E poi le immagini del viaggio dalla Tunisia, della vita nel lager di Lampedusa e anche l’allucinante viaggio sulla nave che lo ha trasportato da Lampedusa a Taranto: più di mille persone costrette a stare in piedi per tutto il viaggio nella stiva del traghetto, come gli schiavi di una volta.
Tutte le altre zone della nave erano off limits per gli immigrati ed, infatti, erano circondate con nastri speciali dalla polizia. Alcuni degli immigrati, dopo aver preso contatti e accordi con i manifestanti, hanno deciso di allontanarsi attraversando una campagna che – ironia della sorte! – si chiama "contrada Tripoli", altri hanno deciso di rientrare nel campo, nella speranza di ottenere un permesso di soggiorno, e altri, invece, si sono sistemati vicino al campo, ma fuori dalle recinzioni: "Noi non siamo bestie. Sappiamo organizzarci. Non voglimo stare in carcere. Abbiamo fatto la rivoluzione, noi".
Al momento dei saluti, dopo aver abbracciato nuovamente "les camarades italiens", un ragazzo tunisino ha chiesto di avere una bandiera rossa. L’ha sistemato sulla spalla e si è allontanato con i suoi compagni. Quella bandiera rossa è sembrata tornare ad essere, in un mondo ostile, l’unico appiglio di chi non ha più nulla.
Da quel giorno, gli immigrati del campo di Manduria hanno conquistato la libertà di uscire in ogni momento dal campo, senza impedimenti. I rondisti ci sono ancora, ma, con il sostegno del Confartigianato e della Confindustria, si stanno ri-organizzando in "Comitati per la sicurezza e la tutela del Quieto Vivere". Ignari del fatto che il loro "quieto vivere" è giunto proprio al termine.
Dal Che Fare n.° 74 giugno ottobre 2011
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA