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Dal Che Fare  n.° 73 dicembre 2010  febbraio 2011

Si incrina il mito della "protezione civile" tra i terremotati abruzzesi.

Segnaliamo due video: “Sangue e cemento” del "Gruppo zero"[?] e “Draquila” di Sabina Guzzanti. I due documentari parlano del  terremoto che ha colpito le popolazioni abruzzesi nell’aprile del 2009.

 I video contengono un’interessante e ben documentata denuncia su almeno due importanti questioni. 1) Il business della ricostruzione guidato dal governo e da quella fitta rete di interessi economici e politici che da sempre prosperano sulle disgrazie (cosiddette) “naturali”.2) Il fatto, noto da secoli, che la zona aquilana è ad altissimo rischio sismico e che, però, nonostante ciò, negli ultimi decenni si è fatto di tutto per orientare proprio sulla faglia sismica l’espansione edilizia nella zona e gli affari ad essa connessi. Nei due video vengono, inoltre, messe in rilievo le criminali deficienze della “protezione civile” nel trascurare artatamente ogni sintomo che preannunciava il probabile arrivo delle scosse telluriche nei mesi e nei giorni immediatamente antecedenti la tragedia. Sull’azione della “protezione civile” il documentario della Guzzanti mostra, in realtà, qualcosa in più.

Esso fa ben vedere come, nei giorni immediatamente successivi al sisma, l’azione della “protezione civile” sia stata percepita dalla massa dei terremotati come un’imponente mano amica. Una sorta di “gigante buono” prontamente messosi al servizio della popolazione e a cui si è ben disposti ad affidarsi. Passa però il tempo e la “gente comune” inizia a porsi domande sulle reali responsabilità dell’accaduto. Parallelamente comincia a sentire l’esigenza di discutere ed organizzarsi collettivamente nelle tendopoli per vigilare sulla ricostruzione e sul mantenimento delle tante promesse governative.  Ecco che allora la musica cambia velocemente. La “protezione civile”  “dell’eroico” Bertolaso militarizza le tendopoli, vieta  assemblee, comizi e volantinaggi. Il “gigante buono” comincia a manifestarsi per quello che realmente è: un braccio operativo dello stato e del governo la cui missione fondamentale è quella di controllare e tenere a bada la popolazione affinché la cosiddetta “ricostruzione” fili tranquilla e liscia per quella fitta rete affaristica (fatta da palazzinari, banchieri, industriali e “speculatori” vari) che ha subito visto nel terremoto una possibile e ottima fonte di arricchimento.

 Entrambi i video sono, quindi, più che utili nella denuncia delle responsabilità sociali, istituzionali e politiche che hanno trasformato il terremoto in una tragedia. Sono carenti, secondo noi, e non ne facciamo una colpa ai “produttori”, su un versante: non vengono spiegate le cause profonde delle condizioni, brillantemente denunciate, che hanno trasformato il terremoto in tragedia e, di conseguenza, rimane nebulosa la via per uscirne.

È vero che si mettono all’indice gli interessi speculativi dei comitati d’affari (bene individuati) che negli anni si sono andati consolidando. Ma appunto, se la denuncia è circostanziata e ben fatta, resta in una sorta di nebulosa il meccanismo su cui si basano tali rete di interessi sfruttatori. Proprio a causa di tale carenza, i video finiscono per paventare il contrasto tra un capitalismo “corretto” da sostenere, esemplificato da quello moderno giapponese capace di organizzare la difesa preventiva dai sismi, ed uno “speculativo” da condannare, esemplificato da quello straccione italiano.

Tale contrapposizione non regge.

Bisogna domandarsi: cos’è che costringe le persone all’urbanizzazione “selvaggia”? cos’è che fa sì che il profitto prevalga sulla cura della vita e della salute della gente? è solo colpa degli “speculatori” o è responsabilità di un sistema sociale di cui la “speculazione” è una faccia inscindibile da quella degli “affari corretti e puliti”?

Su questi punti rimandiamo ai nostri volantini e articoli presenti sul sito e ad alcuni scritti (anch’essi presentati sul sito) di A. Bordiga.

 Un cenno a parte lo riserviamo ad un’altra importante denuncia contenuta soprattutto nel video “Sangue e cemento”.

Si spiega (e si dimostra) come in Giappone, recentemente, terremoti anche più pesanti di quello abruzzese non abbiano causato vittime e siano stati forieri di limitati danni alle cose. Tutto verissimo. 

Perché allora tali tecnologie non sono adoperate anche qui (e ovunque)? È colpa della natura stracciona ed arruffona dell’imperialismo italiano? In parte questo elemento esiste, ma non è un dato “genetico”, bensì deriva dalla posizione che l’Italia occupa nella gerarchia imperialista e capitalista e da come si è dato storicamente lo sviluppo borghese ed industriale nel “bel paese”.

Il caso Giappone dimostra che le tecnologie per limitare (e di parecchio) i danni in teoria esistono. Il fatto è che, stante il capitalismo, tali tecnologie non possono essere generalizzate. In altre parole, se il Giappone  investe tanto per limitare i danni da “sisma” lo fa per due motivi. 1) È vero che nel capitalismo le tragedie per “la gente” si trasformano in affari per i borghesi, ma là dove tali tragedie rischiano di essere troppe e continue (il Giappone è una delle terre più sismiche e più densamente popolate al mondo) il rapporto costi/benefici si inverte e rischia di compromettere la tenuta stessa del sistema di sfruttamento capitalistico, sia socialmente che nella concorrenza internazionale. Sistemi analoghi a quelli giapponesi sono utilizzati anche in California e, in misura molto più limitata, in Messico e Turchia (tutte zone “eccessivamente “sismiche). 2) Il Giappone può investire “contro i sismi” proprio perché (in base al meccanismo dello sviluppo combinato e diseguale che domina il sistema imperialista mondiale) in tantissimi altri paesi (e qui non si pensi tanto all’Italia) una scrollatina di spalle della natura provoca vere e proprie stragi. Inoltre, come, ad esempio, dimostra il disastro abbattutosi sulla popolazione di New Orleans (l’uragano Katrina), anche nei paesi al vertice della piramide imperialista, il modo di produzione e di organizzazione capitalista si dimostra inefficace nel tutelare la vita della gente comune di fronte ad “eventi naturali”.

Sul secondo punto, come scrivevamo in un nostro volantino, “c'è una sola via per impedire che in futuro si ripetano tragedie come quella aquilana: la lotta  organizzata  dei  lavoratori  con cui imporre a viva forza al governo, alle aziende, alle istituzioni e al loro codazzo di tecnici e scienziati "super-esperti" l’adozione di reali ed efficaci misure (a cominciare dalla qualità dei materiali usati) di prevenzione sismica a carico delle imprese…

Senza una simile prospettiva di lotta non si va da nessuna parte. Questo è e deve essere un inizio. Infatti una piena e stabile tutela della specie umana dalle “intemperanze” della natura non può dipendere solo dalla tecnologia, ma da un modo completamente diverso (e inattuabile in regime di mercato e profitto) di intendere e praticare la vita sociale e lo stesso rapporto con la natura. Ad esempio, il vivere in milioni addensati come sardine in orrende (anche se a volte luccicanti ed “efficienti”) megalopoli, piazzate per di più in zone altamente sismiche, espone l’uomo a rischi incalcolabili… Si tratta di applicare le tecnologia, ma in un contesto di relazione uomo-natura che ne massimizzi (esattamente al contrario di quanto avviene e può avvenire nella società capitalistica) gli effetti benèfici.

Dal Che Fare  n.° 73 dicembre 2010  febbraio 2011

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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