Dal Che Fare n.° 73 dicembre 2010 febbraio 2011
Kragujevac/Mirafiori, Tychy/Pomigliano...
Uno degli aspetti più rilevanti del piano Marchionne è il ruolo assegnato alla “ex” Zastava di Kragujevac. Nel luglio 2010 la Fiat ha annunciato di voler produrre a Kragujevac un’auto, la , in precedenza assegnata a Mirafiori. Immediate e tante sono state le prese di posizione su questa decisione. Noi, che avevano già discusso di cosa bollisse in pentola nel numero precedente, con il presente articolo, vogliamo, soprattutto, analizzare le reazioni dei lavoratori, in Serbia e in Italia.
Appena la Fiat ha annunciato l’assegnazione della produzione della ? allo stabilimento serbo, “improvvisamente” la città di Kragujevac è diventata “famosa” anche qui da noi e agli occhi dei lavoratori italiani. Una città che (come era accaduto a tutta la “ex”-Jugoslavia) era stata bombardata nel 1999 dagli aerei “umanitari” della Nato con tanto di bombe all’uranio impoverito (le quali, oltre a distruggere la fabbrica Zastava, hanno contaminato, e chissà per quanto tempo, il terreno e l’acqua), lasciando gli operai e la popolazione in una condizione durissima. Non ci stancheremo mai di sottolineare che di questa vicenda, i lavoratori e i proletari italiani, tutti, devono “fare tesoro”, soprattutto, per il futuro: si paga a caro prezzo l’atteggiamento di distacco o di esplicito appoggio verso la guerra condotta dal proprio governo e dai propri padroni contro i lavoratori e i proletari di altre nazioni! La “contingente necessità” con cui Cofferati giustificò la partecipazione del governo D’Alema all’aggressione alla “ex”-Jugoslavia è stata una pugnalata alla schiena non solo dei lavoratori serbi e jugoslavi tutti ma anche di quelli italiani.
Fatta questa premessa, che era d’obbligo fare anche per non dimenticare da dove si parte in questa vicenda e i significati che essa necessariamente richiama e comporta, veniamo, dunque, agli ultimi avvenimenti.
L’annuncio dell’investimento della Fiat alla ex Zastava di Kragujevac ha ridato un minimo di “speranza” ai lavoratori serbi. Nei fatti, dopo ad anni e anni di guerra, embargo, disoccupazione di massa, e, in molti casi, di estrema povertà, sapere che “la fabbrica sarebbe ripartita” non poteva che ingenerare “ottimismo” e, appunto, “speranza”. Un operaio della ex-Zastava intervistato da la Repubblica (27 luglio) ha amaramente dichiarato: “Trent’anni fa non mi sarei mai immaginato che la vita potesse andare indietro invece che avanti”. Se questo è vero, è altrettanto vero, però, che l’investimento della Fiat non viene visto come “un regalo”, tutt’altro! È sempre lo stesso operaio a parlare: “So che sono uno strumento, non sono stupido. Fiat è qui per guadagnare non per migliorare la mia vita. Ci pagano poco, in fabbrica tra di noi ci lamentiamo. E magari tra 15 anni perderemo il lavoro a favore di una fabbrica a basso costo in Africa. Ma dopo tutto quello che ho passato, non penso al domani. E mi tengo stretti i miei 400 euro”. Questo è il sentimento, dunque, dei lavoratori di Kragujevac e da qui, in ogni caso, si riparte anche per noi.
Lo stesso sindacato dei metalmeccanici serbi Samostalni (2) ha avuto una posizione dignitosa. Non solo ha immediatamente criticato la posizione della Fiat non appena sono circolate sulla stampa la dichiarazione con cui Marchionne giustificava lo spostamento della produzione della da Mirafiori a Kragujevac: “Ci fosse stata serietà da parte del sindacato [italiano], il riconoscimento dell’importanza del progetto, del lavoro che stiamo facendo e degli obiettivi da raggiungere, con la certezza che abbiamo in Serbia (3), la LO l’avremmo prodotta a Mirafiori. Dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni di attività” (la Repubblica, 22 luglio 2010). In un comunicato del 23 luglio, Samostalni ha affermato: “Il sindacato della Zastava vede in questo girotondo di annunci il tentativo dividere i lavoratori dei nostri due paesi e invita all’unità di tutti i lavoratori del gruppo Fiat”. Un chiaro messaggio politico ai lavoratori italiani, ben diverso, invece, dagli starnazzamenti che si sono avuti qui da noi sul non voler “essere trattati” come i lavoratori serbi o polacchi. Airaudo, segretario della Fiom, ha dichiarato a il manifesto del 23 luglio 2010: “Dice tutto il primo consiglio di amministrazione della Fiat che si è svolto l’altro giorno negli Usa. Ormai Mirafiori, la culla del gruppo, viene trattata come un qualunque stabilimento estero, da Tychy in Polonia alla serba Kragujevac”. Già, una dichiarazione dice tutto su quanto la Fiom sia guidata da un indirizzo agli antipodi di una coerente difesa degli interessi proletari!
Sappiamo bene, e non ce lo dobbiamo nascondere, che queste posizioni non appartengono solo ai dirigenti della Fiom ma sono presenti nella gran massa dei lavoratori italiani della Fiat, così come, nella sostanza, nell’intero proletariato italiano e occidentale. Sappiamo bene che decenni e decenni di “monopolio” del lavoro industriale da parte dei paesi imperialisti occidentali ha “abituato” gli operai di questa parte del mondo a ritenersi, in qualche modo, “diversi”, se non proprio, “superiori” rispetto agli altri operai delle altre nazioni del Sud e dell’Est del mondo. Ora che questo “monopolio” sta venendo meno, “grazie” allo sviluppo della produzione industriale mondiale anche in Asia e in America Latina e in Africa, nascono, come vediamo, i problemi e si vive una sorta di sbandamento generale, quasi paralizzante, e non si sa in che modo e su quale piano poter dare una riposta al nostro nemico di classe!
Un ulteriore riscontro della difficoltà che sta vivendo il lavoro salariato in Italia, lo si è avuto in un incontro del primo settembre 2010 avvenuto a Roma tra la direzione nazionale della Fiom e alcuni rappresentati del sindacato serbo Samostalni, invitati in Italia non, comunque e direttamente, dalla Fiom stessa ma per un ciclo di conferenze e dibattiti sugli ultimi avvenimenti legati alla “vicenda Fiat”. Ebbene, mentre in un paio di dibattiti pubblici all’interno di “feste popolari” svoltesi in Friuli, i delegati serbi sono stati accolti con attenzione e partecipazione, un clima ben diverso si è respirato nell’incontro con la direzione nazionale della Fiom. In questo caso, l’incontro è stato poco approfondito e senza effettivi riscontri pratici per l’impostazione di un minimo di rapporto di collaborazione internazionale sul piano politico-sindacale!
L’incontro, inoltre, è stato debitamente nascosto ai lavoratori italiani! Non un comunicato, né un documento di valutazione, infatti, è stato emesso e fatto circolare dopo questo incontro. Non solo: ma la delegazione del sindacato serbo non è stata nemmeno invitata alla “conferenza stampa” che la Fiom aveva organizzato nello stesso giorno dell’incontro con il Samostalni per indire la manifestazione nazionale del 16 ottobre! Perché la Fiom si è comportata in questo modo? Perché non ha “approfittato” della presenza del sindacato dei lavoratori serbi in Italia per farlo partecipare e, anche, farlo intervenire alla “conferenza stampa”? Non era questa una buona occasione per far sapere a tutti, pubblicamente, e soprattutto ai proletari italiani, che la manifestazione si doveva caratterizzare anche su un piano più generale e internazionale? Di che cosa si aveva (e si ha) paura? Perché l’incontro con i rappresentanti serbi è stato tenuto “nascosto”? Perché il sindacato serbo, che si è dimostrato sicuramente più sensibile e ha gettato, sin dall’inizio, dei ponti verso i lavoratori italiani, non è stato invitato, ad esempio, a parlare dal palco di Piazza San Giovanni? Il giorno successivo l’incontro, Zoran Mihajlovic segretario del Samostalni, ha dichiarato in un’intervista a il manifesto “Ci teniamo a sottrarci dal gioco sporco che vorrebbe schierare operai contro operai (...) Naturalmente abbiamo bisogno di lavoro come il pane, ma non togliendolo ad altri lavoratori.”
Il comportamento della Fiom nasce dall’ostinazione con cui si continuano a vedere i lavoratori serbi o polacchi (così come quelli del resto del mondo) non come possibili e futuri alleati di un fronte comune internazionale di lotta ma come concorrenti (“sleali”, oltre che “arretrati” sul piano sindacale...). Purtroppo, la logica “dell’ognuno deve vedere e risolvere i propri problemi a casa propria” è ancora forte e maggioritaria nel proletariato. Ma questo atteggiamento come può fronteggiare l’offensiva della piovra capitalista che sfrutta, divide e mette in concorrenza i lavoratori di paesi e continenti diversi? Ben che vada, esso, in Italia, riesce a mantenere (in una sorta di “arrocco” suicida) solo, all’immediato, alcune posizioni e alcune “cittadelle” ma, alla fin fine, è destinato a a favorire il pesante balzo all’indietro della condizione proletaria a cui punta il padronato italiano. È ancora forte l’illusione che, una volta passata la bufera, si potrà, di nuovo, “tirare il fiato” e si tornerà, anche accettando qualche arretramento sostanziale, a quello che, più o meno, si faceva prima della crisi del 2008, sia sul piano sindacale che su quello dei rapporti con le “istituzioni dello stato”. La realtà è cambiata e sta cambiando velocemente.
Per questo, noi invitiamo tutti coloro che oggi si interrogano sul da farsi dal punto di vista politico di classe, fossero anche solo dei piccoli nuclei di operai oppure singoli proletari che non vogliono soccombere di fronte alla società del capitale, a “sintonizzarsi” prima possibile e a cimentarsi col nuovo scenario che è di fronte a noi sul piano dello scontro mondiale di classe.
È tanto? Sicuramente, sì! Ma prima lo si fa, e meglio è (e, sarà) per tutti!
(1) Il sindacato dei metalmeccanici serbi “Samostalni”, che, letteralmente, significa “Sindacato autonomo”, rappresenta la stragrande maggioranza dei lavoratori della ex Zastava oltre che di tutta la Serbia.
(2) A proposito delle “certezze” di cui parla Marchionne. Oltre agli effetti della guerra “umanitaria” e dell’embargo, esse sono sicuramente in relazione con quanto denuncia il segretario del sindacato serbo, Zoran Mihajlovic. Intervistato da il manifesto del 2 settembre, egli afferma: “Abbiamo molte cose in comune con voi: in Serbia stanno passando tre leggi che colpiscono le pensioni il lavoro e (guarda caso: n.n.) il diritto di sciopero!”
Dal Che Fare n.° 73 dicembre 2010 febbraio 2011
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA