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Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010

Quel filo rosso che lega gli operai di Termini Imerese

agli operai di Kragujevac e di tutto il mondo.

Negli ultimi mesi molti organi di (dis)informazione hanno cercato di collegare la chiusura, annunciata da Marchionne, della fabbrica Fiat di Termini Imerese all’acquisizione da parte della Fiat della fabbrica della Zastava Auto di Kragujevac in Serbia. La storia parte da lontano. Parla di avvenimenti che hanno inizio (a voler rimanere all’attualità) nel 1999, con tre mesi di bombardamenti intensi da parte della Nato sulla popolazione serba. Quei bombardamenti videro lo stato italiano, con il suo governo guidato da D’Alema e le sue forze armate, in primissima fila! Con quei bombardamenti la Zastava Auto fu quasi completamente rasa al suolo dalle bombe democratiche di Clinton e D’Alema. All’epoca, nello stabilimento e nel suo indotto lavoravano circa quarantamila lavoratori .

Gli effetti dell’aggressione della Nato del 1999 sono stati pesantissimi per tutti i lavoratori della "ex"- Jugoslavia e in particolar modo per i lavoratori della Serbia: mancanza di lavoro, povertà, malattie suscitate dalle distruzioni ambientali dei bombardamenti sono stati i regali portati dalla "guerra umanitaria" di Clinton e D’Alema con la benedizione del papa "pacifista" Giovanni Paolo II. Concluso l’intervento "umanitario", la strada risultò spianata per quello successivo. Di cui le vicende dello stabilimento di Kragujevac sono un esempio.

Nell’aprile del 2008, i vertici della Fiat di Torino e dell’attuale governo serbo hanno firmato un accordo che prevede un investimento di 900 milioni di euro da parte della Fiat nella fabbrica di Kragujevac. In cambio di questo investimento, la Fiat ha ottenuto il 70% della proprietà della fabbrica, l’esenzione totale del pagamento di qualsiasi imposta per 10 anni e l’impegno da parte del governo serbo di farsi carico delle opere infrastrutturali e di bonifica dei terreni tutt’ora infestati dall’uranio impoverito (per cui oltre al danno anche la beffa di dover bonificare "loro" quello da "noi" causato!).

Questo accordo ha una valenza "strategica": rafforzerà sia la Fiat che il capitale italiano verso il mercato russo, visto che tra la Serbia e la Russia ci sono accordi commerciali che prevedono il non pagamento di dazi doganali di importazione tra i due paesi.  A tutto questo va aggiunto che il salario medio di un operaio serbo è di 250 euro mensili ! La Fiat si è impossessata dell’intera fabbrica (che non a caso nel prossimo futuro si chiamerà "Fiat Auto Serbia"). Attualmente ha mantenuto in produzione solo 500 operai con un contratto a tempo determinato di due mesi e 100 impiegati con un contratto di tre mesi. Tutti gli altri lavoratori, oltre 2000, sono oggi fuori dalla fabbrica e per loro si è genericamente parlato di cassa integrazione. Per completare l’opera e il quadro e, soprattutto, per far capire come essa intende esattamente procedere, la Fiat, in perfetto stile antioperaio, uno "stile" che da sempre l’ha contraddistinta nei rapporti con la classe operaia, ha nel frattempo sfrattato dalla fabbrica il sindacato metalmeccanico serbo Samostalni, che non avrà più, a differenza di prima, una propria sede all’interno dello stabilimento.

I lavoratori serbi, dopo mesi di bombardamenti e anni di miseria, oggi sono costretti a sottostare ai ricatti imposti dalla Fiat! Non è da escludere che una quota, anche consistente, degli attuali e futuri lavoratori che verranno assunti dalla Fiat a Kragujevac vedano di "buon occhio" l’investimento "italiano" nella loro nazione e nella loro città. Di questo non c’è da "meravigliarsi", visto che in alternativa alla disoccupazione non c’è nulla! D’altronde a cosa è servita l’aggressione alla "ex"-Jugoslavia del 1999, se non (come dicevamo nel "che fare" n. 65) "alla manomissione di questo paese per conquistare nuovi spazi di mercato e nuovi lavoratori di riserva per le imprese italiane"?

I lavoratori di Termini Imerese, gli operai di tutti gli stabilimenti Fiat in Italia non devono pensare né che questi lavoratori stiano "rubando loro il lavoro", né cadere nella trappola della contrapposizione contro di loro. Questo atteggiamento olierebbe quella guerra tra i lavoratori dei diversi paesi e dei diversi continenti che i capitalisti e i governi occidentali stanno promuovendo da anni, anche con le loro guerre "umanitarie". L’interesse dei lavoratori è quello di opporsi ai tentativi delle imprese e dei governi che le rappresentano di peggiorare le condizioni dei lavoratori di questo o quel paese. Qualunque ne sia il mezzo, la "bomba" dei piani imposti dal Fmi o dalla Banca Europea oppure l’aiuto "umanitario" dei proiettili all’uranio impoverito.

Se non ricordiamo male, nel 1999 la Cgil acconsentì all’aggressione alla "ex"-Jugoslavia...

Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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