Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010
La meteorologia e le guerre del capitale
Fu la guerra di Crimea (1854) a convincere i vertici militari delle potenze capitalistiche dell’importanza delle previsioni meteorologiche per la conduzione delle operazioni belliche.
Nei decenni successivi le potenze capitalistiche si diedero da fare per organizzare sistematiche osservazioni meteorologiche. All’inizio del XX secolo la massa dei dati disponibili era già enorme. Poteva essere utilizzata per le previsioni meteorologiche? No.
È vero che erano già state scoperte le leggi della fluidodinamica che governano la circolazione atmosferica generale, ma l’applicazione di tali leggi ad un sistema così articolato come quello dell’atmosfera richiedeva (e richiede) calcoli allora (e, in parte, ancor oggi) impossibili.
Un progresso sensibile venne compiuto durante la prima guerra mondiale (ci risiamo!) dal matematico inglese Lewis Fry Richardson. Introdotte alcune drastiche semplificazioni nell’applicazione delle leggi della fluidodinamica,egli mise a punto un sistema di equazioni con le quali diventava umanamente possibile compiere
limitate previsioni meteorologiche. I calcoli erano, però, ancora così laboriosi che egli propose di costituire un enorme "computer umano", una "officina delle previsioni" nella quale migliaia di persone avrebbero dovuto elaborare i dati senza tregua come in una catena di montaggio.
L’esperimento fu effettivamente realizzato dopo la seconda guerra mondiale, sotto la direzione di uno dei padri della bomba nucleare (e dei più accesi sostenitori del maccartismo nell’
establishment scientifico di quegli anni): Von Neumann. Ne fu protagonista un vero e proprio computer, il primo mai costruito, l’Eniac. Entrato in funzione nel 1945 per effettuare i calcoli richiesti dalla progettazione della bomba nucleare, nel 1950 l’Eniac si diede, per ordine dei soliti noti, alla meteorologia: con un lavoro-macchina di 10 ore circa riusciva a prevedere il tempo in una zona limitata per le successive 24 ore.Il risultato fu così apprezzabile che ricerche analoghe vennero avviate in Gran Bretagna e in Svezia. Nel giro di pochi anni, i progressi nel campo dell’elettronica e dell’informatica (impulsati dagli studi sulle bombe nucleari e dalle ricerche meteorologiche) permisero di ridurre i tempi di elaborazione e di costruire modelli più realistici. Alla metà degli anni cinquanta si giunse ad un modello per simulare la circolazione atmosferica planetaria in tre distinti centri scientifici degli Usa.
L’interesse del Pentagono, tra i promotori -visibili e invisibili- di queste simulazioni, verso la meteorologia era nel frattempo cresciuto, perché lo studio della circolazione atmosferica globale aveva aperto un’altra possibilità:
non solo la previsione ma la produzione dei fenomeni atmosferici a fini bellici.Nella prima settimana del 1958 si conclusero i lavori, durati quattro anni, dell’
Advisory Committee Weather Control, creato dal presidente D. D. Eisenhower. Nel presentare il rapporto, il capo del comitato, il capitano H. T. Orville, affermò: "Se una nazione ostile raggiungerà la posizione di controllare gli eventi meteorologici su larga scala prima che noi possiamo fare altrettanto, i risultati potrebbero essere ancor più disastrosi di una guerra nucleare". Gli scienziati Usa si misero a studiare come utilizzare le bombe nucleari per fondere i ghiacci polari, deviare le correnti oceaniche, alterare la ionosfera (responsabile delle comunicazioni inter-continentali) e addirittura pilotare le fasce di Van Allen. Agli inizi del 1958 il settimanale Newsweek (nel suo numero del 13 gennaio) giunse addirittura a parlarne al grande pubblico.Le simulazioni e i progetti di guerra meteorologica avevano, però, bisogno, oltre che di macchine più avanzate, anche di dati più completi: la raccolta di "cibo" per le simulazioni meteorologiche e climatologiche fu tra le molle che spinsero gli Usa a inviare satelliti nello spazio (nel 1958 riuscì, dopo ripetuti fallimenti, la messa in orbita del primo satellite, l’
Explorer I) e che portarono alla costruzione dell’osservatorio di Mauna Loa nelle Hawaii.Ne è stata fatta di strada, da allora! Ovviamente, le informazioni pubbliche scarseggiano. Proprio per questo, le scarne notizie e le allusioni contenute nell’articolo del generale Mini ci sembrano particolarmente significative.
Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010
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