Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010
Il governo del "fare" è al lavoro... contro i lavoratori !
Ha ragione Berlusconi ad affermare che il suo governo non è stato inattivo e si è dato molto da fare. Sì, si è dato da fare contro i lavoratori. Con un attacco concentrico che ha toccato tutti i piani della vita dei lavoratori, nelle fabbriche e negli uffici e al di fuori del posto di lavoro. Nel precedente numero del "che fare" (autunno 2009) abbiamo messo in evidenza i tasselli di questo attacco. L’opera non si è fermata. Nella nota che segue concentreremo la nostra attenzione sul mercato del lavoro e sulle pensioni. Ma anche questa volta, il "governo del fare" ha preso di mira anche altri terreni, da quello della politica estera a quello relativo alla privatizzazione dell’acqua.
Diritto del lavoro
Recentemente è stato approvato il disegno di legge 1167, al cui interno è contenuta una serie di norme che sanciscono la sostanziale impossibilità per i lavoratori di ricorrere alla magistratura del lavoro. Viene stabilito che, al momento della firma di un qualsiasi contratto di lavoro, il lavoratore dovrà recarsi davanti a una commissione formata da rappresentanti padronali e sindacali locali. A tale commissione viene attribuito il compito di "certificare" la natura e la durata del contratto di lavoro, e di "verificare l’effettiva volontà delle parti". In quel luogo e in quel momento il lavoratore dovrà impegnarsi, a fronte di possibili controversie che possano nascere in merito alla sua attività lavorativa, a rinunciare o meno al ricorso del giudice del lavoro in favore di una procedura denominata di "arbitrato e conciliazione".
Non ci vuole una grande fantasia per immaginare in che cosa questo fatto si tradurrà quando, ad esempio, un disoccupato, un giovane o un immigrato dovesse avere la "fortuna" di trovare un lavoro: sarà costretto a sottoscrivere qualsiasi tipo di "contratto individuale di lavoro certificato" (così, infatti, è chiamato questo nuovo contratto di lavoro). In questo modo, vista anche l’azione complessiva fin qui messa in atto dal governo Berlusconi (ci riferiamo, soprattutto, alla "riforma dei contratti" nella quale si prevede la deroga aziendale e territoriale alle norme contenute nei contratti collettivi nazionali), si potrà "legalmente" mettere "sotto scacco" qualsiasi lavoratore.
Se il lavoratore non intenderà accettare questa clausola capestro, c’è, in ogni caso, una riduzione della tutela giuridica fino a ieri prevista per i lavoratori di fronte al licenziamento senza giusta causa. Nel disegno di legge viene, infatti, stabilito che il giudice del lavoro non potrà più entrare nel merito sostanziale di come, ad esempio, è organizzato il lavoro, l’orario, di quali sono i ritmi produttivi, le mansioni effettivamente svolte, ecc. Il giudice potrà solo constatare se quello che è stato sottoscritto, accettato e "certificato" all’inizio del rapporto tra le "parti" è "formalmente" corretto ed è stato rispettato! Perciò, se sul contratto viene pattuito che, anche una minima infrazione commessa può costituire una "giusta causa" di licenziamento, il giudice non potrà intervenire nel merito del licenziamento, ma dovrà attenersi valutare solo se l’azione dell’impresa è stata "legittima" sulla base della certificazione pattuita "liberamente" a monte tra le due "parti".
In questo modo
si istituzionalizzano i "contratti individuali", si supera il contratto nazionale di lavoro, si manda in soffitta, senza troppi clamori, l’art. 18 dello "Statuto dei diritti dei lavoratori".Apprendistato
Sempre nello stesso disegno di legge 1167 è stata inserita una norma che consentirà di svolgere
un anno di apprendistato presso le aziende al posto della frequenza dell’ultimo anno dell’obbligo in un istituto scolastico. In stretta correlazione con questo provvedimento, la legge finanziaria 2010 ha stabilito che si potranno sottoscrivere a livello nazionale, territoriale e aziendale accordi specifici sull’apprendistato nei quali "la determinazione della retribuzione dell’apprendista sarà calcolata in percentuale rispetto alla retribuzione dovuta all’inquadramento a cui è finalizzato il contratto di apprendistato".Pertanto, ai giovani lavoratori (che già oggi devono sottostare a un sottoinquadramento di ben due livelli salariali) si potranno applicare specifiche "tabelle retributive dell’apprendistato" che, unite anche alle numerose deroghe concesse, genereranno una miriade di "contratti di apprendistato"
differenziati per tipologia aziendale e "diversità" territoriale.Staff leasing
Sempre nella finanziaria 2010 è stato reintrodotto il contratto di
staff leasing detto anche "lavoro in affitto a tempo indeterminato". Esso era stato momentaneamente accantonato nell’accordo sul welfare del 2007.Secondo questa tipologia contrattuale, il lavoratore non è alle dipendenze dell’impresa dove svolge l’attività lavorativa ma di quella fornitrice (le "agenzie interinali"). Lo staff leasing potrà essere utilizzato per servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, per attività di marketing, nei servizi di pulizia custodia e portineria, per la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, economato, per l’esecuzione di servizi di cura e assistenza alla persona e alla famiglia. E, anche qui, in tutti gli altri casi che verranno previsti dalla contrattazione nazionale, territoriale o aziendale.
Voucher
Dopo la loro introduzione e utilizzazione in agricoltura e nei servizi, i
voucher potranno essere utilizzati anche nel pubblico impiego. Quando si dice: se si apre anche solo una piccola falla nella diga...Anche le scuole, le università, gli enti locali potranno utilizzare questi buoni-lavoro prepagati, senza dover predisporre alcun contratto di lavoro. Qui si supera anche il passaggio della "commissione" che certifica il "contratto individuale di lavoro" di cui si parlava sopra. Non c’è l’obbligo per la direzione aziendale di comunicare preventivamente al centro per l’impiego l’impiego l’assunzione del lavoratore, né di tenere il "libro unico di lavoro", né, tanto meno, di applicare il contratto collettivo nazionale di lavoro in materia di orari.
Premi aziendali
Per il terzo anno consecutivo vengono confermate la detassazione dei "premi di produttività" e delle somme che le imprese elargiscono "per incrementare la produttività e l’efficienza aziendale" (fino a seimila euro annui!). In questi casi, sui soldi elargiti, al posto dell’applicazione dell’Irpef ordinaria, viene applicata un’imposta unica del 10%.
Da un lato si licenziano centinaia di migliaia di lavoratori, dall’altro il governo e il padronato
incentivano i lavoratori ad accettare ritmi produttivi più intensi e stressanti (facendo così aumentare le morti, gli infortuni e le malattie professionali) e ad allungare l’orario di lavoro con gli straordinari.Tfr
Non era bastato il tentativo di "scippo" operato in occasione della "riforma della pensione complementare" del 2007. Ora, grazie a un articolo della nuova "finanziaria", tutto il Tfr di quei lavoratori che non hanno "optato"per i fondi pensionistici integrativi di categoria, è stato dirottato dal "Fondo Tesoreria" (originariamente costituito presso l’Inps per gestire questi soldi) al "bilancio dello stato". Si dice che "non cambia nulla", ma, in realtà, una quota del salario indiretto dei lavoratori entra per la prima volta nella "spesa corrente dello stato" ed è, così, gettata nella fornace del debito pubblico, che già grava quasi per intero sulle spalle dei lavoratori, italiani e non italiani.
Di fronte alla cosiddetta "finanza creativa" e alle turbolenze dei debiti pubblici dei paesi occidentali,
ci sarà da meravigliarsi se in futuro questo salario indiretto, frutto dei versamenti di un’intera vita lavorativa, non verrà restituito?Ammortizzatori sociali
Un altro intervento messo in cantiere da governo è la "riforma degli ammortizzatori sociali". A sentire la propaganda, ci troveremmo dinanzi a una iniziativa favorevole ai lavoratori, in quanto estenderebbe la platea a cui oggi si applica la cassintegrazione. In realtà, si tratta di altro.
La "riforma" dovrebbe basarsi su due perni. Primo: essa introduce un’indennità di disoccupazione "generalizzata" per chi ha perso il lavoro (ma da essa sono esclusi i disoccupati di lunga data); tale indennità verrebbe finanziata attraverso i contributi versati individualmente dal lavoratore in questione. Secondo: la gestione degli ammortizzatori passerà dall’Inps ai nuovi enti bilaterali cogestiti da imprese e sindacati.
Sul grado di copertura economica della nuova "indennità" le stime governative sono fumose, ma siamo pronti a scommettere che, mediamente e alla lunga, si tratterà di una copertura più bassa di quella assicurata dall’attuale cassintegrazione. Il punto fondamentale è, però, un altro, ed è di natura politica.
Questa "riforma" mira a individualizzare il rapporto di ogni lavoratore verso gli ammortizzatori sociali.
Oggi, in un certo qual modo, la cassintegrazione è uguale per tutti i dipendenti di un’azienda e, per quanto drammatica, la situazione (e la lotta) può essere affrontata collettivamente. Domani, ogni singolo operaio avrà il suo "zainetto" personalizzato (meno contributi hai versato e meno prendi) e ciò renderà ancora più complicata una gestione collettiva della situazione.Inoltre, i lavoratori non dovranno più vedersela con l’azienda e l’Inps, bensì con gli organi bilaterali al cui vertice siederanno anche i responsabili sindacali. Un altro passo verso la trasformazione del sindacato in ente erogatore di servizi per il "cittadinolavoratore".
Pensioni
Il capo del governo ha più volte annunciato che si dovrà posticipare l’età di pensionamento. In attesa del momento propizio per assestare il colpo, il governo procede
all’attuazione della revisione dei coefficienti di calcolo della pensione contributiva prevista dalla "riforma del welfare" del 2007 sottoscritta tra il governo Prodi e tutti i sindacati (vero Epifani?).La "filosofia" che ha ispirato questa ennesima contro-riforma delle pensioni è la seguente: più si allunga la vita, più i coefficienti di calcolo si riducono!
Già il primo pesante taglio in vigore da quest’anno porterà a una riduzione delle pensioni tra il 6,38% e l’8,41% (secondo gli anni di versamenti effettuati e l’età di pensionamento). Non è tutto: all’orizzonte (2015) si prefigura un’altra revisione automatica di questi coefficienti di trasformazione a fronte di una certificazione da parte dell’Istat dell’allungamento dell’aspettativa di vita. Sempre da quest’anno, infine, inizia il "percorso" che porterà le donne che lavorano nel pubblico impiego ad andare in pensione non più a 60 anni ma a 65 anni. Questa riforma per il momento non riguarda le donne che lavorano nel privato, ma l’esperienza ci ha insegnato che iniziata l’opera da una parte...
Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA