Dal Dossier del Che Fare n.° 70 gennaio febbraio 2009
I maestri del calcolo economico razionale
Una delle pietre angolari della dottrina neo-liberista è l’opera di L. von Mises, Socialismo (Rusconi, 1989, ma la sua prima edizione è del 1922). La principale contestazione che in essa si muove al socialismo è di non potere adottare il calcolo economico razionale. Ad esso Mises contrappone la economia di mercato, che sarebbe il regno della "azione economica come azione razionale", la base sicura di "una società in grado di funzionare e costituita di uomini liberi" (von Hayek).
Ecco a voi una sua memorabile sentenza:
"L’obiezione fondamentale contro la praticabilità del socialismo è quella relativa all’impossibilità del calcolo economico. È stato dimostrato in maniera inconfutabile che una comunità socialista non è in condizione di applicare il calcolo economico. Dove non ci sono prezzi di mercato per i fattori di produzione a motivo del fatto che non sono né comprati né venduti, è impossibile ricorrere al calcolo per pianificare l’azione futura o per determinare i risultati dell’azione passata. Una gestione socialista della produzione semplicemente non sarebbe in grado di sapere se ciò che essa pianifica ed esegue costituisce o meno il mezzo più appropriato per ottenere i fini voluti. Essa opererebbe al buio, per così dire. Sperpererà gli scarsi fattori di produzione sia materiali che umani (lavoro). Il caos e la povertà per tutti ne saranno gli inevitabili esiti." (p. 640)
La storiella che l’azione economica razionale è possibile solo per mezzo della moneta e del calcolo in moneta l’hanno raccontata in tanti, a cominciare da Weber. Peccato, però, che il loro riferimento sia invariabilmente l’ambito angusto della singola azienda, del singolo "libero individuo", del "qui ed ora", mai assumendosi il compito di tener conto della società, della economia sociale come un tutto, e meno ancora dell’economia mondiale, o dell’"economia della specie", della vita delle future generazioni e del loro ecosistema. Tanta cattedratica prosopopea contro il socialismo si fonda solo ed esclusivamente su questa micragnosa ristrettezza di vedute. E, naturalmente, sulle armi e la violenza terroristica con cui è stato impedito al proletariato, finora, di arrivare a una "gestione socialista della produzione" sociale. Di mostrare come essa sarebbe pienamente possibile e quanto mai utile all’umanità che lavora, sulla base di un piano dei bisogni sociali autentici ed emancipativi. Una società che organizzi la propria attività avendo definito ex ante i propri scopi sociali e i bisogni da soddisfare, potrebbe "funzionare" infinitamente meglio di quella attuale, già solo usando in modo razionale, appunto, i mezzi materiali (o gran parte di essi) che il capitalismo ha saputo creare.
Dove conduca, al contrario, l’azione economica "razionale" delle "libere" imprese e dei "liberi" individui in spietata concorrenza tra loro nella gara anti-sociale a chi riesce a sfruttare meglio il lavoro vivo altrui, lo fa vedere anche ai ciechi l’indecifrabile caos in cui è sprofondata la "libera economia di mercato". Sovrapproduzione di capitali e di merci e insieme carenza di beni essenziali. Eccessiva accumulazione, e perciò necessità assoluta di allestire una nuova terribile distruzione all’ingrosso di imprese, macchinari e schiavi salariati "in eccesso". Sopralavoro da un lato, e disoccupazione di massa, dall’altro. Iperbolici profitti, e non meno iperbolici tracolli.
Con i fattori di produzione "liberamente" e "razionalmente" comprati e venduti ai loro prezzi di mercato, in mezzo ad uno sfavillio universale di grattacieli di centinaia di piani illuminati giorno e notte, siamo precipitati nel buio fitto. Dagli anni in cui il campione di umorismo sarcastico Ludwig von Mises vergò il suo Socialismo è l’ennesima volta.
Che sia anche l’ultima!
Dal Dossier del Che Fare n.° 70 gennaio febbraio 2009
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