Dal Che Fare n.° 70 gennaio febbraio 2009
Lavoratori di serie B. Non rassegnati, però
L’inchiesta della Fiom conferma una verità mai troppo illustrata e compresa: i lavoratori immigrati costituiscono la parte più sfruttata, meno tutelata, peggio pagata del settore metalmeccanico. Una forza lavoro a prezzi di saldo per il capitale italiano, a partire dall’accesso al mercato del lavoro, grazie anche alla Bossi-Fini.
Nonostante il grado spesso elevato di scolarizzazione conseguito nei paesi di origine, la maggior parte degli immigrati lavora come operaio, e raramente ha un inquadramento superiore al terzo livello. Sono i più colpiti dalla precarietà: i contratti di lavoro precario e a tempo determinato sono infatti, per gli immigrati, quasi il triplo che per i lavoratori italiani: riguardano un immigrato su quattro, uno su tre al di sotto della soglia dei 35 anni.
Sotto-inquadramento e precarietà pesano in modo determinante sull’entità del salario. Non è casuale che tra i lavoratori immigrati l’inchiesta Fiom abbia trovato gli orari di lavoro più lunghi. Né è casuale che essi siano disposti a lavorare ancora più ore… è proprio per compensare in qualche modo i bassi salari che i lavoratori immigrati fanno ordinariamente lo straordinario, e accettano più spesso l’imposizione di turnazioni notturne o di sabato, o si trovano costretti a trovarsi un secondo lavoro.
Anche per quel che riguarda gli infortuni, le morti sul lavoro e le malattie professionali, i lavoratori immigrati "godono" di trattamento speciale. Le stesse statistiche dell’Inail, che in questi ultimi anni hanno registrato una tendenziale diminuzione dell’incidenza di infortuni e incidenti mortali tra i lavoratori italiani (chissà quanto corrispondente alla realtà è tutto da vedere), mostrano contestualmente un loro aumento tra i lavoratori immigrati. Ciò si deve ai lunghi orari e ad una vera e propria segregazione in comparti produttivi, dove il lavoro è fisicamente più pesante, più insalubre, più logorante: nella siderurgia, nelle fonderie, nella prima lavorazione dei metalli e sempre più spesso, all’interno di singole fabbriche, in veri e propri reparti confino molto ben popolati di immigrati.
Benché sottoposti a molteplici ricatti, i lavoratori immigrati non cessano di rivolgersi ai sindacati: tra il 2006 e il 2007, in un solo anno, le iscrizioni tra i lavoratori immigrati sono cresciute da 687.000 a 814.000. Da anni c’è un boom di iscrizioni. È un segno chiaro e forte che non vi è rassegnazione di fronte al "destino" che i capitalisti nostrani vorrebbero riservare a loro e all’intera classe lavoratrice. Un segno che non trova una reale corrispondenza nel sindacato. Anzi. C’è tuttora un forte scarto tra gli iscritti e i delegati immigrati, e uno scarto ancora maggiore tra iscritti e dirigenti di origine non italiana. Ma soprattutto manca una seria, sistematica, militante azione contro il razzismo e le discriminazioni nei posti di lavoro e al di fuori dei posti di lavoro, che è invece sempre più urgente, specie dopo i fatti di sangue di questi ultimi mesi.
Dal Che Fare n.° 70 gennaio febbraio 2009
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA