Contro il centrismo pacifista
Mentre scriviamo non sappiamo ancora come i nostri compagni di "Combat Communiste" e dell'OCRIA in Francia hanno concretamente reagito al revival di sciovinismo metropolitano che ha invaso il paese, tanto da permettere a Marchais (cosa non nuova!) di allinearsi toto corde, nell'ora in cui la Sacra Patria è in pericolo, ai piani di emergenza del governo borghese di destra ed ai fascisti di Le Pen di occupare, unici, la piazza (nonostante il "divieto" delle autorità a manifestare pubblicamente) per sovraccaricare la dose del virus sciovinista. Non dubitiamo che i compagni faranno il loro dovere di comunisti schierandosi in modo univoco contro il proprio imperialismo, senza porre precondizioni, ivi compresa la scappatoia della distinzione in prima istanza contro il "terrorismo" per poter poi legittimare la lotta contro il "nemico in casa propria".
Per intanto, abbiamo sotto gli occhi la posizione assunta da "Lutte Ouvrière", un organizzazione trotzkista sui generis che, oltre ad essere l'unica forza del "campo rivoluzionario" decisamente orientata verso il lavoro nella classe operaia, è anche, sul piano delle affermazioni teoriche generali, quella più distante dal democratismo e/o dal terzomondismo piccolo-borghesi che costituzionalmente infestano l'area "trotzkista" ufficiale e, in generale, l'intero milieu "rivoluzionario ". Le posizione di "Lutte Ouvrière" sono, di regola sempre formalmente dignitose. Ma che ne è quanto alla coerenza rivoluzionaria? Proprio su questo vogliamo richiamare l'attenzione dei compagni perché si rifletta, al di là del caso specifico e della specifica organizzazione in oggetto, sul "valore" del centrismo, più o meno di sinistra, di fronte ai drammatici problemi che lo stato della lotta di classe internazionale pone al movimento rivoluzionario.
"No al terrorismo e no alla presenza francese nel Medio-Oriente", titola il numero del 27 settembre del giornale di LO. La demarcazione dal terrorismo come base per demarcarsi poi dal proprio imperialismo: "Bisogna dire no al terrorismo. Esso non è mai stato il metodo di lotta degli oppressi (alla faccia del Trotzkij di "Terrorismo e comunismo"!, n.n.), ma sempre quello di quanti vogliono comandare agli oppressi, agli sfruttati ed ai poveri".
E siamo ad una prima, imperdonabile deviazione dal solco del marxismo: perché ciò che caratterizza il marxismo non è il rifiuto per principio del terrorismo rivoluzionario, ma l'affermazione dell'uso della violenza e del terrore rosso centralizzati e finalizzati al programma ed all'organizzazione generali della classe operaia.
E’ pura ipocrisia denunziare prima il terrorismo dei desperados o degli affittati dalle borghesie medio-orientali sottoposte al dominio imperialista quando esso non rappresenta che una pallida, deviata (e inefficiente, certo) risposta al quotidiano, pianificato terrorismo attraverso cui governi, finanzieri e mercanti di armi del proprio imperialismo provocano fiumi di sangue innocente (per esprimerci secondo la patologica prosa umanitaria di LO).
Ed è puro escamotage lasciar intendere che "forse" dietro questa ondata terrorista può esserci la mano dei servizi segreti delle potenze imperialistiche. Diamolo pure per scontato, se può far piacere. Anche in questo caso, anzi: soprattutto in questo caso, il richiamo non può essere ad una lotta "pulita", ma alla necessità di dotare le masse oppresse del Medio-Oriente di un programma e di un'organizzazione rivoluzionari di classe; compito di cui proprio l'avanguardia metropolitana deve sapersi assumere la propria parte essenziale di responsabilità.
Solo che per arrivare a tanto occorre assumersi integralmente la causa di queste masse, non limitandosi alla denunzia delle "deviazioni" cui le costringe, in primissimo luogo, l'assenza di una risposta chiara e combattiva del proletariato metropolitano, a cominciare dalle sue "avanguardie".
Non ha senso propagandare il ritiro delle truppe francesi dal Medio-Oriente quando non si osa far chiarezza sul ruolo necessariamente offensivo del proprio imperialismo, dell'imperialismo in generale. La parola d'ordine del ritiro, ... opportunamente messa al secondo posto, assume per questa via le vesti di una propaganda pacifista piccolo-borghese. Cancelliamo (con la fantasia) il carattere imperialista della "nostra" politica governativa e saremo al sicuro dai colpi del terrorismo. No! La lotta di massa per il ritiro delle truppe francesi dal Medio-Oriente (e dall'Africa) deve essere sostanziata dalla denunzia dell'imperialismo, di ciò che esso è e non potrebbe non essere a partire dalla sua natura; deve essere lotta' contro il sistema capitalista e non inganno su una possibile "diversa politica" governativa, vellicando i sentimenti degli operai che dicono, come riporta il giornale, "Voglio la pace in casa mia, non m'importa cosa succede altrove". La Francia sta "altrove", e non potrebbe essere diversamente; la rivoluzione "degli altri" per ciò stesso sta in casa nostra; o con essa, per l'unitaria rivoluzione comunista internazionale, o contro di essa: tertium non datur.
Ci sono vari modi di cedere allo sciovinismo: uno è quello dell'adesione confessa ad esso (come nel caso del PCF, capace di saldare le esigenze della classe operai in quanto francese, in quanto parte del popolo, ad una politica schiettamente imperialista, come ha ben mostrato la sua attitudine passata verso la lotta di liberazione nazionale algerina e come ben mostra il suo attuale chiracchiano "dal punto di vista operaio"); un altro sta nel rifiuto estremista infantile di assumersi la causa dei popoli oppressi dall'imperialismo in nome della "pura rivoluzione proletaria" opposta ad essa, mentre essa ne costituisce un elemento strategico essenziale; un altro, infine, consiste nel ridurre la lotta al proprio imperialismo ad una petizione pacifista che non rinunzia a protestare magari solidarietà con la causa degli sfruttati di casa altrui, ma senza assumersene alcuna responsabilità e con l'occhio soprattutto attento ad adattarsi ai sentimenti immediati (quelli veicolati dall'ideologia borghese) del "proprio" proletariato, per il "proprio" partito nazionale.
Nessuno dirà, certo, che LO sia un'organizzazione sciovinista, ma il suo sforzo di non perdere i contatti con una massa operaia progressivamente condizionata dalla propaganda borghese la induce quanto meno al disarmo di fronte ai compiti rivoluzionari. La situazione francese, vista dall'angolo prospettico del "proprio paese", si presenta indubbiamente difficile; ma proprio questo richiede un massimo di lavoro preventivo contro corrente. Se ci si innalza un pochino appena al di sopra dei patri confini si vedrà che, anche attraverso l'attuale ondata di azioni terroristiche, è la rivoluzione mondiale che bussa alle parte, portandosi irresistibilmente dalla periferia al centro del capitale.
Non: "pace"! Siamo tutti in guerra. Ed allora: guerra di classe contro guerra imperialista!, guerra di classe contro la "pace" imperialista! Unità teorico-programmatica ed organizzativa tra i proletari di ogni razza e colore!
Questa, non altra, la consegna indefettibile dei comunisti.
"Bandiera Rossa" (n. 12, 21 settembre) scrive parole sensate sui recenti avvenimenti terroristici. Ne prendiamo volentieri atto.
La prima è che l'affermarsi di correnti ultrareazionarie in seno al movimento politico degli oppressi medio-orientali "non è un frutto del caso o di qualche tara etnica, deriva invece direttamente dal fallimento storico del movimento operaio nel mondo arabo (delle sue direzioni tradizionali) e ne rappresenta una dura punizione".
Si prosegue: "E altrettanto responsabili appaiono i gruppi dirigenti dell'URSS o della Cina popolare che in base alla più cinica realpolitik hanno spesso sostenuto i peggiori regimi della regione". Qui la sensatezza mostra una prima sbavatura: non è un po' poco parlare della politica dei "gruppi dirigenti" dell’URSS o della Cina senza affondare la lama nelle determinazioni economico-sociali materiali di questa politica?, e non è un po' troppo azzardato allineare semplicemente ciò che sta all'origine del fallimento anche del movimento operaio nel mondo arabo e ciò che, essenzialmente, ne è il derivato? Ma sappiamo fin troppo bene che i "trotzkisti" hanno i loro tabù, il primo dei quali è proprio la natura economico-sociale dei cosiddetti paesi socialisti. E’ così che la politica da economia concentrata si riduce ad "errori" da realpolitik non meglio definita. (En passant: uno stato in cui la rivoluzione comunista abbia politicamente vinto ha anch'essa una sua realpolitik, consona al proprio essere, ed è la realpolitik dell'estensione della rivoluzione internazionale contro i regimi "peggiori" e "migliori" del capitale, e che rappresenta non una "scelta morale", ma l'unica condizione di sopravvivenza del proprio status rivoluzionario interno: un "investimento" real-politico, né più né meno ... ).
Terzo elemento: "Al dato drammatico della crisi di direzione del movimento operaio occorre aggiungerne un altro complementare al precedente: la dura repressione che tutti i regimi populisti e nazionalisti arabi hanno riservato al movimento operaio. Tutti, senza eccezioni, da Nasser a Ghedaffi. "Giusto, ed anche opportuno per chi, sin qui, ha spesso steso un velo di ‘terzomondistico’ silenzio su tale repressione (ed anche oggi, vedi caso Nicaragua, non trova ‘utile’ sollevare quel velo di fronte ai rivoluzionari del calibro di un Ortega, per non disturbare l’‘unità del movimento rivoluzionario’).
Ad ogni modo, il discorso sembra filare.
Manca, però, qualcosa. Manca, tanto per cominciare, una considerazione su una quarta causa concorrente all'affermarsi delle correnti ultrareazionarie; il fallimento dal punto di vista rivoluzionario del movimento operaio tradizionale nelle metropoli occidentali e delle sue "avanguardie". Perché non parlare della Francia o dell'Italia, della realpolitik, ricondotta alle sue storiche determinazioni, del riformismo "operaio"-borghese e della realpolitik (idem come sopra) delle "avanguardie rivoluzionarie" verso di esso? Semplice dimenticanza, oppure gli è che la lingua (trotzkista) batte dove il dente (trotzkista) duole?
E le conclusioni? Esse si riducono semplicemente all'indicazione che i tre (quattro, secondo i nostri calcoli) "accidenti" di cui sopra vanno rimossi. E cioè? Lottare contro la repressione del movimento operaio del mondo arabo va bene, anche se, detto così, non si va più in là di una petizione di principio ideale. E poi? Riscattare dal fallimento il movimento operaio del mondo arabo. E come, se non si indicano almeno le linee di una reale indipendenza teorica, politica e programmatica? Infine: ripristinare una direzione rivoluzionaria in URSS e in Cina, senza rivoluzione sociale (dio ne scampi!).
Ma è soprattutto sul silenzio a proposito dell’ignorato punto quattro che la sensatezza su singole questioni si traduce in una mancanza totale di conclusioni (ovvero di conclusioni implicite a rovescio).
Per quanto la LCR si sia distanziata formalmente dalle posizioni riformiste di sinistra di DP, il suo schema di "rinnovamento" del movimento operaio metropolitano, e italiano in particolare, non se ne discosta sostanzialmente. La LCR non riesce a concepire una politica di "fronte unico" che non passi per le direzioni del riformismo imperialista. I ruggiti si trasformano, alla prova dei fatti, in belati. Gli USA aggrediscono la Libia? "Tocca al movimento operaio internazionale (salvo direzione deviate?, n.) e a tutte le forze e i movimenti che vogliono difendere la pace (?!) mobilitarsi contro l'aggressione imperialista e contro il rischio di guerra (la guerra come una delle possibilità tra la tante del corso imperialista?, n.). Noi invitiamo pertanto le strutture dirigenti della CGIL ad agire immediatamente in tal senso, realizzando la più ampia mobilitazione dei lavoratori italiani (metodi ed obiettivi di lotta li lasciamo indicare ai dirigenti.. . deviati!, n.) e chiedendo un'azione analoga alle altre organizzazioni sindacali italiane, alla Confederazione europea dei sindacati e ai sindacati di tutto il mondo. La situazione attuale riporta inoltre in primo piano la questione della partecipazione italiana alla NATO (la "riporta"?, per chi?, ma per picisti e soci, perbacco, che se l'erano dimenticata, n.) che da un lato rende il nostro paese complice dell'aggressore, dall'altro ci espone più direttamente al rischio di guerra.".
E con queste petizioni pacifistoidi che lasciano intendere che il "nostro paese" (cioè: il "nostro " imperialismo) possa essere indotto alla ragione per evitare "complicità" (è noto che l'imperialismo italiano è solo un "manutengolo" ... riscattabile e non un protagonista imperialista ... ) e "rischi" per "tutti noi", con queste petizioni, rivolte non a caso alle strutture dirigenti socialimperialiste, si pretenderebbe di invertire il corso obbligato alla guerra e "rinnovare" il movimento operaio italiano.
Crediamo forte che, ben più che per il movimento operaio dei paesi arabi, che comunque lotta, per questo movimento operaio metropolitano rimesso a nuovo dai "trotzkisti" occorra un'insegna gigante al neon: CHIUSO PER FALLIMENTO.