Un'impressionante serie di infortuni, incidenti mortali e suicidi ha caratterizzato l'estate nelle caserme. Inopinatamente, "l’opinione pubblica" ha visto, d'un tratto, l'esercito svestirsi del volto, dei panni e dell'efficienza di Angioni e dei suoi ufficiali per rivestirsi dei panni del caporalismo, del colonnello che insulta i soldati e del capitano che li maltratta. I fatti hanno smentito la propaganda militarista sparsa a piene mani dai mass-media dopo l'intervento italiano a Beirut, riconfermando che, se è vero che la borghesia deve rendere quanto più efficiente e moderno il suo esercito, allo stesso tempo non può fare a meno della coercizione e della repressione più ottusa per renderlo strumento docile ai suoi comandi.
Ottant'anni fa, Liebknecht affermava che solo la disciplina, la sopraffazione e la cieca obbedienza dovuta agli ufficiali potevano rendere dei giovani proletari automi pronti a sparare contro altri proletari.
Chi, oggi, si interroga sull’"anacronismo" dei regolamenti militari e sulla persistenza dei maltrattamenti, fisici e morali, che i soldati subiscono quotidianamente dagli ufficiali, dovrebbe riflettere sulle parole del rivoluzionario tedesco. In poche righe sono delineati i metodi e le funzioni che presiedono l'organizzazione militare della borghesia: esse costituiscono, ancora oggi, la chiave di lettura per analizzare, interpretare e combattere il militarismo.
Televisione, giornali (compresi "l’Unità" ed "il Manifesto") danno dell'esercito italiano un quadro in cui esso è dipinto come un elefantiaco apparato, sostanzialmente inefficiente ed impreparato, ma la cui caratterizzazione come esercito a coscrizione obbligatoria lo qualifica come "esercito di popolo per il popolo". Spadolini ed i suoi generali ammiccano e dalla denuncia dell'inadeguatezza ed insufficienza delle strutture militari traggono gli auspici per più congrui stanziamenti.
Si sa che l'opinione pubblica è in genere poco propensa a giustificare, sic et simpliciter, un aumento delle spese militari; quale migliore occasione per presentarle come necessarie per "evitare il ripetersi dei drammatici fatti" di questi mesi?
Quanto al travestimento dell'esercito italiano in armata Brancaleone sgangherato sì, ma popolare, occorre innanzitutto sottolineare che a giovarsi di questa rappresentazione è la borghesia nostrana che può così meglio mascherare le sue mene imperialiste. Ma andiamo con ordine.
Qual è il ruolo dell'esercito nell'attuale società divisa in classi? Schematizzando, possiamo affermare che esso svolge una funzione verso l'esterno di difesa sul piano internazionale degli interessi politici ed economici della classe dominante; ed una funzione interna di preservamento dell'attuale ordinamento statuale.
Il secondo aspetto appare, oggi, meno rilevante, ma non è così. Le esperienze storiche hanno ammaestrato la borghesia che si è premunita dalle sorprese che in passato i proletari in divisa le hanno riservato, rinforzando i corpi permanenti e professionali (polizia e carabinieri) specificatamente addetti alla repressione ed alla lotta contro il "nemico" interno, tuttavia ancora oggi (e tendenzialmente sempre di più con l'aumento delle tensioni sociali nella crisi) l'esercito viene regolarmente impiegato in operazioni di "ordine pubblico" (sostituzione di scioperanti, pattugliamento, ecc.). Infatti, come recita esplicitamente l'art. 1 della legge del '78 sulla disciplina militare, i compiti di ordine pubblico e di "salvaguardia delle libere istituzioni" sono inseriti a pieno titolo in quelli spettanti alle forze armate.
Ma la funzione antiproletaria dell'esercito borghese si esplica anche sul piano ideologico e di "formazione dei cittadini". Costituito da proletari, l'esercito diventa, al pari della famiglia e della scuola, l'istituzione attraverso cui la borghesia instilla in essi i suoi valori ed i suoi ideali. Ogni atto che il giovane proletario compie durante la ferma (dal saluto alla tenuta in ordine della divisa), ogni proibizione cui deve sottoporsi (da quella della protesta collettiva a quella di "far politica") è finalizzato a renderlo subordinato alla gerarchia e a privarlo di ogni capacità critica. Costretta per necessità di strategia militare a costituire eserciti di massa e ad armare, temporaneamente, il proletariato, la borghesia utilizza l’anno d ferma per "rafforzare nel giovane - come dice il C.S.M. della difesa gen. Bisognero - la solidarietà e l'affetto per la Nazione e le sue FF.AA.". Solo chi, come Roggi (l'Unità, 26-9-86), confessa di essersi liberato "dall'antico sovversivismo operaio di matrice socialista" può parlare dell'esercito a coscrizione obbligatoria come esercito di popolo per il popolo, dimenticando di chiedersi, o di precisare, di quale classe difende gli interessi.
In una società divisa in classi l’esercito, al pari della polizia, della magistratura e dell’apparato politico dello Stato, ed a prescindere da chi fisicamente ne fa parte, è strumento della classe dominante e, come tale, agisce esclusivamente in difesa degli interessi di una minoranza del "popolo".
L’esercito a coscrizione obbligatoria per il solo fatto di esser costituito in maggioranza da proletari non ha una connotazione di classe diversa da quello permanente. Esso conserva il suo ruolo di difensore degli interessi borghesi, sebbene non possa sfuggire alla contraddizione di dover riunire e familiarizzare con le armi il proletariato, costruendo i migliori presupposti all’intervento dei comunisti rivoluzionari perché, in condizioni oggettivamente favorevoli, si possa, come ricorda Engels, "far saltare in aria dall'interno il militarismo e con esso tutti gli eserciti borghesi". Proprio per questa fondamentale contraddizione che crea, i marxisti non sono indifferenti alla struttura che si dà la forza militare della borghesia. Pertanto, nel mentre vanno criticate come romantiche, individualistiche ed infantili le soluzioni diserzionistiche, abolizionistiche o astensionistiche rispetto alla coscrizione obbligatoria che proliferano, purtroppo, nel campo antimilitarista, va respinto ogni tentativo, da parte della borghesia, di sostituire un esercito professionale a quello di leva.
Che i suicidi nelle caserme e gli incidenti, con morti e feriti, durante le esercitazioni siano il risultato dell'impreparazione e della noia che affliggono i soldati è luogo comune nei corsivi dei quotidiani. Più soldi all'esercito e più mamme nei refettori, tuona Spadolini; più biliardini e videogame negli spacci, meno gavettoni in camerata, sembrano diventati gli obiettivi che la gerarchia militare vuole perseguire. Insomma, tutto è ridotto a poche caserme da imbiancare ed al "nonnismo, (da sempre utilizzato dagli ufficiali in funzione di supporto e per rafforzare il controllo sulla truppa) da disciplinare.
Noi crediamo, invece che gli ultimi tragici avvenimenti abbiano ben altra spiegazione.
Sappiamo quali siano le difficoltà materiali con cui i giovani proletari in divisa devono quotidianamente scontrarsi nelle caserme. Vitto scarso ed immangiabile, assenza pressoché completa di norme igieniche e servizi sanitari, licenze che non arrivano e, come tutto ciò, i letti scomodi, i vetri rotti, il freddo, le marce ed i turni di guardia estenuanti. Sono condizioni di vita pessime, contro cui vanno organizzate campagne di denuncie e le lotte dei soldati per un effettivo miglioramento della vita di caserma devono trovare tutto il nostro sostegno ed aiuto. Ma, in sé, la grama vita di caserma non è sufficiente a spiegare gli ultimi avvenimenti; in primo luogo perché essa è caratteristica costante, storica diremmo, nell'esercito borghese.
Per noi, più che il frutto di decadenti strutture, gli attuali ed aggravati disagi per il giovane in divisa sono dati (sembra paradossale, ma non lo è affatto, come vedremo) dall'avvio di una ristrutturazione, in ordine ai compiti ed alla operatività, dell'esercito italiano, determinata dal modificarsi della situazione internazionale sotto i colpi della crisi.
Dal momento dell'entrata dell’Italia nell'Alleanza Atlantica e fino ai primi anni '70 l'integrazione nella strategia complessiva della NATO, comporta compiti assai ridotti per l'esercito. L'incontrastata potenza americana si erge come dominante e, nello stesso tempo, garante dell'ordinamento imperialistico occidentale. Incontrastati sul piano economico e politico, sul piano militare gli USA svolgono il ruolo di vero e proprio gendarme delle vie e delle aree economicamente e strategicamente vitali per l'imperialismo. In questo contesto, in Italia viene modellata una forza militare che ha come compito, pressoché esclusivo, quello di fronteggiare, a Nord-Est della penisola, una eventuale invasione delle truppe del Patto di Varsavia, e, nel contempo, svolgere operazioni di controguerriglia sul territorio nazionale contro possibili "quinte colonne" interne. La strategia militare, l'armamento convenzionale e la dislocazione dei reparti sono definiti in ragione di questi compiti.
Il progressivo e relativo indebolimento della potenza americana rispetto ai suoi alleati, che matura negli anni dello sviluppo economico, e la successiva propensione, accentuata dalle conseguenze della crisi, da parte della potenza americana rispetto ai suoi alleati, che matura negli anni dello sviluppo economico, e la sua propensione, accentuata dalle conseguenze della crisi, da parte delle potenze europee da ricontrattare nuovi equilibri politici e militari all’interno dell’Alleanza, modificano questo quadro.
Negli ultimi dieci anni l’Italia, infatti, ha svolto un ruolo sempre più attivo nella politica internazionale e di vero e proprio gendarme imperialistico nell’area mediterranea. A queste nuove funzioni l'imperialismo italiano adegua il suo strumento militare: con provvedimenti tampone ed a piccoli passi prima, molto più celermente e razionalmente negli ultimi tre anni. L’istituzione di una forza di rapido intervento e lo sviluppo della Marina, che viene dotata di una aviazione imbarcata (la portaelicotteri Garibaldi, utilizzabile anche per aerei a decollo verticale, è già in mare) testimoniano l'espandersi dei compiti assegnati alle forze armate italiane nell'attuale fase. Da compiti prevalentemente difensivi, da svolgersi sul territorio nazionale, ad una strategia militare più globale che prevede missioni di appoggio aereo e sbarco in aree lontane dalla penisola. Non sono solo la Marina e l'Aviazione a beneficiare dei finanziamenti che vengono ampiamente stanziati (nel 1984, per esempio, il consuntivo del bilancio della spesa militare è aumentato del 24,5% in termini monetari rispetto all’anno precedente), ne è interessato lo stesso esercito verso cui si dà avvio ad una modernizzazione dei mezzi (nuovi mezzi corazzati) ed una ristrutturazione dei reparti (concentrazione dei comandi, spostamento di reparti dal Nord al Sud e così via). Solo dei riformisti incalliti come Eliseo Milani (vedi la Repubblica del 16-9) accecati dal "carattere democratico del nuovo esercito uscito dalla Resistenza", possono non accorgersi che, sotto i loro occhi, l’esercito "difensivo" che "non saprebbe nemmeno fare la guerra", si sta trasformando in una macchina bellica di carattere offensivo.
E questa macchina bellica divora già le sue prime vittime.
Una siffatta ristrutturazione, infatti, significa per i giovani sotto le armi maggior disciplina, ulteriori aggravi di fatica per le esercitazioni, le mobilitazioni, gli spostamenti (come avvenuto verso la Sicilia in occasione dell'aggressione americana alla Libia), infine, la concreta prospettiva di ritrovarsi in qualche altro "inferno" tipo Beirut.
Tutto ciò, assommandosi alla vita di caserma, ai soprusi degli ufficiali, rende sempre più ardua e difficile la vita militare per i giovani, come è testimoniato non solo dall'aumentato numero di suicidi ed incidenti, ma anche dal sempre più elevato numero di infrazioni disciplinari per insubordinazione, violata consegna e simili.
Nell'esercito, più che altrove, è palese come la lotta dei giovani e dei proletari per difendere le proprie condizioni di vita si salda con la denuncia e la lotta contro l'imperialismo di casa propria.
Un antimilitarismo che non ponesse ai primo posto la denuncia e la lotta contro l'utilizzo dell'esercito secondo i piani dell'imperialismo italiano, sarebbe monco ed inconseguente.
All'interno di questa lotta, vanno inoltre sviluppate:
Sappiamo che lo sviluppo della lotta dei giovani in divisa e lo stesso operare dei comunisti rivoluzionari per la disgregazione dell’esercito borghese non sono condizioni da porre in astratto, ma da rapportare con lo sviluppo della forza e dell'autonomia di classe del proletariato. Lo sviluppo dell'antimilitarismo proletario procede in stretto collegamento con lo sviluppo generale della lotta di classe, ma ciò non può esimerci dal porre fin da oggi le basi per la propaganda rivoluzionaria tra i proletari in divisa.