La stagione dei contratti e della finanziaria si apre all'insegna della continuazione dell'attacco padronale e governativo al proletariato. Incamerato lo smantellamento della scala mobile, Confindustria e governo Craxi non hanno sospeso la propria offensiva, ma sono passati ai nuovi capitoli di essa.
Nonostante una congiuntura favorevole, i padroni hanno opposto sinora un chiaro no alle pur modestissime richieste salariali e di riduzione d'orario presentate dalle direzioni sindacali. E, come è pratica da alcuni anni, hanno a loro volta messo avanti le proprie rivendicazioni, per l'immediato (flessibilità senza regola alcuna nell'uso della forza-lavoro) e per il futuro (smantellamento dello Statuto dei lavoratori, salario dimezzato al Sud).
Essi, inoltre, stanno intensificando le lamentele sulla scarsa competitività (a loro dire) dell'industria italiana, e c'è da esser certi che sfrutteranno sino in fondo la sempre più caotica situazione economica internazionale per giustificare la propria resistenza alle piattaforme contrattuali.
Da parte sua il governo ha presentato una finanziaria quadro per il 1987 che fissa nel 4% il tetto degli aumenti per salari e stipendi (sotto il livello di inflazione previsto) e prevede nuove imposte locali sui salariati e nuovi ticket.
Il contenimento del salario diretto e l'erosione incessante di quello indiretto sono ancora una volta i cardini della manovra finanziaria, per quel che riguarda il proletariato. Ad essa De Michelis e Donat Cattin stanno affiancando, sull’onda di una martellante campagna di stampa, i due progetti di contro-riforma sanitaria e pensionistica, che costerebbero cari e amari ai lavoratori.
Se si tiene presente l'attacco diretto al diritto di sciopero che il governo ha portato questa estate ai lavoratori dei trasporti, ottenendo uno strangolatorio codice di "auto-riduzione" dello stesso, e - soprattutto - il clima di ordine e difesa del ruolo dell'Italia che la sua politica sta attizzando, sarà più chiaro che l'obiettivo del governo Craxi va oltre il livello salariale, e mira a comprimere la forza complessiva del proletariato.
Nella stessa direzione va la recente decisione di tassare i BOT. Con essa Craxi e la sua compagine hanno inteso parlare sia ai ceti medi accumulativi-percettori di rendite, sia alla classe operaia. Ai primi, per cominciare a farli entrare nell'ordine di idee di non poter più essere "intoccabili"; alla seconda, per accreditarsi, alla vigilia della finanziaria e dei contratti, come governo super partes, primo governo che comincia a tassare le rendite finanziarie e addirittura chiacchiera sulla possibilità di tassare i profitti di Borsa (non prima del 2000.... comunque, o giù di li, ha rassicurato Visentini).
In questo modo, col supporto di galoppini del genere di Benvenuto e di Marini (grandi amplificatori anche dei presunti progetti-lavoro per i disoccupati), Craxi mira a utilizzare a proprio vantaggio la confusione enorme che sul problema fiscale si è creata, complice, anche questa volta, il PCI.
Come al tempo delle misure di controllo sui commercianti, con abilità, il governo - e specie il PSI in esso mira a conseguire un certo consenso nelle fila operaie o, almeno, a mettere una difficoltà aggiuntiva a che la mobilitazione di massa sia rivolta anche contro il governo.
Infine, Craxi ed il suo ministero si presentano, all'inizio di questo rinnovo contrattuale, come titolari di un potere più forte e concentrato nei confronti della società in genere, e del proletariato in particolare. E’ andato avanti in questi anni, infatti, un processo di incessante - per quanto concorrenziale e contrastata - centralizzazione del potere politico nelle mani dell'Esecutivo. Un processo parallelo e connesso alla centralizzazione finanziaria senza precedenti che è in corso dentro e fuori la Borsa.
Con una combinazione efficace di fatti compiuti e attacchi espliciti, alcuni con supporto "popolare" (referendum sulla "giustizia"), il governo e Craxi in prima persona hanno disciplinato le residue pretese del Parlamento, i timidi conati di "autonomia" della magistratura e le pur pallide, occasionali critiche della stampa.
Davanti ad un attacco antiproletario di questa portata e complessità il PCI non fa che indietreggiare disordinatamente. La sua crisi è andata, dopo il congresso di Firenze, aggravandosi e si presenta ormai apertamente, come ha detto Zangheri, come "crisi di sfiducia" in se stesso.
La sua frammentazione interna, riflesso della crescente difficoltà a comporre in unità gli interessi di quel blocco sociale che si formò nel ciclo post-bellico, è divenuta parossistica.
Ancora più impraticabile, poi, la via di accordare gli interessi antagonisti di borghesia e proletariato. Davanti alla "filosofia" della finanziaria-Goria (cioè al suo contenuto di classe), come davanti all'oltranzismo della Confindustria, il PCI protesta. Ma quale alternativa propone? Ovviamente: una politica di collaborazione con la "borghesia produttiva", che neppure i raggi laser sarebbero capaci di separare da quella finanziaria speculativa e che neppure due righe sopra veniva criticata per il suo "oltranzismo"! La collaborazione dovrebbe avere come scopo il mitico sviluppo, quello sviluppo che per i riformisti è sempre possibile... anche in un contesto internazionale che è avviato inesorabilmente ad una nuova recessione.
L'Italia, ha detto Reichlin, è un "vaso di coccio" tra i vasi di ferro, e la cosa preoccupa "davanti alle nuove guerre economiche che si preparano" (e con tali tempeste all'orizzonte, sarebbe possibile uno... sviluppo che assorba milioni di disoccupati!?). Come fare per rendere anche l'Italia un vaso di ferro? Un grande piano per il lavoro, finanziato dallo stato (e dal mercato?, il mercato che produce disoccupazione?), però -attenzione- sempre nel quadro di un "piano di rientro" del deficit statale.
Sarebbe impossibile concepire qualcosa di più auto-contraddittorio ed impraticabile, di più fallimentare per il proletariato, di più chiaramente esemplificativo di quello che intendiamo con riformismo senza riforme.
Stessa scena anche per quel che riguarda il processo di centralizzazione politica in corso nella borghesia. Il PCI, per es. davanti al diluvio di decreti-legge o alla decisione extra-parlamentare di aderire all'SDI, denuncia la "lesione costituzionale" alle prerogative del Parlamento, e accenna finanche a pericolose tentazioni autoritarie. Ma contemporaneamente, per conquistare le credenziali di Washington e di corso Marconi, si sbraccia a dimostrare di non volere affatto "la paralisi" della democrazia, e di essere - al contempo - per un "governo forte" e un "Parlamento che decida" (di dire di ... si?)...
Padronato aggressivo; governo Craxi efficiente nel suo ruolo di comitato di affari dei padroni; sindacati che appena ora accennano a muoversi, ma su piattaforme misere; riformismo torre-di-Babele (nazionalista): è normale che, in un simile contesto, la classe operaia comincia la stagione dei contratti disorientata e anche un po' fredda. Disorientata, ma non sconfitta in partenza.
La consultazione dei metalmeccanici e i primi scioperi dei chimici provano che c'è una certa attesa intorno alla lotta per i contratti, non tanto e non solo in se stessa, quanto come primo momento di una risposta al padronato di cui si comincia a sentire più bruciante la necessità.
Negli ultimi anni la situazione nelle fabbriche è andata facendosi molto pesante, per i ritmi, la disciplina, la flessibilità. Che si stia arrivando ai "livelli di guardia ", per esempio alla FIAT, lo ha notato la stessa Unità. Lo scontento nel proletariato sta crescendo, sebbene esso si manifesti, per ora, sotto forma di mugugno piuttosto che di aperta richiesta o iniziativa di lotta.
E’ un lento movimento per lo più sotterraneo che procede, però, in avanti, non solo sotto il profilo materiale. Il disorientamento e la sfiducia sono soltanto provvisori, è l'avversario di classe stesso che - con i suoi ininterrotti attacchi - sta rendendo satura l'aria.
Non staremo ad attendere la ripresa spontanea del movimento per affermare che solo con la mobilitazione più vasta e unitaria possibile il proletariato può fermare la continuazione dell'offensiva padronal-governativa. E’ necessario riprendere la lotta, e farlo il più possibile non in ordine sparso, se vogliamo rispondere con efficacia ad una borghesia più centralizzata e blindata.
Non bisogna farsi alcuna illusione sulla possibile neutralità del governo Craxi. Respingiamo il baratto a perdere tra una tassazione apparente dei BOT e delle tasse reali sulla massa dei salariati. Contrastiamo la maggiore centralizzazione del fronte avverso, centralizzandoci anche noi sul nostro terreno, il movimento generale delle lotte.
Coordinare la lotta tra le categorie, tra classe operaia e proletariato, tra contratti e finanziaria, chiamare le masse dei disoccupati, dei pensionati e dei salariati del pubblico impiego a formare un unico fronte: questi i cardini di una stagione di lotte che la classe operaia deve prendere direttamente nelle proprie mani, rompendo quel meccanismo di delega alle direzioni sindacali che ha portato troppe volte ad accordi che svendono la rabbia e la capacità di lotta della classe.
Il punto di partenza della ripresa proletaria può anche essere quello "arretrato" (per certe avanguardie, ma non per la massa) degli scioperi per piattaforme che abbiamo criticato e continuiamo a criticare, insieme ad un buon numero di operai. Il punto di partenza non lo scegliamo noi. L'essenziale è che la stasi venga rotta, e che dentro il movimento di lotta i comunisti rivoluzionari diano impulso reale alla coscienza e all'organizzazione del proletariato difendendo la necessità di bocciare nelle piazze (non di emendare) la legge finanziaria, di rompere il tetto che impone ai salari, di respingere l'ulteriore aggressione padronale affermando sino in fondo le necessità della massa proletaria e lavoratrice, in totale indipendenza da quelle dell’economia nazionale". Che è poi l'economia degli Agnelli, dei Lucchini, dei pescecani di Borsa e dei loro funzionari politici!