Nei primi giorni di luglio scorso, il settimanale torinese Città, di area PCI o - se si preferisce più genericamente "di sinistra", pubblicava in prima pagina un articolo intitolato "Terrorismo: segnati sui muri". Il suo inequivocabile sottotitolo era: In occasione di un dibattito promosso dalle famiglie dei 'dissociati', si è fatta sentire la voce degli 'irriducibili'. Cosa c'è dietro l'Organizzazione Comunista Internazionalista?". Seguiva quindi un testo di bassissimo livello (una velina di questura è in genere più logica) che tentava di stabilire un nesso tra l'OCI e le organizzazioni guerrigliere degli anni '70. Le prove? Una scritta "no alla dissociazione", comparsa sui muri di Torino, a firma OCI, nonché l'evidente carattere farneticante (così assicurava l'articolista) del nostro giornale.
L'episodio ha messo in luce da un lato che una insopprimibile vocazione repressiva verso i marxisti rivoluzionari s'annida nel riformismo; e dall'altro che forti contraddizioni ci sono - anche sotto questo profilo - tra le direzioni riformiste e la loro base sociale.
Intendiamoci: abbiamo accettato di buon grado la qualifica di irriducibili, che giustamente i nostri compagni di Torino, in una lettera di risposta a Città, hanno riferito alla nostra collocazione nel solco storico del comunismo (da Marx a Lenin agli insegnamenti essenziali della Sinistra Comunista) e alla nostra collocazione dentro il movimento proletario e le sue lotte, su una posizione di integrale difesa dei suoi interessi immediati e futuri.
Il nostro "no alla dissociazione di stato", che abbiamo spiegato più volte (l'ultima nel n. 2 del Che fare), è un anello naturale della nostra impostazione; è un no alla dissociazione dal comunismo ed alla ri-associazione alla democrazia borghese che, per quanto si mascheri e si trucchi, era, è e sarà democrazia del capitale per difendere gli interessi del capitale. Non è un invito a riprendere l’esperienza della guerriglia, non già perché usava la violenza, ma perché per sua ideologia, i suoi presupposti politici, i suoi metodi di azione (e ci riferiamo in primo luogo alla programmatica esclusione dell'intervento comunista nella massa del proletariato), il suo internazionalismo interclassista, e così via, la prospettiva guerrigliera è stata e sarebbe una via completamente fallimentare per il proletariato. Ecco perché, come sulla questione della dissociazione, anche su quella del "pentitismo" siamo dislocati su sponde opposte rispetto alle direzioni riformiste. Queste chiedono un pentimento verso la democrazia borghese e un'accettazione della società capitalistica sia pure con qualche aggiustamento; noi chiediamo "una autocritica comunista", un pentimento verso il comunismo, un'accettazione dell'integrale programma e dei metodi del comunismo.
I riformisti e - con loro e sopra di loro - gli organi statali debbono rassegnarsi all'impossibilità di ridurre il movimento rivoluzionario a terrorismo". E’ una riduzione che piacerebbe loro poter fare, per confinare ogni forma di opposizione dentro il ghetto teorico e pratico del "terrorismo". Ma è una riduzione che non gli consentiremo di fare.
E’ nell'ordine delle cose che l'apparato statale e il riformismo ci trattino da avversarsi di classe. Ma, perdio!, è nostro diritto essere attaccati per quello che siamo.
Di questo abbiamo parlato, nella lettera di risposta a Città e in un dibattito alla Festa de l'Unità torinese che si teneva a luglio, rivolgendoci a quei settori sociali, di classe operaia in primo luogo, di cui il PCI vorrebbe l'esclusiva della rappresentanza. L'attenzione e l'ascolto che abbiamo ricevuto da quest'area è stato - francamente - maggiore del previsto. Così come è stata interessante la sequenza di lettere di protesta che la Città ha ricevuto, lettere che criticano l'articolo criminalizzante e il suo tono delatorio. Il nostro giornale è andato esaurito in librerie ed edicole...
La Città è stata costretta a tornare, con un certo imbarazzo, e con una nota alquanto difensiva, sull'argomento. Ma, poiché è impossibile perdere certi vizi organici, non ha rinunciato a fare un montaggio ad arte tra un nostro manifesto e delle pistole. La redazione di Città può stare certa che non le basteranno questi metodi neo-noskisti per liberarsi di una presenza minuscola, ma evidentemente già fastidiosa, nella città della Fiat e della classe operaia Fiat.